Quando qualcuno è felice si vede.
Si vede.
Ripeto: si vede.
E' qualcosa di non bene identificato a cui non si può dare né nome né forma. Non è neanche un sorriso in bocca, ché ce lo sappiamo stampare tutti un bel sorriso e via a prendere per i fondelli il mondo.
Chi è felice non fa nulla di diverso da quello che faceva prima di non esserlo. Voglio dire: non si appende ai lampadari, non comincia a parlare l'eschimese.
No, chi è felice porta addosso quella cosa che si vede, dentro e tutt'intorno, che incolla ad uno ad uno i pori della pelle, che ammortizza gli urti del corpo, che fa morbida la camminata e le forme del viso.
E poi gli occhi.
Lo vedo il Riccio: ha finalmente quei gli occhi lì, quelli tutti pieni, rotondi e nocciola, quelli che non cercano più punti a cui appigliarsi ma stanno fermi perché ora è tutto, non manca più niente, sì insomma quegli occhi lì.
Sei mesi fa il Riccio è tornato per lavoro nel paese da cui anni prima è scappato per andare in cerca della propria vita.
Ma alla fine si ritorna sempre. E il ritorno ha sempre un po' il sapore della beffa.
Il Riccio ha trovato la sua vita e per mantenerla l'ha lasciata in città ed è dovuto tornare a tutto quello da cui è scappato.
E ora siamo tutti e tre qui. In questo paese quanto più lontano da tutte le nostre aspettative.
Ma ancor più lontano da tutte le nostre aspettative c'è che qui, in questi giorni, abbiamo tutti e tre gli occhi che non cercano più.
Cominciamo a misurare l'idea che in fin dei conti potremmo essere felici. Qui.
Ma per adesso non ci si vuole pensare davvero. Dire sì è forse uno dei moti più difficili da praticare in questa vita perché presuppone di rivoluzionare tutto quello che si conosce, che si maneggia con disinvoltura, e di andare incontro alla cosa che ci fa più paura. Dire sì è fare quello che molti di noi, seduti comodi nella nostra poltrona di sempre, non vorremmo mai fare: saltare nell'ignoto senza protezioni di sorta.
Ma adesso facciamo che si pasteggia con gusto quest'aria calda dello stare insieme in questo paesino con poche pretese, dove la leggerezza e la semplicità metterebbero a proprio agio l'ultimo alienato di questa terra.
Adesso ci abbandoniamo al senso di questa nostra famiglia che quando è assieme starebbe bene pure dentro a un wc pubblico.
Per il momento diamo a questa nuova fragranza quel nome sciocco di vacanza, come se la vita vera non fosse in questo luogo dimenticato dal resto del mondo ma nella città di sempre a cui io e Sofia faremo ritorno.
C'è un concertino jazz, il locale dentro è un collage ipnotico di swarovski e vetri.
Sono scatti in momenti diversi, ma lo scenario rimarrà sostanzialmente invariato per tutta la notte: Sofia che ignora i bimbi che zampettano di qua e di là e se ne sta lì, ferma, ascoltatrice di prim'ordine, che non applaude a comando, non applaude mai, ma in realtà lo fa per tutta la serata, per ogni istante che dai suoi due anni se ne sta lì di fronte, a un passo dalla musica.
Siamo felici. Abbiamo tutt'e tre quegli occhi rotondi e nocciola.
Ma per il momento pensiamo che sia solo l'effetto ipnotico degli swarovski.
Si vede.
Ripeto: si vede.
E' qualcosa di non bene identificato a cui non si può dare né nome né forma. Non è neanche un sorriso in bocca, ché ce lo sappiamo stampare tutti un bel sorriso e via a prendere per i fondelli il mondo.
Chi è felice non fa nulla di diverso da quello che faceva prima di non esserlo. Voglio dire: non si appende ai lampadari, non comincia a parlare l'eschimese.
No, chi è felice porta addosso quella cosa che si vede, dentro e tutt'intorno, che incolla ad uno ad uno i pori della pelle, che ammortizza gli urti del corpo, che fa morbida la camminata e le forme del viso.
E poi gli occhi.
Lo vedo il Riccio: ha finalmente quei gli occhi lì, quelli tutti pieni, rotondi e nocciola, quelli che non cercano più punti a cui appigliarsi ma stanno fermi perché ora è tutto, non manca più niente, sì insomma quegli occhi lì.
Sei mesi fa il Riccio è tornato per lavoro nel paese da cui anni prima è scappato per andare in cerca della propria vita.
Ma alla fine si ritorna sempre. E il ritorno ha sempre un po' il sapore della beffa.
Il Riccio ha trovato la sua vita e per mantenerla l'ha lasciata in città ed è dovuto tornare a tutto quello da cui è scappato.
E ora siamo tutti e tre qui. In questo paese quanto più lontano da tutte le nostre aspettative.
Ma ancor più lontano da tutte le nostre aspettative c'è che qui, in questi giorni, abbiamo tutti e tre gli occhi che non cercano più.
Cominciamo a misurare l'idea che in fin dei conti potremmo essere felici. Qui.
Ma per adesso non ci si vuole pensare davvero. Dire sì è forse uno dei moti più difficili da praticare in questa vita perché presuppone di rivoluzionare tutto quello che si conosce, che si maneggia con disinvoltura, e di andare incontro alla cosa che ci fa più paura. Dire sì è fare quello che molti di noi, seduti comodi nella nostra poltrona di sempre, non vorremmo mai fare: saltare nell'ignoto senza protezioni di sorta.
Ma adesso facciamo che si pasteggia con gusto quest'aria calda dello stare insieme in questo paesino con poche pretese, dove la leggerezza e la semplicità metterebbero a proprio agio l'ultimo alienato di questa terra.
Adesso ci abbandoniamo al senso di questa nostra famiglia che quando è assieme starebbe bene pure dentro a un wc pubblico.
Per il momento diamo a questa nuova fragranza quel nome sciocco di vacanza, come se la vita vera non fosse in questo luogo dimenticato dal resto del mondo ma nella città di sempre a cui io e Sofia faremo ritorno.
C'è un concertino jazz, il locale dentro è un collage ipnotico di swarovski e vetri.
Sono scatti in momenti diversi, ma lo scenario rimarrà sostanzialmente invariato per tutta la notte: Sofia che ignora i bimbi che zampettano di qua e di là e se ne sta lì, ferma, ascoltatrice di prim'ordine, che non applaude a comando, non applaude mai, ma in realtà lo fa per tutta la serata, per ogni istante che dai suoi due anni se ne sta lì di fronte, a un passo dalla musica.
Siamo felici. Abbiamo tutt'e tre quegli occhi rotondi e nocciola.
Ma per il momento pensiamo che sia solo l'effetto ipnotico degli swarovski.
effetto ipnotico o meno, siete stupendi nelle foto! mi dai tanta grinta e tanto di quel coraggio a leggerti, che non ne hai proprio idea, veronica!
RispondiEliminaleucosia
uau! Leuco!
RispondiEliminami rendi felice sentirti così. mi fa tanto piacere :)
a onor di cronaca lì io e il Riccio non ci siamo. Ma quella robetta morbidosa altroché se è Sofia :)
grazie :)
siamo dietro a scattare
RispondiEliminaoggi questo post mi ha commosso. è possibile?
RispondiEliminaperché parla della felicità ma parla anche del fuggire e del tornare, della voglia di andare resa vana da circostanze che sono fuori dal nostro controllo.
anche io volevo andare ma sono rimasta. e alla fine mi chiedo se sono felice. quando alzo gli occhi dico, quando ascolto fuori i rumori, quando l'orizzonte non è, per un attimo, quello dentro casa, ma quello che sarebbe potuto essere.
credo che soffrirò per sempre della sindrome da 'sliding doors'!
ciao vero :).
a.
mah...che ne so Annalisa,
RispondiElimina...
mi sa che questa sindrome ci fotte non poco
sempre ad anelare l'altro, quello che non abbiamo, quello che avremmo potuto...
e che cazz'...
grazie: mi doni tue facce che sono uno spettacolo
parli di più qua che non nel tuo blog