29.8.10

Notate le differenze?

Sofia ama le abitudini
Sofia perde la pazienza se non riesce
Sofia toglie le scarpe quando si ritorna a casa
Sofia legge le riviste mentre 'aspetta che la mamma la riceva'
Sofia cerca silenzio dopo il frastuono
e il frastuono dopo un lungo silenzio
Sofia ha bisogno di distrazioni a volte
Sofia non basta a se stessa
Sofia dice grazie e 'appetito
Sofia beve dal bicchiere
Sofia emula chi le sembra sia un leader
Sofia vuol piacere e compiacere
Sofia concede sorrisi di circostanza
Sofia ha bisogno di esser guardata per dirsi di esistere
Sofia conosce la rassegnazione
e la noia
e il limite del corpo
e il nodo forte tra comunicazione fallita e senso di isolamento
e il ristoro del sonno dopo una frustrazione
e il sostegno di una mano quando da soli proprio non ce la si fa
Sofia cerca continuamente la fatica del superarsi
Sofia non cammina ma fa le scale

Notate le differenze?
Io dico di no.


Guardo Sofia e a volte mi turba vedere quanto sia a pieno titolo parte di questo nostro mondo. Quello "adulto". Che pensa il mondo "piccolo" come a una bolla caramellata soltanto perché a volte è stanco di se stesso.

25.8.10

Tra pollice ed indice, l'invisible.

Unisco pollice ed indice, partendo da quelli di Sofia, che a 15 mesi avranno certo tenuto ancora poco ma già con l'intuizione dell'invisibile si uniscono pronti a trattenere, e da lì nascono evoluzioni di immagini metafisiche: non hanno forme ma richiamano forme; non hanno suoni ma sembra che muovendosi creino suono; pollice ed indice girano su di lei, s'attorcigliano, poi si aprono veloci verso l'alto lasciando che l'immagine si lanci a volteggiare; allora in aria tutt'e due i nasi, quello di Sofia a seguire il mio, insieme perdendo per qualche istante lo sguardo sulle traiettorie dei suoi volteggi; e poi in caduta libera riprendo l'immagine e la restituisco a Sofia, che da qualche giorno ha scelto che il compimento della storia si faccia portando le dita unite sulla bocca e soffiando fff f f  f   f     f
Sceglie di chiudere il cerchio dell'invisibile: dal niente venuto a volteggiare, torna soffiato al niente.
Sofia d'altronde conosce bene il vento, e, quando lo sente arrivare addosso o sulle foglie, gli parla imitando la sua voce fff f f  f   f     f

Cosa siano queste immagini, non lo sappiamo.
Cosa facciano neanche.
Ma, della loro breve storia, tutte le volte ce ne incantiamo.
E ne ridiamo. Perché la storia dell'invisibile è solo un gioco.





O come Victoria Chaplin ne "Le cirque invisible".

20.8.10

8° peccato: Stress.

Da quando ho memoria, o poco più in là dei primi rudimenti di memoria, uno dei primi difetti di cui sono stata tacciata è la pigrizia.

Trovavo per niente interessante, al gioco del nascondino, infilare le vesti di un povero ispettore gastropatico affannosamente proteso a risolvere tutti quei casi che tanto, affanno o no, avrebbero comunque fatto eroe il Dylan Dog di turno. Piuttosto preferivo infilarmi nel sottobosco dei fuorilegge assieme all'amore della mia infanzia e starmene lì attendendo l'epilogo alla Bonnie e Clyde. 
La mia non era pigrizia: era romanticismo.

Mio padre, per lavoro, si alzava alle 5 e 30 del mattino tutti i giorni. E per abitudine anche la domenica. Si alzava, faceva tutto quello che doveva fare, e poi iniziava l'urlo costante e continuo: "Ssvegliaatiii, infingarda e pelandrooona". Quel 'infingarda e pelandrona' detto per anni, puntuale nell'appuntamento domenicale, mi ha segnata, si è insinuato nel dna, ha fatto tana e uova, e adesso è in pianta stabile nella mia persona, se non nella sostanza, nella sua cerebrale evocazione: "Ssvegliaatiii, infingarda e pelandrooona".
La mia non era pigrizia: erano le 7 del mattino. Di domenica. Quella di una bambina.

Al ginnasio, la mia professoressa di italiano, storia, geografia, latino, greco, educazione civica, quella insomma che per attività ed ore trascorse assieme si sarebbe dovuta, se non sostituire, affiancare come figura di riferimento, un giorno consegnò a mia madre una bella incisione nuova fiammante da lasciarmi come trofeo memoriale di quello che ero e che sarei dovuta certamente essere, magari nel tempo me lo fossi scordato. "Accidiosa". E che cos'è questa parola così stridente, con quelle C così affilate messe una di fianco all'altra sul punto di ferire, e perché la donna che premia, su tutti gli altri, ogni mio scritto, ogni mio sentire, ogni mia idea, la sta usando su di me, preferendo "acci" a "ra"? Vado a consultarmi.
La mia non era pigrizia: era che i miei genitori, a quel tempo, si tiravano i piatti addosso. E mi ero convinta che scopa e cocci toccassero a me.

E poi arriva lei, la donna che ha rimescolato tutte le carte e rinominato quell'indice puntato su di me chiamandolo "mente filosofica". E detto da chi avrebbe mantenuto quell'indicibile eleganza venusiana, nonostante l'appartenenza alle moli di Botero piuttosto che a quelle di Botticelli, anche se fosse venuta a far lezione con le infradito e che una volta al mese portava in aula il trolley perché di lì a poco avrebbe raggiunto 'Dacia' (Maraini n.d.r.), mi dava quell'attendibilità necessaria a crederle.

Ho questa patologia, sì, affezione filosofica, sì.
E se pensate al filosofo come ad un pioppo fisso immobile con lo sguardo vacuo nell'indistinto alla "Io sono Sean", ancora sì: è così.

E adesso prendete 'sto pioppo, sradicatelo dal terreno delle paturnie concettuali, innaffiatelo di sonaglini che rallegrano la scenografia di "It", di jingle subdoli che ti entrano leggeri come giochi da latte ma, quando, in momenti di cui tu non hai comandato l'arrivo, ti ritornano svelando la pericolosità delle ipnosi di qualsiasi genere (anche quelle de "Il coccodrillo come fa"), ti rendi conto che al confronto le pubblicità kitsch delle suonerie sono più innocue; innaffiatelo di frenesia, di capacità di sopportazione portata allo stremo, di una forma mentis costretta all'arte dell'arrangiarsi, dell'accomodarsi, l'arte del campeggiatore, insomma, piuttosto che a quella dell'organizzazione metodica di cui, in tempi ormai remoti, ci si poteva vantare...
... et voilà!: il pioppo perde lo sguardo vacuo dell'indagine speculativa e attraversando in qualche istante le ere evolutive acquisisce lo status di pesce lesso.

E adesso, se di qualcosa mi si deve tacciare, che sia di stress.
Ora so che lo stress, l'ottavo peccato, è il padre dei vizi.
Da stressata pecco di:

  1. gola: se, dopo cena, addormentare Sofia si rivela una Parigi-Dakar, al mio rientro rinfocolare le forze con lo spuntino di mezzanotte mi sembra naturale
  2. invidia: invidio tutto. Invidio chi ha tempo, chi lo usa e chi lo spreca, chi ha silenzio, chi sta da solo, chi si fa la doccia, chi fa shopping, chi legge, chi fa la Settimana Enigmistica, chi appende la biancheria, chi dorme, chi non dorme per attività gratificanti, invidio insomma chi oltre ad essere fa l'umano. No: paradosso del 'tutto invidio' vuole che in realtà invidi anche cani e gatti, così vicini all'essere e così lontani dalle cose che fanno umani (come l'invidia).
  3. superbia: dal lamento al "Io sono Colei che prende su di se i mali del mondo" il passo è davvero breve.
  4. avarizia: la Colei si da così tanto che tutto ciò che non fa rima con Sofia può soltanto vagheggiarla.
  5. ira: una finestra troppo aperta, troppo chiusa, una bottiglia che cade, la pasta scotta, il lavandino intasato, la folla, il ciuccio che cade a terra, e tutto quello che non appartiene alla categoria "decido io" oggi mi farebbe partecipare al casting di "L'esorcista".
  6. lussuria: dato non pervenuto. Appunto.     

Ecco mi sono confessata.

E no. Ovviamente no.
Se nei momenti liberi (che intitoliamo Sofia non c'è) piuttosto che assolvere ai doveri di una madre di famiglia me ne sto qui a confessarmi...
no, la mia non è pigrizia: è istinto di sopravvivenza.

Vedi se lo stress non è l'ottavo!

15.8.10

"Ma che sapore ha..."

Da quando ha scoperto la cannella, Sofia non se ne può più separare.
La odora, se ne inebria, la gusta nel palato e su tutto il corpo. Ci sono scie di cannella ovunque in casa. E in quel suo emanare forte e tenue allo stesso tempo, l'odorato viene toccato in segreto, silenziosamente, ma in modo pieno.



E
nonostante la durezza di questi ultimi giorni, di quando l'occhio abbandona la rotondità dell'essere madre e si poggia urtando sulla necessità quotidiana;
nonostante la mancanza di solidità di questa famiglia nuova, che poggerebbe volentieri su strutture ben più stabili di quelle offerte da questo tempo di crisi economica, che guarda ai numeri, alle quote, agli obiettivi, alla plastica, allo status, ma non ai sogni umani fatti a volte di niente, di sola aria buona, di volteggi ad occhi chiusi su luci e note gentili, adesso fatti muti perché anche la poesia passa oggi attraverso l'essere acquistata;
nonostante abbia sempre più spesso l'impulso d'afferrare gli oggetti che mi stanno davanti, che in questo caso non avrebbero più la valenza di catalizzatori di storie da ricordare ma sembrano stare lì per essere scagliati, e non si può perché io non sono più soggetto autoreferente ma modello altrui a cui ci si riferisce;
nonostante mi senta il personaggio di una rappresentazione teatrale che ha da finire, ma pare che la giostra di Sofia giri all'infinito e non dia spazio neanche per una fermata di sigaretta;
nonostante abbia la creatività impazzita, grazie a questa piccola, ma che non possa sgorgare nell'atto, per colpa di questa piccola, che soltanto nelle sue ore di sonno mi concede di condensare quello che funziona solo quando non viene condensato;
nonostante abbia capito quanto siano difficili i voli pindarici dell'anima quando il corpo è prigioniero, se pur d'amore;

nonostante tutto,
pare che questo tempo profumi ancora di cannella.



Lucio Battisti - Una giornata uggiosa

10.8.10

Sincope sulla schiena.

Prima o poi sarebbe dovuto accadere. Il ricordo della giovinezza vissuta fino ad un anno fa ha eluso la sua possibilità, il senso del titanico ad essa correlato pure.
Ma gli indizi erano ovunque sul corpo.
Perché se per 14 mesi, 400 giorni e più, per 17 ore più varie ed eventuali al giorno, tieni un peso in un crescendo di gravità che da lontano ti guarda beffardo arrancare dietro la sua polvere: al terzo mese 4 chili ma, abituata a tener birra e sigaretta o libro e matita, ne sopporti di meno, all'ottavo mese 7 chili ma, abituata ai 4, ne sopporti meno, al dodicesimo di chili 13 ma ne sopporti meno, fino ad oggi che di chili sono 15;
perché se questo peso lo tieni addosso, poi tenti di accomodarlo da qualche parte, e proprio non s'accomoda da nessuna di parte se non quella che è appiccicata al tuo collo, e allora lo riprendi e poi, certo, per diversi motivi che si chiamano attività quotidiane, devi pur riaccomodarlo e questo peso alla fine, di fronte a qualche distrazione o corruzione o abbandono in direttissima, s'accomoda, sì, ma per qualche secondo e poi via con la crisi del "o mi prendi o mi faccio fuori a suon di pianto-pianto+urla-urla+tosse-tosse+sincope-sincope+asfissia" e tu magari alla tosse+sincope ci arrivi pure ma alla sincope+asfissia è fatta: hai di nuovo il peso addosso. E così tutto il giorno. Centinaia di accomodi-sincope-prendi, accomodi-sincope-prendi;
perché se questo peso, una volta che si è accomodato sulla parte dal collo in giù, ormai è lì stanziato e qualcosa dovrete pur farla; allora voli, salti, balletti, pernacchie, inseguimenti, prove di camminata, prestidigitazioni per dare, togliere, non fare cadere, raccogliere, acciuffare, agguantare all'ultimo istante, pulire, sistemare, riempire, asciugare;
perché se il peso in questione non è certo quello che viene qualificato come morto ma sembra un caffeinomane in costante crisi d'astinenza e le prestidigitazioni di cui sopra vengono svolte in condizioni funamboliche;
perché se, per acquietarsi nel sonno, questo peso ha bisogno che tu stia sospesa sulle ciabatte, a metà tra il suo lettino e il tuo, e la mattina ti senti mica il prestidigitatore ma la signorina che si è prestata ad essere tagliata in due;
allora certo che doveva accadere lo straamp!
La schiena ha ceduto: ha mangiato troppa polvere di gravità e ha fatto indigestione.
Straamp!


Ed eccolo il Riccio, alle prese col suo secondo bagnetto Sofia.
1° minuto: è confuso.
2° ": mi guarda e sorride ambiguo, punto dalla sfibrante evidenza.
3° ": vacilla.
4° ": fa qualche mal dissimulata smorfia. Ha stanche braccia e gambe.
5° ": non capisce bene se sia stata Sofia ad annaffiarlo, o la fatica.

E per il resto della serata, forse con ancora il gusto di quella polvere, è un continuo di: "come stai?"
E come sto? Sincopata.



3.8.10

Un diavolo per capello.

Una delle riflessioni che mi porto sempre in testa riguarda la profondissima correlazione che esiste tra i capelli e la visione che ciascuno di noi ha di se stesso.

C'è mia sorella che maltratta i suoi capelli, li colora sempre. Li fa biondi e sono troppo biondi, li fa neri e sono troppo neri, li fa castani con meches bionde e sono troppo finti. Una volta al mese, mia sorella li colora. Forse per raggiungere un effetto naturale. Paradosso della tintura vuole che non l'avrai mai, lì sui capelli, il naturale. Anche perché il naturale non è un effetto, è sostanza. Li colora sempre ma non li taglia mai. E l'effetto non arriva, anche quello, mai.
Mia sorella a tre anni è stata cavia delle paranoie di mia madre che vedeva i suoi capelli radi, deboli, sottili. La sua fissazione è stata curata con un bel taglio alla radice del problema.
Zac. Una naziskin treenne non si vedeva più da tempo neanche sul luogo natìo della moda sterminatrice, figuriamoci nell'allora paesello di tremila anime ciascuna con acconciatura "come s'addice".
Dicono che non bisogna usare ironia con i bambini, né retorica, perché sono forme del parlato astratto che non riescono a comprendere. Eppure a tre anni mia sorella usava già una certa retorica quando col labbro tremulo chiedeva con davvero poca convinzione di ricevere smentita: "Mamma, sono brutta?".
E' stato reciso qualcosa in quell'attimo di zac, io lo so, perché gli anni sono passati, ma mia sorella porta ancora spesso il labbro tremulo e replica quella domanda, stavolta con richiesta di smentita, ancora adesso, celata dietro oratorie sofisticate.
E in quella domanda c'è tutto il suo essere rada, debole, sottile.
Mai. I capelli non li taglia mai.

C'è una mia amica d'infanzia che, anche a distanza di giorni, i capelli li taglia sempre, li colora sempre, li tocca sempre. Li odia sempre.
La nonna, nonostante il periodo adolescenziale degli ormoni impazziti pure sul cuoio capelluto, non le permetteva di lavarli se non nel giorno del Signore, per il Quale la pulizia era dovuta, ma non dovuta per se stessi. 
E' stata abbandonata da madre e padre e lasciata alle cure dei nonni paterni.
Si vedrebbe con i capelli lunghissimi, bellissima e, in quanto bellissima, amatissima.
Ma proprio non ce la fa. Non riesce ad aspettare la Domenica. La sua testa ha bisogno d'essere martoriata molto prima.
Li lava sempre. Li taglia sempre. Si odia sempre.

C'è la mia amica del cuore che ha un rapporto più equilibrato con i suoi capelli. Li taglia, li fa allungare, li colora, gli cambia forma. Ogni sabato, da quando la conosco, va dal parrucchiere per la piega, che le rimane addosso fino al sabato seguente. Nei nostri vent'anni condivisi, l'avrò vista spettinata soltanto un paio di volte. Per il resto, il mantenimento dell'ordine semplice e della puntualità.
Mi sembra che segua i cicli naturali della propria persona. Nient'altro.
Essendo riccia, quando si sente in quello stato speciale di donna selvaggia, si lascia così com'è: riccia. Un riccio stupendo e feroce che ondeggia sulla sua sessualità. E siccome sa bene la mia amica quanto la sua sessualità sia sviluppata, per la maggior parte del tempo preferisce portare capelli addomesticati.

C'è mia cugina che all'età di due anni ha perso il padre. Da allora è stato un continuo cercarlo negli uomini della sua vita. Tentativi e uomini tutti sbagliati. Leitmotiv nell'affannosa ricerca, le acconciature da matrimonio. Per ogni occasione, dal gelato a casa dei miei alle uscite con le amiche fino all'etichetta cerimoniale, non c'era mai stacco nel portare svolazzi vertiginosi del capello. Un aggrovigliare insistente perché un uomo da chissà dove venisse a scioglierle i nodi. Finché non è arrivato l'uomo che oltre a darle il piccolo vero amore della sua vita non è stato per niente avaro di calci, pugni, ingiurie e azioni da stalking di ogni sorta.
E' così, purtroppo, che è scesa dalla giostra delle acconciature e s'è fatta donna.
Adesso ha trovato chi la protegge da qualsiasi genere di nodo.
Adesso questa donna porta capelli che non ricordo. Dunque niente più vertigini.

Sono certa che attraverso i capelli venga smascherato il lavorio sommesso che i demoni compiono dentro di noi.


E poi ci sono io.
Porto i capelli lunghi, raccolti solo in fronte, lasciati andare come se fosse sempre vento, come se fosse sempre primo mattino. Da quando mi sono allontanata dalla lava incandescente dell'adolescenza, non li coloro più e raramente, sempre per questioni di rinnovamento, li spunto e li liscio più di quanto non siano già.
Insomma, in genere li lascio spalleggiare la mia vita.
Per mia madre sono sempre stata "la migliore" e in quanto migliore avrei dovuto fare sempre la migliore. Quel "avrei dovuto" dice quanto l'abbia delusa.
Al primo tema del ginnasio, in mezzo ad una media di 4, sono stata la mosca bianca dell'8.
Per mia madre non era 10. Ha storto la bocca e si è voltata senza dire una parola. Io provengo da lì. I miei capelli provengono da lì.
E non vogliono essere molestati, aggiustati, sistemati, sistematizzati né votati.
Non sarò certo figlia di questo tempo, ma mamma di questo tempo lo sono eccome. E se lascio Sofia sporcarsi come se vivessimo in una palude di campagna, in alcune situazioni cerco di "pettinarla". Per insegnarle che c'è un tempo per il caos ed uno per l'ordine.
Sofia poi è come me: non vuole essere maneggiata. Allora io ci provo, la pettino alla bell'e meglio, le metto qualcosa, me la godo per quegli attimi di sua concessione e poi mio malgrado la lascio disfare.
Caos ed ordine in perfetto equilibrio.


Visto tutto quello di cui sopra, mi sembravano degne di nota le prime codine di Sofia.