29.5.12

Vi racconto una storia vecchia - ashtag #quellocheavreivolutodiresuTwittersesololadirettaTwitternonfossefallita

Perché ieri la prima cosa che mi è venuta in mente appena sveglia è che avrei voluto raccontare con dei tweets gli anni 3 di Sofia, i preparativi, la festa.
Questo credo avrebbe risolto lo strano rapporto che ho con Twitter, visto che ancora non ho trovato il modo di servirmene bene. Mi dico che forse sono una specie di purista, nel senso che non mi piace usarlo come fosse una chat da condominio. D'altro canto le frasi lapidarie da Dalai Lama mi sembrano pretenziose e da saccente.
Stare in mezzo, come sempre, mi sembra un compromesso ragionevole.
Stare in mezzo raccontando una storia, mi sembra la soluzione migliore.
Magari, nel frattempo, è possibile che a furia di raccontarle, le storie, non oggi, non domani, né il prossimo 2 giugno, ma un giorno forse ci salveranno.

E invece niente.
Dopo una manciata di tweets mi sono arresa. È che in effetti sono una che per raccontare le storie che vive, appunto, le deve vivere.
Metterci in mezzo l'occhio che analizza, che giudica, che sceglie cosa è meglio raccontare, cosa no, mentre stanno accadendo, mi toglie buona parte di consapevolezza. Questo è anche il motivo per cui non sono una fotografa. Non riesco a rinchiudermi dietro quel box circolare senza avere la sensazione di stare perdendomi buona parte della storia. Inutile specificare che c'è chi invece riesce a seguire le narrazioni, focalizzarne i dettagli, soltanto attraverso quel box.
Appunto, non sono una fotografa.
E, in senso lato, mi sembra sia chiaro di non essere nemmeno una fotografa del momento presente.
Mi serve arrivare alla fine delle storie, bruciarle tutte, non lasciarne acceso fin l'ultimo dettaglio, per poi capirle e comunicarle.
Appunto: poi. Con me funziona il poi, l'a posteriori.
E invece penso che si dovrebbe tenere più in conto la potenza di questo megalito che è internet e che nel racconto del momento presente trova la sua potenza. Specie per le storie, appunto.
Voglio dire, le storie su internet diventano vecchie dopo appena qualche ora.
E non è un qualcosa da legare necessariamente agli orrori dei fast food. È che in questo modo avviene in presa diretta la cernita delle storie. Quelle buone diventano vecchie storie. Quelle inutili diventano storie vecchie.
In questo caso dunque il fast (ma anche il food in un certo senso) ha l'utilità di preservare il nostro bagaglio, la nostra memoria, dalle cose futili. Ci lascia invece quello che deve rimanere. Che diventa vecchio, quello buono, perché il tempo ha il buon senso di preservarlo da se stesso e se lo porta a spasso.
Imparerò, magari.

Nel frattempo vi racconto questa nostra storia di ieri, già troppo vecchia da un giorno.
E per restare in campo, mi pare logico provare a farlo così:



Oppure




22.5.12

Tutta la voglia di abbracciare Sofia che ho

Non lo so se lo avete notato, io sì, che i contenuti e la forma, in adeguamento ai contenuti, del mio scrivere su questo blog stanno cambiando.
E mi sembra bellissimo. Uno, perché quando si cambia è quasi sempre in meglio, anche quando sembra in peggio. Due, perché chi lo avrebbe mai detto che un giorno le questioni del mondo mi avrebbero interessato davvero.
Me la son sempre fatta alla larga dalla politica, quella dei partiti, dei governi e dei tg. Ho partecipato, sì, a tutte le occupazioni che un liceo classico di antica e radicata cultura prevalentemente comunista richiedeva all'occorrenza, ma forse oggi mi dico più per questioni ormonal-adolescenziali che per un reale senso di partecipazione politica.
La mia politica era più concettuale, teorica, più esistenzialista, forse perché anni di studio ripetuto dei grandi tre, Socrate, Platone e Aristotele, hanno alla fine lasciato il loro zampino su quella che sono. Ho sempre pensato che da un lato ci fossero i politici, con i loro affari e rimestaggi, e dall'altro la vera gente che vive la propria vita.

20.5.12

Italia, mea culpa

L'Italia sta implodendo, o esplodendo, come più vi piace.
Il succo è che L'Italia sta morendo, sì.

Facciamo allora che additiamo questo mostro incorporeo che è la politica, il potere, le lobbies, i meccanismi e le dietrologie da complotti, e poi, visto che siamo gente pratica e moderna, e le incorporeità non ci piacciono ormai un granché, ché è finita già da un pezzo l'epoca del Romanticismo, gli diamo un nome, il primo che viene, anzi quello che è più in vista e va di moda, ché così non solo non facciamo magre figure ma non dobbiamo neanche sforzarci se non siamo dotati di grandi intuizioni creative. Ora Berlusconi, poi Monti, poi Bossi, poi Grillo, poi che ne so Pappa e Ciccia, e così fino alla fine delle liste in voga del momento con il beneplacito del copia e incolla da parte dei media.

17.5.12

Colpo di fulmine e prima impressione: piccole grandi idiozie crescono


Ho sempre disprezzato la questione del colpo di fulmine, riferita a quell'ottundimento istantaneo del cervello di fronte ad una prima impressione piacevole. Più che piacevole. Di gradimento. Più che di gradimento. Perturbante, ecco.

4.5.12

Anche la legge del contrappasso è rosa

Oggi, signori, in nome del rosa, la creatività s'è spenta, martire indifesa.

Allora, come lo facciamo il vestito?
Rosa.
... ok. E le scarpe?
Rosa.
... mmmh, va bene. E le braccia?
Rosa.
... ma magari non ti andrebbe un bel...
Rosa.
Rosa. E la faccia? 
Rosa.
Ma che, te sei inceppata?

2.5.12

Fiori di lillà

Qualche post fa ho raccontato del mio modo a mio parere poco coraggioso di districarmi tra la dipendenza di Sofia per il ciuccio invocando in mio soccorso una fantomatica fatina ruba-ciucci platinata (glossy glossy direbbero in certi spot per cerebro-glossyglossy-lese, secondo questi perché il prodotto che cercano di rifilarci risulti glossy glossy più appetibile e venga scelto per un glossy glossy suono condizionante). 

Se all'inizio ha funzionato far leva su questa sua nuova tendenza di bimba treenne al platinato, al pagliettato, al principessato, in una parola che sintetizza su tutte, al rosa (gente, non mi venite a dire che le scelte di colore - rosa femminucce, azzurro maschietti - è il frutto di condizionamenti culturali di genere. A casa mia rosa non compare nemmeno se lo cerchi col microscopio, nemmeno se fai la danza sotto trance africana, nemmeno sotto effetto di allucinogeni, nemmeno se lo cerchi nella mia libreria personale sotto il nome di Eco. Odio il rosa come una mosca l'insetticida. Vesto nero da una vita e colori come cammello e grigio chiaro mi sembrano già una scelta coraggiosa e di momento gioioso. Per cui mia figlia, che da qualche tempo ha fatto voto di rosa, sono certa abbia fatto una scelta indipendente e autonoma. Anzi, visto le premesse, si può dire che la sua, in questa famiglia, sia una scelta rivoluzionaria e di rottura).