23.9.10

L'esultanza ti fa strana

Sofia ulula. Sì, ulula. Si pianta dura come una statua, tutta tremante per la rigidità muscolare, gambe aperte e braccia ad altezza spalle (insomma: posizione Frankenstein) e ulula, o emette suoni molto simili ad ululati. Ulula con la a, con la e o con la o. Questo perché le ho passato l'esultanza. Vede un cane, hhooooooo; un gatto, hheeeeeee; si tiene in piedi senza appoggi, hhaaaaaaa, lavorando tutto di gola. Ora c'è da dire che nei suoi primi approcci con il sociale bambinesco questa sua inclinazione fa una certa differenza. Di fronte a bimbi in genere tendenzialmente opachi, eccitati forse dal gioco, ma sostanzialmente calmi di quella calma annoiata tipo io ho visto già tutto e nulla mi tange, Sofia appare una pazza sull'orlo di una crisi di nervi magari soltanto per aver visto una sediolina alle giostre con l'immagine di Woody di Toy Story. La guardano. Un po' fanno che allontanano la testa e rimangano lì, sempre con quell'espressione annoiata ma stavolta con una nota diversa nell'occhio, leggermente sorpresa mo' avrò visto tutto, ma sta matta tutta strana no.
I grandi ridono. I bimbi si incazzano. 
Poi in genere avviene una svolta: i bambini cominciano a studiarla, si chiedono come una sediolina dovrebbe dare così tanto piacere, ci provano, provano a sperimentare lo stato di Sofia, le si accostano, non le staccano gli occhi di dosso. Finisce che Sofia ha infettato tutti del morbo di Frankenstein schizo/eccitato. 
I bimbi ridono. I genitori si incazzano. Con me che ho creato un mostro, e il mostro ha fatto adepti. 

Ora devo decidere come Sofia dovrà apparire in pubblico: o figa atarassica tipo poetessa maledetta mi sturba tutto o iper eccitata genere Rita Pavone.

Nel frattempo che mi decida, se incontrate una bambina che sembra una duenne passata ma ancora non si regge in piedi, e la vedete ululare, non vi inquietate. 
Nessun neo-esperimento maryschelliano: soltanto Sofia contenta.

21.9.10

Un passo indietro

Settembre.
In questa mia casa, settembre non rappresenta ancora una postazione d'inizio, non segna alcuna epifania di attività perché a stare dietro a Sofia si vive un'interminabile tempo di pausa, una vacanza protratta ad infinitum. I gesti di ogni giorno messi in loop, ogni giorno, ripetuti identicamente così tante volte da non essere più percepiti dall'attenzione, inghiottiti dal magma  di un enorme rito perpetuo, talmente spalmato però nel vivere quotidiano da non essere più evento straordinario quanto gestualità ordinaria del quotidiano.
Rito perpetuo del quotidiano. 
E mi chiedo che differenza ci sarebbe tra me adulta e Sofia, se continuassi a naufragare nel suo tempo molle, senza stacchi tra la memoria storica e l'immaginazione delle cose non ancora accadute?
Se non mettessi a raccolta sistematica le azioni finora vissute e di queste non ne facessi proiezioni e conseguenze future, cosa mi farebbe diversa da una bambina che balla dentro il cerchio colorato del suo tempo presente?
Una madre, un genitore, deve far da lente di ingrandimento sullo sguardo circoscritto dei propri figli, che, magari per giusto impulso a percorrere l'avanti indisturbato, si arrampicano sulle scale senza voltarsi mai indietro, dietro le loro spalle, dove s'acquatta la possibilità della caduta ripida.

Ci sono cose oggi che senza una forza opposta che le contrasti faranno della forza di gravità il loro facile scivolo, e scivoleranno.

E allora un passo indietro. Faccio un passo indietro.
E forse per la prima volta nella mia vita cedo il passo ad altro e ad altri, per Sofia, senza che stare all'ombra scalfisca il mio purtroppo ben ramificato amor proprio.
Mi metto in un angolo, come un lare che veglia attendendo gli sviluppi, perché Sofia sappia che oltre questo mondo di donna ne esistono migliaia di mondi, che possono sostenerla e divertirla e stupirla e attrarla e confortarla allo stesso identico modo, e in certi casi anche meglio.
Ho messo il silenziatore al mio presenzialismo ostinato, puntellato qua e là di egocentrismo, e indurito la voce così che Sofia cerchi culle che non siano le mie braccia.
Sto risolvendo così il problema di una specie di sindrome di Stoccolma che fa della persona che la ferisce la stessa che la conforta.

Mi preparo al prossimo settembre. A quando per davvero le nostre vite cominceranno a prendere strade diverse.

Che si sappia che fare la cosa giusta un po' mi costa.



Vinicio Capossela-Scivola vai via

15.9.10

Spot scriptum

Scendo le scale di casa, velocissima, le guardo le scale mentre le pesto di fuga ma sono già scomparse, come se stessi scappando da qualcosa, lì in casa.
Mi infilo in macchina, i gesti di sempre ma con l'ansia dell'evasione indisturbata, metto in moto, in moto anche la musica, apro il cancello, indosso la cintura, e vado.
Adesso, mentre guido, un vado lentissimo.
Dal cancello in poi là fuori tutto è in una bolla serale e silenziosa: è per non infrangerla che vado lentamente.
La strada che percorro è deserta, una di quelle strade che accolgono come se tu fossi l'unico navigatore su questa terra, offrendoti per qualche istante maternamente l'ebbrezza dell'unicità.
Scendo dall'auto. Lo sportello chiuso suona violento.
L'impatto rompe la bolla ma la strada non si spezza: rimane serale e silenziosa. Si  rompe solo l'ansia della fuga perché ormai sono lontana da casa, le gambe appoggiate salde alla strada, e respiro
mmmmhh - ùùùh h  h   h    h
Compro il pane, è caldo, ne prendo un po', come sempre.
E torno a casa, come sempre.
Lentamente.
E più mi avvicino più vado lentamente. Sempre per questioni di fuga, ma in un altro senso.

E' stato niente. Solo 3 minuti.
Non è vero, non è stato niente. Sono stati 3 minuti, e non di vita, che la vita io ce l'ho, ma di respiro sì.

Spot di una donna affamata di tempo.





Oppure...



Aspettando che Sofia cammini.
E se possibile anch'io 30 minuti di corsa. 

13.9.10

Il volo a bassa quota

Stamattina, ooooh che senso di onnipotenza quando con la mano alzata ad alt, voce dura con sorriso vagamente provocatorio e sguardo fermo tutto tuffato dentro quello di Sofia, le ho intimato di smetterla con i lamenti e le pretese e disposto che solo dopo aver finito la colazione avremmo fatto quello che lei stava chiedendo di dover fare immediatamente.
Sofia, appoggiata alle mie ginocchia, sguardo mortificato tutto tuffato dentro il mio, si è lasciata mollemente andare a terra, senza mai lasciare l'appiglio dello sguardo, come fa uno scalatore in discesa con la fune, anche lei con un certo sorriso, il suo però vagamente di sconfitta.
In un attimo di cervellotica, folle euforia, mi è sembrato che avessimo interpretato benissimo la scena della legge della giungla, quella che recita "in natura vince il più forte".

C'è però una differenza che ci allontana, per fortuna (ma in certi casi bisogna dire anche per sfortuna), dallo stato di natura.
Quella che generalmente il senso di onnipotenza arriva accompagnato dallo storico trio volgare/basso/meschino della coscienza parlante.
A me imbarazza sempre sperimentare certe alture dell'ego. Mi mortifica.
Davvero non ci è dato di provare l'onnipotenza senza sentire subito l'impulso di correre a nascondersi dietro un cespuglio.
E solo alcuni si accaparrano ancora indebitamente, e direi sadicamente (per lo più contro i loro propri confronti), il diritto di provare un tal senso senza conseguenze di coscienza.
Ma quasi sempre poi gli va male.



























Illustrazione di Benedetta Marasco, abilissima disegnatrice di immagini dell'inconscio.
Da lei anche raccontate.


p.s.: si sente che è una delle mie prime strigliatelle a Sofia, eh?

(Aspettando che Sofia cammini)

11.9.10

Evoluzioni.

Dicevo dello stress, a cui si da la definizione di "adattamento del corpo ad un generico cambiamento fisico e/o psichico". Cambiamento. 
E in effetti i miei criteri di interpretazione e di accostamento al reale sono tutti sovvertiti, o ricodificati, o anche rasi al suolo, smistati e riassemblati.
Accanto al "nulla si crea e nulla si distrugge", c'è un continuo lavorio di distruzione e ricreazione di forme, naturali e terrene ma anche psichiche-emotive, che la bravissima ammaliatrice di inconsci Clarissa Pinkola Estès chiamerebbe natura Vita/Morte/Vita e che in qualche modo equivale al maccheronico corsi e ricorsi del tizio anziano seduto al tavolino del bar con sigaro, briscola, caffè, e sguardo e pelle saturi.
Si seguono i cicli, in questa terra. E' atavica la nostra attrazione per il movimento del mare, ché ci restituisce nel modo più immediato l'immagine del ciclo.

Questo qui sotto è un mio scritto per una materia che ho dato. Allora, quando potevo permettermi di indugiare la notte tra libri, penne e sigarette, mi piaceva alternare il suono ovattato dei pensieri al ticchettio plastico della tastiera.
Tra le parentesi quadre ho tracciato in parole quello che per me, sempre allora, esprimeva l'immagine del ciclo delle cose della terra, compreso l'uomo.  


Allora però potrei dire che ero ferma ad una stazione di servizio aspettando di prender parte al movimento ondoso del vivere. Parlavo di cicli senza averne l'esperienza.
L'esperienza del reale che Sofia ha concesso alla mia vita notturna e diafana, ha rivoluzionato il concetto e adesso l'ho riformulato.
Crisi. Rivoluzione. Evoluzione. Equilibrio.
Un sistema è per sua definizione in equilibrio, finalizzato a qualcosa e per questo funzionante.
Ad un certo punto un accidente suo interno o esterno lo sbilancia, lo destabilizza. Il sistema entra in crisi.
Ma siccome la vita tende all'equilibrio, il sistema si mette in moto perché lo scontro con l'accidente venga medicato. Dalle macerie alla ricostruzione. E' la fase della rivoluzione.
L'accidente è un evento ormai accaduto, non si può tornare indietro, non si può ignorare perché ormai è. Per cui la ricostruzione del sistema avviene riassorbendo, inglobando l'accidente, o il segno che ha lasciato nello scontro. Dopo la rivoluzione il sistema non si ripropone mai più sotto la vecchia forma. Per questo è un'evoluzione.
A cui, dopo qualche scossa di assestamento, segue l'equilibrio. Il nuovo sistema nuovo di zecca.
Ci possiamo riconoscere in questo movimento perché l'essere umano è un sistema nel sistema nel sistema... Una matrioska spettacolare e, fino a che la teoria dell'infinito non venga confutata, infinita.


Dunque di fronte ad una rivoluzione, la persona non ne può uscire indenne, identica agli stadi precedenti la rivoluzione.
Io sono in stato di rivoluzione.
Mai, prima di adesso, ho investito così tanto di me.
Mai ho lasciato che le mie appartenenze, quelle predestinate, cadessero per lasciar posto a nuove appartenenze.
E, al contrario, mai prima di adesso ho permesso alla mia persona di vivere la reciproca appartenenza.
E in questo periodo di rivoluzione, o di adattamento del corpo ad un generico cambiamento fisico e/o psichico, si incastona splendidamente l'esperienza del sublime. 
E quello che ai miei occhi è esperienza del sublime, in questi giorni per Sofia è crisi.
Siamo, ma soprattutto è, in attesa.
Come quando è nuvoloso e il cielo aspetta, che la pioggia cada. O quando cade, che smetta.
Come al semaforo, che si riparta.
Siamo come nell'attesa che qualcosa avvenga, che l'attesa vada.
E tutto quello che facciamo in questi giorni sembra cammini in punta di piedi, che sussurri come le voci in chiesa aspettando la messa.
Perché, certe volte, l'attesa, l'anelito in genere, la si porta dentro con la stessa delicatezza dei gesti di cura e di protezione, come fosse portatrice di sacro.
Anche le parole di questi giorni sembrano stare sospese ed evadere da quello che stiamo attendendo con profondo trasporto.

Aspettiamo la rivoluzione.
L'evoluzione.
E il nuovo equilibrio.

Aspettiamo, ma soprattutto Sofia aspetta, che cammini.



8.9.10

Indovinello ma non troppo



Se, anche quando è fluida e leggera, Sofia mi sta addosso come una cozza,
come fa quando ha quattro premolari aggressivi come geyser, una dermatite quarta-quinta-sesta malattia ancora da diagnosticare, qualche lineetta di febbre e una precoce fax-simile crisi adolescenziale nel passaggio da bimba che gattona non sono padrona dello spazio, meglio che mi porti tu a bambina che cammina non rompere, vado a conquistare il mondo?

Soluzione.
Fa che tra le altre cose sono anche ipocondriaca. E ieri, alle 9 p.m., dopo una giornata da animale da soma, improvvisamente non ho sentito più il corpo. E allora via con la lista: trombosi all'arto inferiore, ictus, embolo, qualche tumoretto qua e là e, dolce in fondo, sclerosi multipla avviata. Non sto scherzando. Io mi trovo ai vertici della piramide del gruppo M.I.M (Malato Immaginario di Molière). Poi un mavaacacare del Riccio mi riporta sui binari razionali e via. Lo dico perché, semmai un giorno in preda ad attacco di panico dovessi scrivervi un post ipocondriaco, sapete come commentare.

Detto ciò,
da tre giorni ho in cantiere un pezzo ma, con un corpo addormentato, gli indici riescono a scrivere un misero nel; cancello: no! meglio per; cancello: forse preferisco tra...
Quando uscirò dal baratro della preposizione perduta per mancanza di forze
pubblicherò.
Speriamo in/nel/tra/fra no! meglio niente più tardi. 

3.9.10

Pioggia nuova.

Oggi è la prima pioggia.
Quella che l'anno scorso mi faceva sentire freddo, nelle mie albe in solitaria, senza sapere cosa ne avrei dovuto fare, di fronte ad un intero lungo giorno, di tutto quel miracolo, di tutto quell'amore venuto così all'improvviso, senza preavviso, senza alcun tipo di preparazione.
Perché bisogna prepararsi alla straordinarietà dei miracoli, alla sua dose straripante e senza soste, specie se la tua vita è stata un quieto contenitore colmo d'ordinario.
Questa pioggia porta commozione, perché arriva da lontano, da un anno folle, folle di qualsiasi cosa, di estrema fragilità di fronte a cose più grandi di te, di tensioni, di nuove aspirazioni, mai volute, mai cercate e adesso necessarie, di una percezione del tempo schizofrenico che non ha eguali, insieme lento, estenuante, e velocemente cinico di fronte al bisogno di fermarsi a volerci capire qualcosa.
Questa nuova pioggia porta tutto questo e si porta via tutto questo, da qualche parte della mia memoria.
Perché oggi io e Sofia, amanti forsennate l'una dell'altra, siamo consapevoli. L'una dell'altra.
E questa consapevolezza ha cambiato qualcosa. Ci ha cambiato.
Non si può rimanere identici di fronte ad una rivoluzione.

Questa pioggia si fa memoria di quello che ho vissuto e celebra un nuovo traguardo di risvegli, di nuovi intuiti, e di nuova lentezza del cuore.
Perché ho tirato le somme e qualcosa di buono, se pur improvvisando, ne è venuto.

E poi è anche la prima pioggia di Sofia. 
Da consapevole.


2.9.10

Mode II

Qualche sera fa, Veronica, in un eccesso di 8° peccato e suoi annessi e connessi, ha emesso suoni radioattivi contro il Riccio.
Perché lei è nata a Novembre, e gli astri la fanno scorpione, e quando si deve parlare dell'atteggiamento scorpionico si parla di un fantomatico veleno della coda, senza mai però specificare che, nell'individuo adulto di sesso femminile della specie Homo sapiens segno zodiacale scorpione, il veleno si trova prima della coda; no, non nel ventre, prima; no, neanche negli arti, prima; no, ancora prima della gola. Ecco: lì, nella lingua, sebbene ventre-gola-lingua, nell'individuo adulto di sesso femminile della specie Homo sapiens segno zodiacale scorpione, costituiscano un unica coda dalla quale diparte quel veleno che nell'estensione finale, la lingua appunto, trova massima espressione.
Così qualche sera fa, Veronica, all'apice di atteggiamento scorpionico, ha emesso quella parola che adesso non vuol più ripetere.
Quella che nelle pagine di alta letteratura fu data da pronunciare agli amanti clandestini shakespeariani perché il dramma si compiesse, o a quelli promessi manzoniani perché s'avesse da fare.
La stessa che, dalla carta stampata alla pellicola in bianco e nero dello scenario anni '50, è stata ricamata nella trama di storie come Gilda o Casablanca.
Separiamoci. 
Prendiamoci una pausa.
Pausa.
In quelle storie, "pausa" era un passaggio obbligato per l'inesorabilità del loro destino: non era strumento di un atteggiamento rinunciatario, nulla veniva messo alla deriva dell'abbandono, quello lavativo e privo di dignità, piuttosto era una mossa strategica, semmai cauta e paziente, perché la partita arrivasse al termine, in perdita o vittoria che fosse.
Poi, in decenni di disevoluzione dal gusto fatalista, gli eroi della letteratura e della cinematografia romantica hanno lasciato il posto a posticci interpreti di quella parola e dalle pagine, non più letterarie, non più cinematografiche, ma patinate di riviste gossippiane l'hanno rivoltata, stereotipata, trangugiata insieme a caviale, champagne e siliconi, e riconsegnata ai comuni mortali come panacea di facile somministrazione per equilibri instabili.
E nonostante, giura Veronica, quella sera lei avesse in mente, seppur in modo nebuloso, una qualche vaga funzione costruttiva di quella parola, una volta pronunciata è sembrato chiaro, a lei e al Riccio, che l'intenzione era piuttosto quella di un'adolescente che, stanca dei compitini da svolgere, con lucida-labbra, profumo alla vaniglia e borsetta mou volesse andare a svagarsi con pochi sensi di colpa e tanta rinnovata leggerezza.

E allora, dopo aver cenato in silenzio, e poi ascoltato quello che il Riccio aveva da dire, e guardato la piantina di basilico, che in mezzo ad una distesa di steppa è l'unico vegetale che sta sopravvivendo all'incuria perché così si sono imposti senza dirselo, lei ed il Riccio, per potersi dire persone con ancora una qualche attività cerebrale, l'adolescente quasi trentenne, quale Veronica è, ha dismesso lucida-labbra, profumo alla vaniglia, borsetta mou e ha ripreso i compitini, ché quelli fanno parte della leggerezza della sua vita.

Veronica parla in terza persona perché oggi è da se stessa e dalla sua linguaccia scorpionica che vorrebbe prendersi una pausa.