17.12.12

Bellissima

Con i bambini è così: stimolano all'inverosimile la tua ghiandola pineale, ti fanno fare salti quantistici nello spirito che non avresti mai creduto di poter essere capace di fare, ma, visto che c'è sempre un risvolto della medaglia, i moti opposti ci son sempre, mentre migliori da un lato diventi uno schifo dall'altro.
Mettete me. Ho imparato, ad esempio, ad essere pratica, a far tutto veloce, a non perdere tempo, a far tre cose alla volta. Bene. L'altro risvolto della medaglia è che facendo tre cose alla volta, ho detto definitivamente addio al mio perfezionismo. Male. Una volta ero così carina, facevo tutto così straordinariamente bene, tutto, che ne so, dai pacchi regalo ai visi delle statuette in pasta di sale, passando per l'esame di bioetica, la decodifica dei testi, la scelta degli arredo con sottofondo musicale e la piastra ai capelli. Eeeeh, la piastra! Semmai "na' ciocca sì, na' ciocca no".
Insomma, ora son pratica ma sciatta. Olé.
Oppure.
Ho imparato la forza della compassione. Una volta proclamavo la pace dello spirito ma ero uno stronza. Studiavo le religioni, gli spiritualismi, le filosofie del mondo, ma le studiavo solo, mi compiacevo di tanto intellettualismo, poi però se qualcuno mi mordeva lo facevo a pezzetti. A dirla tutta facevo a pezzetti anche senza esser per forza morsa. Il sadismo mi eccitava.
Ora guardatemi: piango persino di fronte agli spot natalizi.
Un altro olè per me, grazie.

14.12.12

La scuola delle possibilità

In questo momento da qualche parte del mondo i bambini nelle loro scuole pubbliche, fascia di età 3 anni, sono in piena fase creativa. 
Io sono qui che scrivo, voi siete qui che leggete, e loro, alcuni di loro, stanno parlando quasi correttamente una, ma anche due, tre, quattro, cinque lingue che non gli sono state tramandate in automatico dal paese di appartenenza: se sono francesi parlano tedesco, se sono tedeschi parlano francese, se parlano francese e tedesco ci stanno provando col cinese.
Loro che son furbi, assieme alle loro maestre, che son furbe pure loro, hanno deciso di comune accordo che quando devono bestemmiare è meglio farlo in seconda, o terza, o quarta lingua. 
Nessuno baderà al contenuto dell'espressione, quando ad esprimere un "merda" o "che palle" o "stronzetto spara caccole" in cinese è un bambino di tre anni. Baderanno piuttosto alla ottima forma acquisita di seconda, terza, quanta, quinta lingua e daranno un buffetto sulla guancia.
Il loro è un gioco.
In questo momento da qualche parte del mondo i bambini di tre anni sono riuniti in assemblea, non solo per scegliere con quale lingua sia più conveniente prendere per il culo il resto del mondo, ma anche per decidere le sorti del mondo.

4.12.12

Siate folli (cit.)

Dunque, vi ho lasciato con la colite a pacchi da cento.
Mi son messa sotto la doccia e mi son detta: "daaai, ma che cavolo di madre vuoi essere per Sofia... una molliccia oppure una dura, lucida, col sangue freddo, indifferente ai moti deboli dei sentimenti... e suuuu, esci le palle!"
Sì.
Sarà durata un paio di minuti. Dopotutto era una finzione. Quanto volete che duri una finzione?
E poi in macchina, mentre andavo, ho realizzato. Mi son venute in mente di tutte le volte che io e Sofia "litighiamo" e allora le dico "che fa, la cambiamo questa mamma?" e lei "no, voglio questa".
E sì, Sofia vuole questa.
Questo macello, questo casino, questa mamma che un giorno non smuove un dito e la casa è un campo di battaglia, e un altro giorno e la testimonial di tutti i detergenti del mondo. Che un giorno è un pagliaccio da circo e l'altro è un'eroina di noir.
Che un giorno ha paura persino delle foglie che cadono e soffre di colite e l'altro è un robot d'acciaio.
Una mamma, una visionaria, una donna casino. Vuole questa.
E perciò ieri ho proposto questo, quella che sono, che altro in effetti non ho.
La mia testa e le mie visioni e un centesimo in tasca.
Nient'altro.
Ma il signore che mi ascoltava diceva solo "è ambizioso".
Non si è scomposto nemmeno un secondo.
Nemmeno quando ho parlato di mongolfiere. Quelle vere.
Ripeteva "è ambizioso".
D'altronde lui fa parte di un organizzazione maestosa, quella che, per suo dna, quando si trova di fronte a follie non le chiama mai follie, le chiama ambizioni.


3.12.12

O la va o la spacca

No, niente.
Avrei voluto mettere giù qualche riga, ma niente, non ce la faccio.
È il grande giorno. La presentazione del mio progetto. Tra una manciata di ore.
Troppo poche per risolvere emotivamente quel grosso aut aut del o la va o la spacca.
Vendesi colite a prezzi stracciati.

30.11.12

Il Riccio si è fermato al suo paese

Non si sa come, non si sa il perché, ma tant'è, il Riccio tiene ancora in vita scambi di interessi, per lo più economici, con il suo paese d'origine.
Il paese della "domenica tutto chiuso" e quindi del sabato come giorno di via crucis dell'intero paese per il rifornimento degli approvvigionamenti, che manco fosse stato dichiarata allerta calamità, o forse sì, una specie, visto che all'orizzonte si staglia imponente e minaccioso l'arrivo del pranzo domenicale: 10 chili di pane, 10 chili di carne, salsicce, braciole, maiale e 30 di cacciaggione, che c'ha gli ossicini e a parità de magnata pesa di più, pasta, farine, dolciumi, famiglia media quindici persone.
Il paese di "tutti in macchina", quando l'estensione del paese sarà al massimo di un paio di chilometri quadrati, ma siccome il modello americano non si è lasciato intimorire, come si fece a Eboli, dal perseguire la colonizzazione culturale persino nei più piccoli anfratti del mondo, le abitazioni sono in verticale; allora il paese è abitatissimo e tutti hanno le macchine e certe statistiche son fatte proprio male, ché contano le proporzioni e mica i numeri e basta, ché se nelle statistiche contassero le proporzioni per intensità di traffico il paese del Riccio sarebbe Milano e Milano il paese del Riccio, ma a quel punto quelli che al nord si son fatti un mazzo così per essere considerati i più fighi tra le città d'Europa, non ci starebbero ad avere quel nome, insomma come si fa a dire "andiamo al paese del Riccio in via Monte Napoleone"? E allora quelli di Milano, per riappropriarsi del loro legittimo nome, dovrebbero prendere tutte le loro cose e portarle qui giù, e quelli del paese del Riccio, che la cosa di questa botta di culo improvvisa di essere considerata la città tra le più fighe d'Europa non gli starebbe proprio così male ma a quel punto dovrebbero per forza di cose tenere tutto aperto la Domenica e questo scombinerebbe i loro ritmi circadiani, e poi attacchi di panico, isteria collettiva, astenia, dovrebbero smontare le tende e salire su.
E insomma sarebbe un casino e allora lasciamo le cose come stanno.

29.11.12

Il Signor Colloquio (quello che tutti vorremmo)

Ché se c'è un'abilità che acquisisci nella lunga marcia verso l'isola che non c'è, ovvero l'occupazione di valore, è quella di fiutar odor di fuffa.
Io credo dovrebbe essere una nota da inserire in effettivo nel nostro curriculum, tra le voci "esperienze pregresse" e "competenze artistiche", se non altro come certificato di garanzia del fatto che siamo gente di buona fede e come tali esigiamo coerenza: quindi se dici di star facendo recruitment, come piace dire a te, a te che sei aggiornato, giovane, alla moda e nel discorso vuoi, fortissimamente vuoi, usare termini come account sales manager, briefing e chi più ne ha più ne metta, allora fai 'sto recruitment perdio!, senza cioè praticare quello sport così comune di questi tempi di infinocchiar allocchi, senza vendere fuffa, senza insomma prender per il culo, ché non lo vuoi proprio capire che se cerchi allocchi per l'azienda per cui lavori, mentre ti stai facendo il mazzo a parlar della tua mega-super-straordinaria-fantasmagorica-a livello internazionale-azienda Quaquaraqua, e noi da questa parte della barricata stiamo a sbatter gli occhi inebetiti, scimuniti, con la bocca aperta e un rivolo di saliva di lato, senza apparentemente alcun guizzo che faccia pensare alla benché minima presenza di intelligenza umana, non devi pensare "questo è proprio l'allocco che stavo cercando": è che mentre veniamo investiti dal fiume di quaquaraqua, ogni volta rimaniamo sconcertati dal fatto che quale diavolo di paradosso può dar luogo a questo fenomeno tanto strambo per cui chi cerca di reclutar allocchi, con quel suo modo così sicuro e impettito stile "a livello internazionale", è esso stesso, in primis, un allocco?

21.11.12

Storia breve del ranocchio e l'uccellino

C'era una volta un ranocchio
a cui piaceva sguazzar sempre dentro l'acqua, assieme ad un girasole.

19.11.12

Foglietti

Ce li ho dappertutto. Sparsi in casa, sperduti nelle varie borse, presi, riposati e ripresi per ogni cambiata d'abito, finché non ne hanno abbastanza e per protesta si auto eliminano diventando mucchietti di carta illeggibile.
 A casa dei miei, in macchina, delle volte lasciati nelle tasche dei jeans.
Il lavaggio in lavatrice e la mia espressione mentre stendo la lavata fatta ormai di cellulosa appiccicaticcia, è la giusta punizione per la mia dimenticanza. 
Loro sono i promemoria, quelli scritti di fretta, dove ti capita, come ti capita. Trattati ingiustamente, come si conviene alle cose genere fast food: presi, consumati, cestinati. 
Sono mediani, ruolo di mezzo e precario, deciso da chi gode del diritto di rilegatura.
E ti salvano sempre il culo.



Ne ho una marea in questo periodo.

17.11.12

Nuovo Documento di testo - Blocco note + tappo

Deve pur essere da qualche parte questo tappo.
Ma dove diavolo è?
Forse è in pancia, sì, deve essere qui, ché lo sento che sta succedendo un pandemonio. Magari adesso lì dentro si staranno azzuffando, in atto si starà consumando una rissa e io avrei la responsabilità di metter ordine, lì dentro, ordinare la coda, ma soprattutto dargli una via d'uscita.
E invece niente, rimane tutto qui dentro.
È un'ora che sto davanti a questo documento di testo, il cursore lampeggia, fermo immobile nello stesso identico punto, se lo fisso mi pare pure incazzato.
La presentazione del progetto, la mia bellissima presentazione non vuole proprio uscire.
Eppure è qui, è tutta qui, brillante, fiammante, mi pare abbia un certo non so che di stile americano, con quegli accenti un po' su di giri, esagerati, che gridano all'ispirazione, al progresso, al futuro, con le mani che si aprono in aria, un po' teatrale sì, ma per lo meno lontana dal grigiore italiano di questo ultimo tempo. Mi pare bellissima.
Eppure niente, se ne rimane in pancia, a girarsi e rigirarsi che vuole uscire.
Ma dove sarà quello stramaledettissimo tappo?  

16.11.12

In questi giorni il mio bisogno è quello di confrontarmi con donne che rispondono tutte ad un unico specifico profilo: 24 ore e tailleur con spilletta caramella mou appiccicata. 
Insomma, la donna lavoratrice e mamma.
Lo faccio attraverso la visione di una filmografia e una lettura di libri e riviste specifice naturalmente, dove però la genitorialità incasinata dal ritmo lavorativo serrato è per me un fattore marginale al momento. Mi fa talmente paura e aggiungerebbe casini non costruttivi al fine che perseguo che non me ne curo e passo. Al momento.
Quello che mi interessa è piuttosto conoscere il modo in cui queste donne abbiano trovato in sè quella forza, la grinta, il coraggio e insieme quella leggerezza, come fosse una seduta dal parrucchiere, dell'essere imprenditrici. Cerco di capire com'è fatto quel momento in cui dicono sì, lo faccio; sì, non ho paura.
Sì. Quella cosa straordinaria della vita dopo la quale indietro non ci puoi tornare più.

11.11.12

PIL di un 32

Torniamo dal Med in Fest. Bolgia di gente anonima a cui riesco a dare, come unica parvenza di umanità, definizioni tipo mediocre, esaltatati, accasciati, sconclusionati, noiosi. Sola nota di merito Ivan Segreto, padrino onorario di Sofia, concepita a lume di uno dei suoi pezzi, e unico fine del nostro pellegrinaggio andato storto, visto che arriviamo appena ad ascoltare l'ultima strimpellata dell'ultimo pezzo, avendo, mea culpa, perso tempo a litigare con un posteggiatore abusivo che rivendicava come suo diritto a lavorare il pizzo che aveva imposto per parcheggiare.
Per liberarsi di una macchina tra una bolgia di macchine e andare incontro ad un altra bolgia di altro genere di macchine, m'è parso.
In macchina:
"Non lo so... non lo so... non lo so..."
"Cosa?"
"Non lo so... non lo so... non lo so..."
"Amore, cosa?"
"..."
"..."
"È che non riesco più a, non so, divertirmi, sentirmi viva. Mi annoia ogni cosa, la gente, i posti, i miei vestiti, quello che dico, quello che ascolto, mi annoia questo discorso su quanto mi annoio. Una volta..."
"...lo so cosa stai per dire: che non riesci a trovare più ispirazione, stimoli, risorse, che hai chiuso con tutto, ché sei vecchia, che la barca delle speranze si è infranta sui..."
"..."
"... si sta come in autunno..."
"..."
"..."
Say yeah.

24.10.12

La vita pigiama

Appare quando il tempo comincia a rallentare sotto l'effetto delle foglie arancioni e il vento irrequieto.
Nel mese del ritorno alle attività programmate ed efficaci, quando il traffico torna alla forma cui è stato concepito, caotico e indaffarato, lei appare e comincia a vivere sulle persone rimaste un po' indietro, quelle che ancora un vero piano programmato non ce lo hanno ancora.
È generosa come una mama africana: ti costringe a vivere dentro le quattro mura di casa senza che un barlume di imprevisto possa mai portarti fuori, nemmeno il pane caldo delle 19.00, ma ti concede di tenere le finestre aperte per tutto il giorno, far entrare lievi in casa le prime timide piogge, l'odore della terra, il fresco che ancora non brucia sulla pelle; ti fa vagare lenta e arresa sotto l'effetto scordato delle prime luci mogie, ma all'improvviso, senza un motivo apparente, ti bacia sulla fronte e accende dentro la voglia di accendere fuori, candele profumate di cannella, luci soffuse, musica dolce, porte e tende aperte, e il corpo che balla, salta, si muove preso da fame di energia, di quella che si addice a questo tempo in questa casa, ovvero morbida e compassionevole, vigorosa ma senza sprechi. 
E allora, qui dove non accade niente, nel tempo casalingo, dove il mondo si ferma appena un attimo prima, guarda dentro e alla fine non entra mai, dove, se cose accadono, rimangono all'ombra del tempo privato senza che giungano all'attenzione delle faccende mondane, qui, accade che piccoli soffusi miracoli quotidiani avvengano, di quelli che solo nel silenzio di sé si sa, senza che fuori apparentemente nulla si muova. 
Ci si trucca da fate, si canta forte, si sta sedute a mangiare con le mani.

22.10.12

Ex dandy si racconta

Che v'aggia dì.
Certe cose non si dovrebbero pubblicare se non vuoi che il tuo blog venga poi tacciato di qualcosa di cui vorresti non fosse. Tacciato.
In mia discolpa mi preme dirvi che ultimamente c'è un'immagine di me che mi torna spesso, e che guardo con tanta nostalgia. Languore. Anelito. Fame. Bramosia. Cupidigia.
Bava alla bocca, insomma. Specie quando sono in faccende di casa affaccendata.
L'immagine è di me, quattro anni fa, a quest'ora, pomeriggio pieno, quando tutto è in possibilità, sta per accadere qualcosa, e sarà stanotte, con qualcuno a far qualcosa, per le strade di città, in qualche locale, dieci birre, jazz e io bellissima dentro le mie magliettine con spalla scoperta, un filo di trucco sugli occhi perché io sono il vero strepitoso trucco.
Fino all'alba. Fino a quando mi va.
E in questo mio pomeriggio, aspettando la buona possibilità, ho due, tre libri aperti, Rage against the machine al limite della legalità per questioni uditive, oppure la Bailey Rae più soffusa, qualche sigaretta, con le gambe all'aria sul letto.
Dio, ma voi ricordare la sensazione dei piedi all'aria sul letto della vostra stanza?
E le ore ferme.
E l'attesa della sera.
E le telefonate sceme e interminabili.
E alzarsi per far pipì e tornare a piedi all'aria.
E la porta chiusa.
Dio, la porta chiusa...
... la vostra stanza...

10.10.12

Particolari A4 di una scuola

Entri e quello che balza all'attenzione non dell'occhio ma di quell'organo interno senza faccia e senza nome (intuito?) è che la scuola che sto visitando è piena di buona personalità. La senti che è sveglia, allegra, leggera, attiva. Non hai ancora parlato con nessuno che sia portatore di questa buona personalità, eppure nell'aria lo senti.
Entri e sul muro vedi affisso un disegno a tempera su un foglio A4. E se su un banalissimo foglio A4 si ha avuto l'attenzione di scrivere "Su ispirazione dal "Ragazzo con cane" di Picasso", quell'organo interno senza faccia e senza nome mi dice che questo è buono.
La scuola è aperta.
Io su questa faccenda di tenere il coprifuoco a scuola non la penso bene. Penso che i genitori abbiano il diritto di partecipare alla vita scolastica dei propri figli. In qualunque momento della giornata. Penso che a fare i muri per certe paure, si creano poi altri muri e altre paure per situazioni che non lo meriterebbero.
Voglio che una scuola rimanga aperta per un entra ed esci sano e vitale.
Qui mi dicono che posso salire al primo piano a parlare con la maestra con cui ho un appuntamento e che nel frattempo sta facendo lezione. "Ma come? Posso?" "Certo, vada tranquilla". Mi scorta un'ausiliaria. Ma posso vedere cosa accade. C'è sicurezza, partecipazione, apertura.
Vedo, parlo, mi confronto.
Ridiscendo le scale, saluto e prima di chiudere il cancello riguardo quell'ispirazione su di un foglio A4.
L'intuito mi dice che è buono.

9.10.12

Anche Sofia non deve baciare i rospi

Tre anni.
Alla materna.
Così dicono.


L'abbiamo aspettata per mesi, io e Sofia. Fantasticando, supponendo, immaginandone le attività, uguagliandole a quelle svolte in casa. 
Mentre scrivevamo la A, la O, la M, la N, la P.
La S.
Mentre creavamo spettacoli con le marionette.
Mentre coloravamo i muri con gli acquerelli.
Doveva certo essere così, la materna. Solo più bella. Perché Sofia è un formidabile animale sociale, di quelli che per strada ferma tutti, grandi, piccoli, buoni, cattivi, simpatici, antipatici, e chiede loro il nome.
E si ricorda di ognuno di loro. Che ognuno di loro è un mondo a sé, e una bambina ancora lo sa.
E allora doveva essere più bella, la materna, perché c'era la maestra buona e tanti bimbi. E tutte le attività avrebbero avuto ognuna un colore speciale se fatte in compagnia.



8.10.12

Una donna che non bacia i rospi

Il mio datore di lavoro è un pasticciere all'antica, di vecchio stampo, prepara torte e ogni sorta di pasticceria come si faceva quarant'anni fa, senza additivi o esaltatori, solo ingredienti base, zucchero, farina, uova e nient'altro.
Il mio datore di lavoro è un imprenditore all'antica, abbatte i prezzi, li tiene bassi nonostante i rincari spropositati da ogni parte e un suo motto, se lo avesse, sarebbe: vendi a meno, vendi di più.
Il mio datore di lavoro è un uomo all'antica, desidera che il personale sia educato, pulito e ordinato.

E che sia esclusivamente di genere femminile. 
Perché la gentilezza del servire è donna.
Che sia di genere femminile piacente, perché la gentilezza del servire si ha solo in dotazione al pacchetto bellezza e avvenenza.
Che sia di genere femminile piacente e servile, perché donna, essendo lui un uomo all'antica, significa questo.
Significa rispondere ai comandi in un nano secondo, lasciare il lavoro che si stava svolgendo, andargli a comprare il giornale e poi essere rimproverate per non aver completato il lavoro che si stava svolgendo.
Significa andargli a fare la spesa e nel frattempo servire i clienti e nel frattempo mantenere pulito e nel frattempo uscire di nuovo a comprargli altro. L'inadempienza dei lavori che secondo lui dovrebbero essere svolti in sincrono non gliela si può giustificare col fatto che la teoria degli universi multipli, delle stringhe, della non località, sono straordinarie teorie che amo ma che nello specifico della nostra esistenza non sono state ancora messe in esperimento.

18.9.12

Menù a base di verde. Spegnete i condizionatori, ché se no i piatti si freddano.


Conoscete la storia del condizionatore acceso?
E no! che non la conoscete. Perché me la son inventata io in quella drammatica ultima ora di fine lunghissima storia d'amore col preciso intento di fare quell'unica cosa pietosa che è documento scritto e riscritto nel codice della dignità che per nessunissimo motivo s'ha da fare, nessunissimo, ma che alla fine noi tutti appartenenti alla grande stirpe eroica e prestigiosa dei cuori infranti ci ostiniamo a fare, ovvero salvare l'insalvabile. 
I battenti si stavano per chiudere, l'ora stava per scoccare, io non sapevo più dove andare a parare, e lì, con la testa impazzita, ad un tratto balenandomi l'immagine della sua stanza dove eravamo stati fino a due ore prima, ghiaccio polare che per staccare le mutande dal letto dovevi usare altro liquido di scongelamento, mi son inventata 'sta storia.
E niente, è la storia di questo condizionatore che fa un rumore infernale, sarà che è troppo usato, sarà che bisogna cambiare il liquido di raffreddamento, sarà che per forza devi arrivare alla temperatura che le mutande ti diventano di gesso e al momento del bisogno te le levi con un colpo di martello, comunque fa questo rumore assordante. Tu magari vorresti abbandonarti ad una pennica di fine pranzo siculo, dove la lasagna è servita come antipasto e lo zabaione come vivanda rinfrescante di passaggio tra un pasto e l'altro a mo' di sorbetto al limone.
Ma, nonostante la digestione sia appena iniziata e finirà solo tra due giorni, proprio non te la puoi fare 'sta santa pennica. Il rumore è fastidioso più di quello delle troniste della De Filippi.
E poi succede qualcosa.
All'improvviso.
Non l'hai voluto tu. Non hai fatto training autogeno per eliminare il mondo circostante.
E non è nemmeno un improvviso deficit uditivo.
E' che proprio non lo senti più. Il rumore del condizionatore non lo senti più.
I decibel dell'apparato son gli stessi ma è come se all'improvviso tutto si fosse ovattato.

Ti sei abituato.

23.8.12

Sostanza di un'impronta

Trovo una manina stampata sullo specchio del bagno. E' fatta di bianco e non so di quale sostanza sia. Forse sapone, o dentifricio, o tempera, non so.
Questa manina stampata sullo specchio è tutto il senso di questi giorni.
Giorni di equilibri su di un filo perché appena nati, di ritmi che non ci sono mai appartenuti fino ad adesso, di nuove alleanze messe su alla bell'e meglio, forse più per questioni di sopravvivenza che per scelta. 
Ci ritroviamo un po' ad annaspare in questa nuova vita, a muoverci con poca scioltezza e convinzione, ché se anche gli spazi son gli stessi e li conosciamo a fondo, e i corpi pure, e le voci, e le parole uguali anche, tutto però sembra essere sconosciuto, adesso che la giornata è scandita da ore vestite a nuovo, tutte rivoluzionate, e pesanti da digerire come fossero in jet lag.
C'è questa manina stampata sullo specchio che non so come ci è arrivata lì, che è di bianco ma non ne capisco la sostanza, questa impronta che non mi appartiene. Così come non mi appartengono più i risvegli la mattina, le tazze di latte, i vestitini stirati e i bagnetti e le domande e le risposte e i disegni e la doccia alle piante e i conforti dopo le cadute e la noia e i bicchieri colorati pieni di acqua ovunque per casa.
E cerco di colmare queste mancate appartenenze attraverso i racconti. Ma senza averli vissuti certi racconti non hanno senso, sono gli involucri di cibi consumati.
Per questo non chiedo quando trovo la manina stampata sullo specchio. 
Non importa, tanto lo so che è tutto il senso di questi giorni.

15.8.12

Pazzia?

La conoscete tutti, no?, la storia di quel re che regnava in un paese di grande pace ed armonia. Un paese dove tutto quello che di buono al mondo esisteva, lì c'era. I sudditi vivevano felici e nell'abbondanza ed ogni giorno era grande festa. 
E nel mezzo di questo paese c'era una fonte di acqua pura e benefica dove tutti andavano ogni giorno ad attingere per bere. Tutti tranne il re, che restava al palazzo a regnare perché tutto quel bene nel suo paese rimanesse intatto. 
Una sera una vecchia strega malvagia, inorridita da così tanto bene, avvelenò la fonte. 
E l'indomani, al sorgere del sole, i sudditi, ad uno ad uno cominciarono a bere, e bevendo diventavano all'istante, ad uno ad uno, pazzi. A sera il paese era tutto in subbuglio, urla, risa gracchianti, balli forsennati. E quello che era festa quotidiana nel paese, con tutti quei sudditi ormai pazzi, si trasformò in caos. 
Allora il re scese dal palazzo per andare a vedere cosa provocasse tanto schiamazzo. E vide che tutti erano pazzi. 
E cominciò ad urlare disperato perché tornasse la ragione. 
I sudditi, vedendolo, tutti in coro urlarono che bisognava scacciare quel re perché era diventato pazzo.
Il re non sapeva che fare. Lasciare il suo amato paese o rimanere?
Scelse di bere alla fontana avvelenata.
E tutti, sudditi e re, ripresero a fare festa.


Questa storia oggi mi appartiene. 
Perché lì, dove lavoro io, tutti parlano il siciliano stretto e, visto che la lingua, il linguaggio in genere, è forma di qualcos'altro, quel qualcos'altro è un cicaleccio vuoto di stupidaggini, male lingue, detti provinciali e starnazzi da basso sobborgo. Non solo non li comprendo ma non faccio nemmeno lo sforzo di capire e partecipare a così brillanti conversazioni.

Capite bene che lì sono io la pazza. 
Se non fosse che vengo costantemente elogiata dai miei clienti per il lavoro svolto, a conti fatti, tra colleghe, datori di lavoro e cicalecci, rimango pazza.

Francamente bere alla fontana non mi va. Partecipare alla festa, manco a dirlo.
Mi rimane però da capire se la mia sia saggezza o pazzia.

5.8.12

Ritrattazione di un post mai scritto

Più volte qui dentro mi è stato fatto notare quanto sia cervellotica. E a me questo mi fa sorridere e mi piace. Se non altro perché persone che non ho mai visto occhi negli occhi usano questo termine con precisione. Mi piace sapere che la radice più cruda di me esca fuori e da voi venga accolta. Mi piace molto.
Dico questo perché da una settimana direi invece che cervellotica, nel bene e nel male, non mi si addica invece poi molto.

Lavoro da una settimana. 

E siccome a me pare che tutto qui, su questa terra, stia in equilibrio, i pianeti, yin e yang, le ricette di torte, le rime baciate, i corpi che galleggiano, le risa e i pianti, il botta e risposta, i libri in libreria, le ceste sui capi delle donne africane, il concavo e il convesso, il bene e il male, i meccanismi degli orologi (mo' me fermo), ché secondo me la forza più forte che tiene in piedi tutta 'sta baracca non è l'attrazione ma l'equilibrio appunto, allora dato che lavoro di muscoli, spalle a pezzi, piedi a pezzi, per la legge dell'equilibrio, che poi sarebbe anche di compensazione, non mi riesce in questi giorni di fare l'intellettualoide free lance come al mio solito.
Insomma, avrei tanto da raccontare ma due frasi come due che stiano in piedi, in piedi non ci stanno.
Starei scrivendo un post che racconta di questa mia Catania diventata una China town con tutti i santi crismi per le modalità di pagamento poco consone ad un trattamento che voglia definirsi umano. 
Ma oggi sono felice e lontanissima dai toni di quel post, che comunque rimane vero e da condividere.

È che oggi ho ricevuto la mia prima paga settimanale. 
E sono felice perché non so se in questi tempi di magra, di crisi, di diritti soffocati da un lato e accampati e pretesi dall'altro, succeda spesso che un datore di lavoro, che conta finanche i centesimi, ti fa risparmiare sulla carta, sulle materie da utilizzare, alla fine, pur essendo la prima settimana di prova di un lavoro che non avevo mai svolto prima in vita mia, ti paghi di più del prezzo pattuito perché il lavoro che hai svolto lo ha meritato. E rimandando già al prossimo Settembre all'aumento.
Lui non sa che ho lavorato una settimana intera come una matta forsennata, senza fermarmi mai un attimo, come se avessi un diavolo dentro, perché in effetti io quel diavolo lo avevo davvero dentro.
E però lo ha visto. E senza che chiedessi mi ha pagata di più.
Inutile dire quanto sia soddisfatta. Di me. Dio, quanto tempo è passato da quando non...

Qualche paranoia e senso di colpa in meno.
E con i lucciconi scemi agli occhi.
Perché potete immaginare cosa andrò a fare fra qualche minuto per la prima volta in tre anni, no? :) 

20.7.12

- Not found -


Ovvero: Goethe, con quella storia lì dell'audacia, aveva trascurato l'importanza di certe materie prime per la realizzazione di un progetto.


19.7.12

Chi va con lo zoppo (quello che fa "miiiiiiiii")...

Tanto per chiudere l'argomento, no: il padre di Mercoledì non è Gomez.

Piuttosto è l'unica figura che potrebbe più avvicinarsi a quella di riferimento. Rimprovera Mercoledì con il giusto tono d'autorevolezza, quello che non ammette repliche o mosse false. Ma coniuga benissimo durezza e gioco.
Ché credo sia questo il segreto per educare al meglio: stare a metà tra autorevolezza ed elasticità.
Pendere verso l'uno atteggiamento o l'altro sono convinta che tolga al genitore qualsiasi diritto ad essere riconosciuto dal figlio come individuo attendibile.
Ho cominciato ad avere fiducia nel suo modo di educare in due circostanze. Una quando, dopo giorni e giorni di malumore da parte di Mercoledì, l'ho sentita una sera ridere a gola aperta. Uno specie di miracolo. Giocava con lui.
L'altra, quando, dopo averla combinata grossa, l'ho sgridata per la prima volta senza remore e lui mi guardava lasciandomi fare, evidentemente condividendo.
Insomma, la pensiamo allo stesso modo.
E questo mi pone nei suoi confronti in una condizione di rispetto e simpatia (ego dicet :).
Una pecca: abbondanza spropositata nell'utilizzo di "miiiii" e "au!", tipici intercalare del dialetto siciliano in fase di delirio (per maggiori informazioni potete approfondire qui, precisamente al minuto 1:58).
Francamente quando Sofia ha cominciato ad usarli ho avuto timore, ché non c'è niente da fare: l'esterno condiziona.

18.7.12

Morticia è morta di sonno

Ad ogni modo.
Sulla scena, grande assente ingiustificata, la madre di Mercoledì.

Morticia porta quell'occhio lì, quello di sbieco tale e quale a quello di sua figlia.
Controlla il mondo da quella postazione laterale, vicina alle orecchie. Forse è per questo che le viene difficoltoso guardare l'evidenza e rendersi conto di certe mancanze vissute dalla bimba.
Morticia cammina come se ai piedi avesse ballerine di plutonio, arranca e si trasporta annoiata. La vedi gongolare, invece, trasportata da nuova forza vitale quando accompagna la figlia dalla nonna. Il che succede un giorno sì e l'altro pure. Per il resto, nelle poche ore che è costretta da evidenti questioni a stare con la figlia, Morticia torna ad indossare il suo plutonio.
Morticia è muta, vive come un comò stracolmo di roba gli spazi che la circondano, tiene gli occhi bassi e sostanzialmente è presente e partecipativa quanto uno stendi-biancheria. A meno che.
A meno che, dovendo comunicare con la figlia, non lo fa armandosi di gola gracchiante e colma di provocazione.
Non un tono di sostegno, o affettuoso, o gioioso.
Solo rantoli soffocati o urla di fastidio.
Bisogna dire che Morticia aspetta, ma pare più che porti una gestazione da elefantessa piuttosto che quella di una al terzo mese appena.
Morticia non è cattiva, è solo comodamente seduta nel suo essere una morta di sonno.

E mentre tengo a casa mia le bimbe e Mercoledì dà sfogo alle sue mancanze, da un remoto lontano si sente la voce di Morticia, colta da un misterioso moto di vita, chiamare: "Mercoledì, ci sei? non ti sentivo più".

No, Morticia, non avere timori. Tua figlia era solo impegnata a ricoprire il pavimento di carta igienica.
Continua a dormire, tu.

17.7.12

Mercoledì tutti i giorni della settimana

Lei ha questa faccia un po' così, tra l'annoiato e il "ti combino un malaffare a metà tra il tentato omicidio e l'incidente domestico".
Lei non guarda mai dritto negli occhi, a meno che tu non la stia sgridando e lei ti fissa vuota pensando già a come ti potrà prendere per il culo non appena avrai girato l'angolo.
Se avesse proprietà di linguaggio, probabilmente tutte le manifestazioni d'affetto le chiamerebbe "un riprovevole utilizzo di agenti chimici sulla cute".
Ascoltare musica e ballare, stare sotto le lenzuola, mangiare il gelato, non sono attività da lei tollerate, piuttosto le provocano all'istante un imbambolamento seccato e gelido, a meno che tali attività non siano un mezzo per arrecare danno a qualcuno, tipo gridare e dimenarsi ossessa come un derviscio psicopatico; strappare di mano le lenzuola, buttarle a terra e calpestarle; mangiare sadica l'ultimo gelato impossibile da condividere, genere stick polaretto.
Il suo miele, la sua marmellata, quello che la attrae fortissimamente, sono i luoghi che ho severamente vietato di praticare: un burrone, un roveto, un deposito di ferraglia arrugginita, insomma i soliti scenari di grande ispirazione poetica.
Lei è Mercoledì, ha quattro anni, vicina di casa nonché prima compagna di scorribande di Sofia.
Se per scorribande si possono intendere attività come scagliare un vaso di terracotta sui piedi di Sofia e puntarle poi il dito incolpandola, oppure prendere i peluches e sbatterli sul muro con pulsioni vicine a quelle dei film di Hitchcock.

14.7.12

C'era una volta un pesce di nome Veronica

Succede che ogni qualvolta qualcuno mi mette in discussione, mette in discussione qualche mia caratteristica, mi si può vedere all'istante trasformata in un contenitore di furia di tutte le megere che la letteratura e la vita reale hanno sfornato nelle ere. Qui da me lo sanno tutti.
E sono sicura che qualcuno di voi mi abbia già vista in azione da qualche parte.
Trovo che sia un formidabile esercizio di eloquenza e insieme catarsi dello spirito quello di usare a mio favore acidità e sarcasmo, che mi diverte parecchio dato che in genere è una pratica che non uso quando mi trovo allo stato mansueto.
La verità è che al di sotto dello strato superficiale di belva sbavosa e furiosa, sono una che ingoia e metabolizza i colpi. Insomma mi metto in discussione, spesso come con una specie di rassegnazione. Ai vari "sei così" "sei cosà" e "non dovresti essere così" "non dovresti essere cosà" mentre mi si vede rispondere lotta dura senza paura, in verità a conti fatti tra me e me rispondo "ah, va bene".
"Sei così", "sei cosà", "non dovresti essere così", "non dovresti essere cosà".
"Ah, va bene".
Se chi come me ha coscienza del fatto che mettersi in discussione sia una prova di intelligenza, di spirito, di acume e quant'altro faccia di un uomo comune un uomo "al di sopra", avrà coscienza anche del fatto che alla lunga questa prova di alta umanità e intelligenza mette paradossalmente k.o. proprio la sua umanità e intelligenza e tutta una serie di spinte personali che posso essere riassunte in coscienza di sé e autostima.
Perché la messa in discussione ad oltranza e senza certi filtri porta alla distruzione delle certezze.
E tanti saluti all'uomo "al di sopra" che da tutto questo ne esce annichilito, molto "al di sotto" di quello che potrebbe essere.
Scusate, ora la smetto con Nietzsche.

11.7.12

Salto in alto



Il punto è che ho un progetto.
No, anzi: il punto è che ho preso la decisione di dare forma e carne a questo mio progetto.
Ho preso la decisione.
No, dico, ma mi sentite? 
E non ho molte altre parole adesso, non me ne trovo in tasca, forse perché, come molti di voi colti dal sacro fuoco della creazione già sapranno, tutti i miei pensieri stanno lì, sul quel disegno, sulla forma che prenderà, su come farò a dargli esattamente il timbro e il colore di quello che ho in testa.
La cosa straordinaria è che tutto quello che ho fatto, ho amato, ho portato avanti nella mia vita fino ad adesso e che fino a qualche giorno fa sembrava una testa di medusa scollegata e amorfa, senza né capo né coda, senza ragione né senso omogeneo, adesso ha un senso. Tutto ritorna e si posiziona dentro questo progetto.
Ogni mia attitudine, intuizione, passione che ho assaggiato come se fosse solo un contorno di passaggio, adesso è diventato primo ingrediente e corpo di quello che ho in mente di fare. 
Persino quello che ho imparato a fare su questo blog in questi due anni adesso so con certezza che sarà il motore di quello che sto creando. Anzi, vi dirò, il nome scritto sulla futura insegna e relativo logo sono qua dentro già da un po' :). Sono nati per gioco, senza sapere che sarebbero diventati una specie di ossessione e il dna di questo progetto.
Io credo sia tutto uno specie di miracolo.
E più faccio conti e traccio le linee del disegno più mi rendo conto di quanto ci sia tutto di me, di quello che sono stata e ho fatto senza neanche saperlo. E ora comincio a saperlo.
E poi è chiaro: c'è Sofia. Nel senso che il tutto è disegnato su di lei, sul modo e il contenuto che voglio che viva, su quello che di grandioso e di favoloso manca in questa parte del mondo.
"Favoloso" è in effetti la nota che mi ispira e che mi muove. Funambolico, immaginativo, spettacolare, dove lo spazio e la sua bellezza faranno da scenario creativo.
Mi è stato detto che qui sarei una pioniera. Ed è un bel complimento, che un po' mi dà da pensare visto che quello che intendo mettere in piedi dovrebbe essere comune come l'aria, e un po' mi dà forza e mi motiva.
Perché mi serve adesso essere incoraggiata visto che, ovvio, l'idea, l'inventiva, la creatività, la fantasia e la passione non sono nulla se manca l'ingrediente segreto, quello che "move il sole e l'altre stelle": le palle.
Perciò, niente, a dire il vero questo è un post genere atleta che prima del salto in alto incita il pubblico a sostenerlo.
E perciò chiedo a tutti di incitarmi, magari di applaudirmi ed esaltarmi pur mentendo spudoratamente come fanno le amiche che anche quando sei uno schifo ti fanno sentire la Regina di Giordania.
Sostenetemi.
Siate anche voi le mie palle.
Ché io faccio il salto.

20.6.12

Io non sono come lei (io vorrei, non vorrei, ma se vuoi...)

Gira sta voce che dopo i primi due anni pazzi dalla nascita di vostro figlio, in genere il primo, la ruota, quella che, appunto nei primi due anni, perde fluidità, s'arrugginisce, gira come quei vecchi carri sgangherati di qua e di là come fosse ubriaca, quella ruota, che poi sarebbe la ruota della vostra personalissima vita, gira sta voce che poi dopo i primi due anni ricominci a girare bene.
S'intende probabilmente una specie d'affrancarsi reciproco, del genitore e del figlio, l'uno dagli squilibri della sindrome "non avrai altro genitore all'infuori di me", l'altro da quella visione che ha del proprio genitore come distributore automatico, quello tarocco senza monetine, di soddisfazioni delle proprie necessità.
Ora, non so come dirvelo, cari genitori che domani compirete i primi due anni pazzi e siete già con lo spumante in mano pronti a brindare per la vostra ritrovata libertà, voi che avete prenotato un viaggio ibicenco, o che avete messo in una pila ghiotta tutti gli arretrati da leggere, o che avete già disposto le vostre trenta candele profumate su quella vasca yin e yang om #sonountutt'unoconl'universo,
non so come dirvelo, ma questa voce mi pare 'na minchiata.

La verità è che continuerete ad andare dai vostri suoceri in quel del paesino montanaro, tra vegetazione, casolari e presenze semoventi: età media centoquattro anni, e durante il viaggio in macchina canterete "La stessa voglia di vivere in casa di riposo che ho"; guardando con cupidigia la pila degli arretrati da leggere, continuerete ad aspettare con ansia l'arrivo dell'azione corrosiva del consumismo*, che nei libretti di cartoncino spesso delle favolette non arriva mai, mai, mai, mai... ; e continuerete a farvi quella doccia tristissima, durata massima venticinque secondi, durante i quali non vi rilasserete mai, (mai, mai, mai...) aspettando l'imminente catastrofe di là in cucina #sonountutt'unoconloyogurtdisseminatosuldivano.

16.6.12

L'amore in Albania

Erding o Erdin o ancora non so, ma se lo senti pronunciare ricorda Ederlezi di Goran Bregovic.

E in effetti quando entra in casa, per la prima volta dopo un anno, Erding o Erdin o ancora non so, ma Ederlezi, quella sì che la so, quella musica, viscerale, triste e potente, come certi dolori che non appena si urlano, clarinetti, trombe e violini messi insieme, sono già belli che finiti, e quando entra in casa Erding o Erdin che se lo senti pronunciare ricorda Ederlezi, quella musica si sente ovunque, si sente anche col naso, viscerale fin dentro le sedie dove siamo seduti. Una musica che porta un dolore già bello e finito.

E lui seduto ci sta, composto e senza postura. Rimane curvo, un giovane curvo, occhi verde-azzurri, giovani loro, giovane lui, e curvo. Ci puoi pensare tutto lì sopra a quella curva, dopotutto è messa così in vista, senza postura appunto, ché ci leggi tutto, scritta come la mano sinistra delle zingare. Ci vedi tutta la vita di Erding o Erdin, in quell'attimo che lo vedi seduto, giovane e curvo. Che "senza postura" è semplicemente quello che è: Erding o Erdin, o ancora non so.
E adesso, è chiaro a tutti, bisogna dare parole a quella musica, che qui, stasera a casa nostra, una sera qualunque in Italia, mia madre, mia sorella, io, stasera, a casa nostra, quella musica bellissima che ha la colpa di venire dall'Albania.

9.6.12

Sono rimasta indietro

Oh! Oooooh, bimba,
che quando ti aiuto è un affronto e mi è rimasto quasi solo prepararti da mangiare
che ti siedi sul wc come se non fossero due giorni che lo fai
che quando siamo fuori non vuoi più la mano
che la mia presenza non è più imprescindibile ma significativa tanto quanto tutte le altre
che in strada non cammini più e non inciampi e non hai timori e non senti più il bisogno di esser presa in braccio ma corri, corri velocissima
che non chiedi ancora i perché ma è un continuo di cos'è e le mie risposte a volte cominciano a zoppicare
che parli al telefono con chiunque e non aspetti più che ti imbocchino domande e risposte; adesso al telefono racconti quello che più ti va di raccontare, ché cominci ad avere le tue storie dove in tante già non figuro più
che trascorri i tuoi pomeriggi con la tua amichetta e io raccolgo i giocattoli
che non sopporti più le tute comode e pretendi pizzi e merletti tutto il tempo e non so perché ma mi sembra una questione d'adolescenti
che sei un po' meno dolce e più determinata
che se fosse per te non torneresti mai a casa e l'altro giorno, uscita di mattina e tornata quasi a sera, mancava poco che ti aspettassi seduta sul ciglio di casa come le madri addolorate di cinquantanni fa e non l'ho fatto solo per questioni di pudore e decoro
oh! ooooooh! su, bimba,
stai un po' ferma adesso,
vieni qua, in braccio, stiamocene un po' così, facciamo che il mondo oggi non ti interessa,
facciamo che siamo di nuovo solo io e te.
facciamo finta.

8.6.12

Stregatta ci cova

Non ho capito che specie di problema abbia certa gente nei confronti del sorriso.
Una vita che ci combatto.
Pare che il consenso generale al sorriso sia dettato da questioni di reazione: sorridere ad una battuta, ad un evento, ad una buona notizia, ad una condizione di contentezza. Avviene qualcosa e come un giocattolo interattivo premi un pulsante e tac! ridi. Reazione che come ogni dinamica del mondo ad un certo punto si esaurisce e trova la sua fine.
Dopo c'è uno stato neutro, amatissimo questo dal senso comune. 
La faccia non deve avere espressioni, non tira né all'insù, né all'ingiù. Sta in mezzo sospesa, finché un'altra reazione non la porta su o giù.
Ecco: a me è la neutralità che mi frega. O il pulsantino, non so. In tutte le cose della mia vita, non so stare neutra. O va bene o va male. O rido, o sono incazzata, o triste. O su, o giù. 
E siccome, anche quando il periodo non è dei più floridi, io se sto con la gente in genere mi svago, non penso ai guai del mio orticello ma a quello che mi porta nel bene e nel male in quel momento chi mi sta di fronte, succede allora che la gente mi veda sempre ridere.
E questo non è tollerato, non si confà, non s'addice. A meno che la persona in questione di fronte a me non abbia appena sfoderato la sua migliore ironia o comicità o non abbia un pezzo di lattuga tra i denti e allora via col tac!
La gente in genere non capisce e fraintende il mio sorriso e quasi sempre corre a controllarsi i denti.
Baby, a meno che tu non abbia vinto la lotteria, sia incinta, abbia ricevuto un premio di carriera, o non sia Ghandi, vedi di toglierti all'istante quel sorriso non reattivo. Senno sei scemo oppure mi è rimasta la lattuga di ieri.

2.6.12

Short Life Stories: Illusioni notturne

La scenetta nasce qualche notte fa, precisamente quando per la prima volta Sofia decide per sua libera scelta e volontà di emancipazione di dormire nel suo letto. Tutta la notte.
Nel lettone io e il Riccio sembriamo due olive in salamoia appena fuori dalla salamoia. Non sappiamo che farcene di tutta questa libertà improvvisa, non ricordiamo da dove si inizia.
In uno dei tanti nostri risvegli notturni, perché anche ritornare alle vecchie posizioni nel sonno risulta difficile, "non siamo abituati" il Riccio dixit, rantolando. 
Ecco. Di questa nostra prima notte, il vero frutto è stata questa Short (di quando si dice che a volte le catene che ci opprimono davvero sono solo nella nostra fantasia; le altre stanno finalmente dormendo nel loro lettuccio):



29.5.12

Vi racconto una storia vecchia - ashtag #quellocheavreivolutodiresuTwittersesololadirettaTwitternonfossefallita

Perché ieri la prima cosa che mi è venuta in mente appena sveglia è che avrei voluto raccontare con dei tweets gli anni 3 di Sofia, i preparativi, la festa.
Questo credo avrebbe risolto lo strano rapporto che ho con Twitter, visto che ancora non ho trovato il modo di servirmene bene. Mi dico che forse sono una specie di purista, nel senso che non mi piace usarlo come fosse una chat da condominio. D'altro canto le frasi lapidarie da Dalai Lama mi sembrano pretenziose e da saccente.
Stare in mezzo, come sempre, mi sembra un compromesso ragionevole.
Stare in mezzo raccontando una storia, mi sembra la soluzione migliore.
Magari, nel frattempo, è possibile che a furia di raccontarle, le storie, non oggi, non domani, né il prossimo 2 giugno, ma un giorno forse ci salveranno.

E invece niente.
Dopo una manciata di tweets mi sono arresa. È che in effetti sono una che per raccontare le storie che vive, appunto, le deve vivere.
Metterci in mezzo l'occhio che analizza, che giudica, che sceglie cosa è meglio raccontare, cosa no, mentre stanno accadendo, mi toglie buona parte di consapevolezza. Questo è anche il motivo per cui non sono una fotografa. Non riesco a rinchiudermi dietro quel box circolare senza avere la sensazione di stare perdendomi buona parte della storia. Inutile specificare che c'è chi invece riesce a seguire le narrazioni, focalizzarne i dettagli, soltanto attraverso quel box.
Appunto, non sono una fotografa.
E, in senso lato, mi sembra sia chiaro di non essere nemmeno una fotografa del momento presente.
Mi serve arrivare alla fine delle storie, bruciarle tutte, non lasciarne acceso fin l'ultimo dettaglio, per poi capirle e comunicarle.
Appunto: poi. Con me funziona il poi, l'a posteriori.
E invece penso che si dovrebbe tenere più in conto la potenza di questo megalito che è internet e che nel racconto del momento presente trova la sua potenza. Specie per le storie, appunto.
Voglio dire, le storie su internet diventano vecchie dopo appena qualche ora.
E non è un qualcosa da legare necessariamente agli orrori dei fast food. È che in questo modo avviene in presa diretta la cernita delle storie. Quelle buone diventano vecchie storie. Quelle inutili diventano storie vecchie.
In questo caso dunque il fast (ma anche il food in un certo senso) ha l'utilità di preservare il nostro bagaglio, la nostra memoria, dalle cose futili. Ci lascia invece quello che deve rimanere. Che diventa vecchio, quello buono, perché il tempo ha il buon senso di preservarlo da se stesso e se lo porta a spasso.
Imparerò, magari.

Nel frattempo vi racconto questa nostra storia di ieri, già troppo vecchia da un giorno.
E per restare in campo, mi pare logico provare a farlo così:



Oppure




22.5.12

Tutta la voglia di abbracciare Sofia che ho

Non lo so se lo avete notato, io sì, che i contenuti e la forma, in adeguamento ai contenuti, del mio scrivere su questo blog stanno cambiando.
E mi sembra bellissimo. Uno, perché quando si cambia è quasi sempre in meglio, anche quando sembra in peggio. Due, perché chi lo avrebbe mai detto che un giorno le questioni del mondo mi avrebbero interessato davvero.
Me la son sempre fatta alla larga dalla politica, quella dei partiti, dei governi e dei tg. Ho partecipato, sì, a tutte le occupazioni che un liceo classico di antica e radicata cultura prevalentemente comunista richiedeva all'occorrenza, ma forse oggi mi dico più per questioni ormonal-adolescenziali che per un reale senso di partecipazione politica.
La mia politica era più concettuale, teorica, più esistenzialista, forse perché anni di studio ripetuto dei grandi tre, Socrate, Platone e Aristotele, hanno alla fine lasciato il loro zampino su quella che sono. Ho sempre pensato che da un lato ci fossero i politici, con i loro affari e rimestaggi, e dall'altro la vera gente che vive la propria vita.

20.5.12

Italia, mea culpa

L'Italia sta implodendo, o esplodendo, come più vi piace.
Il succo è che L'Italia sta morendo, sì.

Facciamo allora che additiamo questo mostro incorporeo che è la politica, il potere, le lobbies, i meccanismi e le dietrologie da complotti, e poi, visto che siamo gente pratica e moderna, e le incorporeità non ci piacciono ormai un granché, ché è finita già da un pezzo l'epoca del Romanticismo, gli diamo un nome, il primo che viene, anzi quello che è più in vista e va di moda, ché così non solo non facciamo magre figure ma non dobbiamo neanche sforzarci se non siamo dotati di grandi intuizioni creative. Ora Berlusconi, poi Monti, poi Bossi, poi Grillo, poi che ne so Pappa e Ciccia, e così fino alla fine delle liste in voga del momento con il beneplacito del copia e incolla da parte dei media.

17.5.12

Colpo di fulmine e prima impressione: piccole grandi idiozie crescono


Ho sempre disprezzato la questione del colpo di fulmine, riferita a quell'ottundimento istantaneo del cervello di fronte ad una prima impressione piacevole. Più che piacevole. Di gradimento. Più che di gradimento. Perturbante, ecco.

4.5.12

Anche la legge del contrappasso è rosa

Oggi, signori, in nome del rosa, la creatività s'è spenta, martire indifesa.

Allora, come lo facciamo il vestito?
Rosa.
... ok. E le scarpe?
Rosa.
... mmmh, va bene. E le braccia?
Rosa.
... ma magari non ti andrebbe un bel...
Rosa.
Rosa. E la faccia? 
Rosa.
Ma che, te sei inceppata?

2.5.12

Fiori di lillà

Qualche post fa ho raccontato del mio modo a mio parere poco coraggioso di districarmi tra la dipendenza di Sofia per il ciuccio invocando in mio soccorso una fantomatica fatina ruba-ciucci platinata (glossy glossy direbbero in certi spot per cerebro-glossyglossy-lese, secondo questi perché il prodotto che cercano di rifilarci risulti glossy glossy più appetibile e venga scelto per un glossy glossy suono condizionante). 

Se all'inizio ha funzionato far leva su questa sua nuova tendenza di bimba treenne al platinato, al pagliettato, al principessato, in una parola che sintetizza su tutte, al rosa (gente, non mi venite a dire che le scelte di colore - rosa femminucce, azzurro maschietti - è il frutto di condizionamenti culturali di genere. A casa mia rosa non compare nemmeno se lo cerchi col microscopio, nemmeno se fai la danza sotto trance africana, nemmeno sotto effetto di allucinogeni, nemmeno se lo cerchi nella mia libreria personale sotto il nome di Eco. Odio il rosa come una mosca l'insetticida. Vesto nero da una vita e colori come cammello e grigio chiaro mi sembrano già una scelta coraggiosa e di momento gioioso. Per cui mia figlia, che da qualche tempo ha fatto voto di rosa, sono certa abbia fatto una scelta indipendente e autonoma. Anzi, visto le premesse, si può dire che la sua, in questa famiglia, sia una scelta rivoluzionaria e di rottura).

25.4.12

Volevo solo dirvi, amiche mie

Volevo solo dirvi, amiche mie,
che siete venute e mi avete cambiato
come solo certi incontri sanno fare in così poco tempo,
veloci e generosi come quel vento su Acitrezza.

24.4.12

Sfidare il presente ovvero "Full metal Jacket"

"Complimenti! L'azienda ha ricevuto la sua candidatura."

Complimenti un paio di zebedei! 
Sono la seicentosettantaquattresima candidata disperata per numero di posti vacanti sei. 
Perché quello che mi infastidisce davvero non è poi tanto il numero vergognosamente in eccesso rispetto al più piccolo che non sta nemmeno se gli applichi la formula della relatività, nemmeno se gli togli il vuoto, lo impacchetti per bene e lo spedisci a Bangkok per direttissima. Quello che mi infastidisce è l'enfasi del punto esclamativo in allegato al complimenti.
Complimenti! Lei è uno sfigato. Punto esclamativo.

Va bene, lo so.
La verità è che a volte si arriva ad essere come dei vecchi arteriosclerotici cui girano le palle anche solo per degli spifferi.

C'è che non sempre si riesce a tenere alto il morale, il sorriso stampato di chi non cede.
È tipico di chi ha spedito il curriculum fin su all'Himalaya e ancora non riesce a pagare le bollette. Tipico di chi ha telefonato fin dove parlano il turco e alla fine si rende conto che le ricariche, il loro costo, sono un vuoto a perdere.
È tipico di chi sente un esubero ancora prima di avere avuto il posto da occupare come esubero.

19.4.12

Salve, sono un'appestata sociale

E chiedo preventivamente scusa per la rabbia mal gestita, ma è che sono profondamente delusa.

Dal giorno in cui ho pubblicato il post di denuncia nei confronti di un modus operandi di certe aziende in sede di colloquio applicato alle donne, non è mica successo nulla di sostanziale che facesse della questione un fatto isolato e sfortunato.
Anzi. Continuo giornalmente, ripetutamente, fino a ieri sera, a incrociare storie di donne che escono sfiancate e amareggiate da ridicoli colloqui di valutazione che poi, come è ovvio, non sono altro che la punta dell'iceberg di una precisa visione delle aziende, ormai diffusa e silenziosamente accettata col beneplacito di tutti in nome di questo nuovo dio garante della moralità che oggi chiamiamo crisi.
Perché con "crisi" vengono ormai liberamente giustificate senza possibilità d'appello tutta una serie di lesioni dei più basilari diritti umani che, bisogna dire, non guardano al sesso, all'età, alle etnie e territorialità, che non guardano più a nessuna differenza che non sia quella che la cieca adesione a tale politica possa fare agli interessi di chi le applica. 
Rallegriamoci, perciò, beniamini della democrazie, perché in questo la crisi è fortemente democratica.
E però c'è tutta una realtà che si arrampica selvaggiamente sulla questione e prende forme specifiche e irripetibili.
Noi donne.

16.4.12

Livelli

Prendersi sul serio significa stare davanti l'edificio, nascosta dietro un angolo, guardando inebetita, ubriaca e intimidita, ché certi edifici ti danno alla testa non certo per la loro struttura architettonica ordinaria.
Prendersi sul serio significa, ad un certo punto, all'improvviso e senza una ragione apparente, decidere di uscire da quell'angolo e fare le scale che portano all'ingresso, del tutto impreparata su quello che si sta facendo, sprovvista di tutto, persino della più pallida idea di quello che si dirà tra due secondi.
Prendersi sul serio significa presentarsi all'ingresso come "Salve, sono una pazza" talmente emozionata di essere anche solo sul ciglio della portineria. "Salve, sono una pazza e vorrei scrivere dei pezzi per voi".
Prendersi sul serio significa salire il primo piano di scale, ancora ubriaca, senza aver perso miracolosamente la capacità primaria di deambulare dopo aver sentito un "Vada là" senza alcun tipo di tentennamento da parte di chi lo diceva.
Significa incontrare i primi giornalisti, guardare quelle facce piene di parole, annoiate e intelligenti, scambiarsi due battute e trovarsi simpatici.
Significa entrare in un'ala dell'edificio assieme a qualcuno che ha un codice per attivare un'apertura, passare altre piccole prove, rispiegare ogni volta, ad ogni livello, di essere una pazza, e salire altre scale.
Prendersi sul serio significa guardare gli occhi divertiti di qualcuno in segreteria di redazione mentre non faccio il minimo sforzo per nascondere tutta l'emozione che ho.
Prendersi sul serio significa tenere in mano un post it su cui è scritto il nome e cognome di chi oggi pomeriggio avrà di fronte una pazza.
Prendersi sul serio significa ridiscendere tutti i piani e le scale e camminare veloce ridendo come un'idiota con quella strana sensazione di aver vinto non si sa bene che cosa.

E insomma, non ne sono ancora sicura ma mi pare di avere capito che prendersi sul serio significa non prendersi sul serio.
E trovare il coraggio, ad un certo punto, all'improvviso e senza una ragione apparente, di svoltare l'angolo. 


11.4.12

Cose belle

Cose belle mi fa pensare a quella disposizione tutta speciale che hanno certi venditori di mercatini alla periferia della società di urlare la bellezza dei loro prodotti. Poi vai a vedere ed è robaccia da quattro soldi. E però ti rimane quella loro spavalderia e faccia di culo nel dar forza alla loro robaccia. Sono artisti della robaccia. La guardi, non sai che farne, sai già che una volta a casa la butterai, ma, caspita, quel loro teatrino sulla millantata pregevole qualità merita un applauso e adesione incondizionata.
Questo per chiedervi di aderire incondizionatamente alla mia robaccia, ora che ve la urlo come cosa bella.

3.4.12

Come un'amazzone sull'onda

Io credo che dovremmo smetterla di usare questo caspita di pensiero positivo, o post moderno, o dello sviluppo, o quant'altro di robaccia simil, mmmm... non so, capitalista. Insomma questo modo di pensare sempre spinto in avanti, sempre spostando più in là gli obiettivi, sempre ridefinendo il limite, anzi superandolo continuamente, non mi sembra ci abbia sempre portato bene.
Avanti, avanti, avanti, andiam, andiam, andiam, ancora, ancora, ancora.
Non fermarsi mai. A tutti i costi.
Che poi, ma quanti son alti alla fine sti costi, no?
Questo genere di pensiero così schizzato in avanti mi fa pensare a quando lavoravo all'aereoporto vendendo carte di credito. La prima settimana cinque carte di credito andavano bene, due settimane dopo dieci andavano bene. Tutti ci arricchivamo. Guadagnavo benissimo, e figuriamoci se nella catena di montaggio della vendita quelli sopra di me non lo facevano, non ci guadagnavano, se io ci guadagnavo. Poi mi son fermata a dieci. Dieci. Una settimana prima dieci andava benissimo. Sette giorni dopo era diventato un numero di merda.
Cresci, cresci, cresci, aumenta, aumenta, aumenta.
Ma all'improvviso quale specie di prurito demoniaco t'è venuto se sette giorni fa ti arricchivi benissimo e ora non ti basta più? E quindi secondo te tra un mese dovrei vendere in quattro ore cento carte? E dove li trovo in una botta sola tutti sti idioti?
Io ero più che convinta, e lo sono ancora, che esiste solo una piccola percentuale di idioti, giusto quella che serve a confermare la regola che l'essere umano è un essere intelligente. Per cui, di conseguenza, nella vendita di ste carte di credito, ero più che convinta che dieci o venti, toh, delle mie carte più quelle dei miei colleghi avrebbero più che coperto giornalmente quella percentuale che serviva a sfamare le fauci dell'azienda.
E invece no.
Evidentemente il mio numero percentuale non corrispondeva al loro.

24.3.12

Pro pro prova prova

Fiuuuuuu: ce l'ho fatta.


No, è che se vi capita qua e là di leggere certi post alla Soule Mama's mood (scherzo: tengo alto il livello d'attenzione) o genere trasposizione in testo dei finali di Grey's Anatomy, vi esorto a non pensarla come ad una tecnica di comunicazione navigata di una rivista settimanale da quattro soldi che tende a far leva sulle nostre basse tendenze Armony sempre in agguato (sì, è una critica, sì, a certe editorie). 
No, è che è davvero la mia vita. La mia vita che sta cambiando, che sta prendendo una piega diversa, che fino a qualche mese fa era una merda e ora trova nuove risorse che mi va di celebrare in questo modo, con le parole, visto che siamo qui. E visto che qui non mi verrebbe poi tanto facile suonare la mazurka.

21.3.12

Shall we dance la Figoeira?

Bazzicando il bar a fibre ottiche, dopo un'attenta analisi, un silenzio da dietro il palcoscenico per osservare meglio, alla fine sono giunta a una qualche conclusione: nel mondo del web esiste la Figoeira. Chi la balla è in. Ma colui che la balla non direbbe mai in. In è out. Anche dire che dire in è out, è out.

1. Presenzialismo. L'amore per la Figoeira ti porta ad essere presenzialista in ogni luogo, in ogni lago (cit.) del web. Appena emetti aria, quest'aria deve raggiungere anche i più oscuri anfratti della connessione. Chi non è connesso, chi non accede a quell'aria, via!, è fuori. Ti si può trovare ovunque. Ti si deve poter trovare non appena si clicca una qualsiasi prima lettera di una qualsiasi ricerca su google. Non sei più una persona: sei un account vivente. Ed è solo così che aumenta lo stuolo di chi accrescerà con il suo numeretto preso a far la fila l'autorevolezza del tuo essere figoerista.

19.3.12

Ragazza dinamica, con buone capacità di problem solving e di leadership, professionale, determinata e flessibile, salterebbe primo colloquio di valutazione.

Versione integrale.

('mmazza, però, che capelli che ho...)
Buongiorno. Mi scusi se l'ho fatta attendere. Si accomodi.
Buongiorno. Si figuri. Grazie. 
Allora, allora, allora... Ho appena visionato...
(azz!... il capello...)
... il suo curriculum. Ecco... mi sfugge di cosa si è occupata negli ultimi quattro anni.
(tenda in spiaggia, test, panza, me la cresco fino ai due anni tanto lui lavora, ohi ohi lui non lavora più, ohi ohi dicono che c'è la crisi, ohi ohi è un anno che cerco lavoro) ...
Mi scusi, ha detto "ohi ohi"?
No, dicevo "oh! io ho": io ho gestito una piccola... impresa... a conduzione familiare.

17.3.12

Gattacce di primavera

Se qualcuno dovesse chiedermi a quale personaggio mi potrei riferire dovendo parlare di me stessa, ecco, credo che non farei fatica ad identificarmi in Mary Fisher di She-Devil. 
Alla fine del film, però. 
Cioè, quando lei, delusa dall'amante, la famiglia del di lei amante, la moglie indemoniata, i casini, i rosa, i pouf, le pagliettes, la vita meringata che si costruisce e di cui scrive, ecco, dicevo, alla fine, presa dal disgusto per lo zucchero che impera nella sua vita e le ha reso solo una carie, lei alla fine sceglie di diventare nera.
Nera. Genere scrittrice maledetta. Genere continuo, profondo, proficuo ma fastidioso rantolo. Genere o rantolo o morte. Va bene, non vi sto qui a descrivere il colore e il tono dei "maledetti" ché sappiamo bene tutti.
Comunque sì, io sarei così. Non saprei bene dire quando è avvenuta la scelta, quand'è che ho vestito i panni della lady maledetta invece di quelli pastello, o giamaicani, o donna delle Fiandre o fluo di questi ultimi sgargianti tempi moderni. 
Forse quando, meno di dieci anni, regalo di una Pasqua, su un castello di cartone il cui interno aveva contenuto un nuovo di Pasqua della nota azienda di uova-ovetti-ovoni, invece che la storia di una principessa da salvare con l'ammore, inscenavo una psico tragedia familiare tra puffetta e Barbie. 
O forse quando nei miei pomeriggi di bimba libera, invece che scendere giù a giocare ad un, due, tre, stella!, preferivo ragionare sul principio cosmico dell'esistenza.

12.3.12

Cuscini e ciucci. Noi che a volte parliamo al soffitto

È che poi a volte per strada ti perdi qualcosa. Ci provi a tracciare i confini, le linee guida, i marciapiedi ideali da cui dovrebbe essere difficile sbordare. Ci provi a fare in modo di andare dritto, visto che andare dritto dovrebbe poi essere più semplice che allungare con strade secondarie non asfaltate e poco illuminate. Ci provi. In fondo, prima che una buona strategia esistenziale, è innanzitutto matematica basilare.
E invece, traaack, succede che senza che neanche te ne rendi conto hai sbordato eccome. Le strade impervie le hai imboccate perché alla fine non tutto si presta facilmente a calcoli e strategie. La vita, si sa, non è allegra dispensatrice di codici prestabiliti, metri e gessetti, purtroppo. La vita è una cavalla senza paraocchi. Lei non segue marciapiedi, lei galoppa.

9.3.12

Guarda la nera

E poi però a volte mi prende la paura. Quella bieca nera che trova risorse per se stessa un po' ovunque, nelle cose lasciate incomplete, nei giochi a terra da spolverare, nella puzza delle cicche, le calze noiose di notte a terra, l'aria acida di freddo dagli spiragli della porta. Se la trova, la risorsa, persino sui giubbotti informi lasciati sulla sedia appena tornati da fuori, ché il fuori pare non sia servito a risparmiarli, i resti di ieri sulla tovaglia. La nera copre le rughe dei muri, il piede della cassapanca sbeccato per chissà quale urto, lo sbecco a segno dell'involontarietà dei gesti, ma anche sui buchi del piano in arte povera, l'intenzionalità dei quali pare comunque non serva ad allontanarla. La paura vive sui buchi.
E si attacca alle forme che mi girano intorno. E' così che se la cava di essere evitata, ché lo sa che sono una che non chiude gli occhi.

La paura è un paradosso sulla mia persona: lei trova risorse per se stessa ogni qualvolta mi sembra di non trovarne più per me. 

E se.
E se adesso le dico che tutte quelle sue risorse, persino i buchi, sono poi le stesse mie e ci faccio quello che voglio, persino con i buchi?
E se adesso le tolgo ogni cosa, raccolgo i giochi da terra, ci gioco, ci riprovo col giubbotto, lo metto e vado fuori; e se allo sbecco smetto di dargli il nome di errore e comincio a chiamarlo storia, solo una storia?
Io dico che così la fotto. La sbecco.

4.3.12

Voi dei bottoni

Ehi voi gente dei bottoni di sharing,
che in live from America da quando vi ho messi non fate altro che ticchettare spasmodicamente, forse perché siete perfezionisti dell'efficienza del bottone, o forse perché siete professionisti della condivisione del sapere, forse perché vi siete auto promossi a ripetitori digitali delle informazioni, o forse meglio perché mi dovete dimostrare che avendo io scelto i vostri bottoni su tutti gli altri miliardi di miliardi di bottoni, essendo i vostri in effetti così tanto carucci, so cute, secondo voi i miei lettori vedendoli, presi da convulsa e irrefrenabile esigenza di ticchettarli, dovrebbero all'improvviso abbandonare le loro capacità di critica e di ragione e mettersi lì anche loro a ticchettare senza alcuna ragion di contenuto, neanche perché vinti dal nuovo comandamento sharing the love, ma per il solo fatto che ticchettare i vostri bottoni sia bello perché belli.
Vi faccio presente però che i miei lettori son gente di ingegno e non regalerebbero mai la loro preferenza su post di una scrittrice in erba media (la scrittrice, non l'erba) per un sopraggiunto edonismo visivo da cute bottons.
Per questo son convinta che siate voi, lì dall'America, a far qualcosa.