10.3.20

Il metro di troppo

Cosa faremo adesso?
Senza baci, senza abbracci, senza braccio con braccio in pizzeria, fino a ieri una minaccia al nostro personale spazio vitale se non fosse che ora lo spazio vitale si è fatto largo quanto un campo di calcio, discussioni lente e vicine mentre si sorseggia il caffè, strette di mano, pacche su spalla, prego si sieda sul bus stracolmo, universitari che di venerdì riempiono di valigie le pance degli autobus, il mercato del pesce, le file lunghe e noiose alla cassa, e quelle sfigate più lunghe e noiose col prodotto che non passa, il bagno negli autogrill, il cornetto di notte nel bar migliore, il venerdì di Pasqua stracolmo di gente che si ostina a vedere Gesù crocifisso, con gli stessi occhi usati la mattina per l'oroscopo, non ci credo ma lo leggo.
È quarantena o Quaresima? Quando si digiuna, si spengono i rumori di troppo, si tolgono gli orpelli, i pesi, si ridimensiona ogni cosa che a furia di gonfiare e ingigantire ci è scoppiata tra le mani?
Ci piace gonfiare e ingigantire tutto, a noi. Le torte, le macchine, le case, il numero degli amici o quello delle scarpe, delle calamite sui frigo, le imprese, gli amori, persino i dolori.
È che siamo ciechi, abbiamo bisogno dei micro e telescopi per vedere, e un po' sordi, e le cose non ci toccano poi molto, per sentirle devono essere dure e spigolose, urlate, evidenziate, taggate, scosse, esplose. Dobbiamo ingigantire tutto per sentirci vivi, devono farsi macigni le cose perché le piume sono invisibili di fronte ai golem.
Ci è piaciuto tantissimo stirare a decenni quelli che dovevano essere dieci minuti di celebrità. Ma perché mai dieci minuti, se possono essere venti, ore, mesi, anni, decenni, se possiamo esistere più a lungo?
Ci è piaciuto moltissimo portare avanti la nostra personale celebrità che abbiamo scambiato subito per voce del verbo esistere e fare terra bruciata tutto a attorno, che dentro al selfie non ci sta, non sta bene.
Noi, solo noi, sempre noi, ma super connessi, mai realmente soli, guardati, ammirati, commentati, spiati, copiati, criticati, toccati, 20 milioni di followers, trenta milioni, 10,5 B di likes, impressions, visualizzazioni, numeri enormi, come quelli dell'universo.
Una legge dice che non esiste l'osservato senza l'osservatore.
E se noi esistiamo perché ci guardano numeri di occhi vicini a quelli dell'Universo, basta un momento di sconforto, o di noia o di leggerezza, o di stanchezza per arrivare a pensare che noi siamo l'Universo.
Ma se noi siamo l'Universo, dentro al nostro metro vitale chi c'è?
Se alzo lo sguardo dallo schermo c'è il divano su cui siedo, la stufa, il televisore. Attorno al mio metro vitale, che tanto ho voluto tutelare, non c'è nulla che viva sul serio, che scambi anidride carbonica con ossigeno e viceversa, o pianto per conforto e viceversa.
È tutto chiuso adesso.
Non si esce, non si alzano le serrande dei negozi, le strade deserte, i bar, gli uffici, le banche. Dov'è adesso tutta la vita che abbiamo gonfiato per ingordigia e che però abbiamo tenuto lontana per amore dello spazio vitale?
Ora che per legge dobbiamo stare lontani si sta incrinando qualcosa.
Che non è solo l'ottusa tendenza dell'uomo a desiderare, smaniare per qualcosa che gli è divieto, come le caramelle, la tipa inarrivabile, il lavoro da sogno, la macchina costosa, la mela, sempre la mela.
È semplicemente che è da troppo tempo che abbiamo quel metro di vuoto, di troppo.
E è stato messo sotto la lente di ingrandimento per tutti noi ciechi.
Il microscopio del virus, il telescopio dei media.
È troppo tempo che abbiamo quel metro di vuoto attorno.
E da adesso, a vederlo, possiamo colmare.

Che cosa ne faremo di tutto questo tempo?
Questo tempo stirato, allungato, contratto a piacimento come le calze di nylon, la pelle sotto le mani del chirurgo, il pinocchio di legno con le giunture in elastico.
Un gioco, tutto un gioco il nostro, persino come dare cibo al tempo. O per lo più, farlo morire di fame.
Sarà lui a far morire di fame a noi. Vuoto, noioso, lento, soffocato, balbuziente.
Non basterà fare torte, giocare a risiko, guardare serie, pittarsi le unghie, pulire case, smanettare al pc.
È arrivato il tempo del tempo, a riprendersi tutto ciò che gli abbiamo sottratto.
Nessuno stavolta, ma proprio nessuno si salverà dal fatto che siamo sotto una feroce, tragicomica, meravigliosa, tirannica, salvifica quaresima, dove tutto è quarantena, digiuno, fermo.
Finalmente.

Uscirà tanta bellezza da questa storia.
Le maestre già a lavoro che si riscoprono massaie, inventano ricette, danno pasti assemblati alla bell'e meglio per non lasciar affamati i bimbi, colmano con compiti e libri in aggiunta, in un tentativo matto e disperato di eludere il digiuno, ma che solo il ritorno in carne a scuola, maestre banchi bambini astucci temi addizioni voti bidelli merende campanelle, potrà colmare.
In carne.
Sarà questa la grande bellezza: tornare in carne ed ossa.

A toccarci, pacche, strette di mano, mercato, piazza, tazzine di caffè, aperitivi, bolletta della luce, in carne ed ossa, la pizza in pizzeria, il panino in panineria, non sopportare la folla, i campi di calcio, non sopportare il calcio. Ma col corpo.
Dirlo occhi con occhi, viso a viso, la voce roca, squillante, bassa, bambina, adulta e dietro i volti in carne ed ossa, le labbra che aprono e chiudono, i fiati, le mani che gesticolano, che toccano. L'incontro.
Alla fine torneremo a non sopportarci, forse, solo non più dietro a tastiere, ma davanti a facce davvero antipatiche. La grande bellezza è che saranno belle anche le facce antipatiche.

7.11.18

La sezione aurea di un trasloco

Fine del trasloco.
Le lumache fanno presto a trasportarsi la roba. È una pallottola di niente la loro, eppure ammucchiata secondo i criteri grandiosi di Fibonacci e sezione aurea: quella loro pallottola di niente è inscritta nei progetti che ha il cosmo riguardo alla bellezza.
Le lumache si portano addosso la meraviglia con lievità, in modo per nulla difficoltoso, ecco.
Noi invece che di vera bellezza non ne sappiamo più poi molto, abbiamo la necessità di far pacchi, pacchi su pacchi, pacchi piccoli, medi, grandi, giganti, quintali di carta di pubblicità dei market cittadini da avvolgere sulle cose della nostra vita.
Io se avessi potuto scegliere, avendo ancora sulla pelle il quanto ci sia costato reperire dieci anni di robe di vita, avrei magari avuto più cura nella scelta del nostro packaging esistenziale e senza tanto stare a scomodare Fibonacci mi sarebbe bastato avvolgere le nostre paccottiglie con, non so, le poesie di Alda Merini, le prove su carta di Modigliani, gli spartiti di Einaudi o fantasmagorie del genere.
E invece, eccole lì le nostre cose: una vita di dieci anni stipata in vagoni di Lenor, Coccolino e volantini tutto a meno di un euro.
Ma credo non sia un caso, questo. Che le nostre vite traslocate finiscano a far marchette, intendo.

29.6.16

Per un niente

L'incanto, quando fuori è la spesa, le marmitte, le bollette, la spazzatura che brucia, il condominio, la tariffa speciale,
il nulla, davvero, il nulla,
le antenne, il telegiornale, il mare morto che fa da sepolcro e noi di sopra a far la crociera, la gente che ha dimenticato qualcosa ma non sa cosa e allora urla, le verdure coi pesticidi, e i solfiti e nitrati, roba che non so, ma che hanno brutti nomi che solo a dirli, a pronunciarli ti inquini.
Se invece dici bellezza, dici bellezza.
E allora tutti a correre, a parlare di nulla, davvero, di nulla,
a scappare,
tutti pazzi, e arrabbiati, e inquinati senza saperlo. A invocare bellezza senza saperlo.
E non bisogna avere paura, dicono, bisogna aggredire, dicono.
Ma io non ho mai imparato
e quelli lì fuori mi fanno paura, ché mi sembrano tutti fuori di sé, tutti:
quelli al supermercato, alla posta, dal meccanico, in condominio, al telefono, quelli che annunciano le morti e poi la dieta per il bikini, piangendo e ridendo con un click, un telecomando.
Io non ce l'ho questo telecomando e quelli lì fuori continuano a farmi paura.
E una stanchezza che stavolta nemmeno il mare è riuscito a togliere. Ché lui in genere può, ma stavolta no. Il mare è morto. E se nemmeno il mare riesce a togliere la stanchezza, mi sembra tutto perduto.

Ma poi per un niente l'incanto.
Giuro, per un niente.
Per i capelli di Sofia, forse.
O forse per il balsamo sulla mia schiena portandole con i primi due spiccioli un costumino nuovo azzurro, forse. E lei bellissima con l'azzurro addosso, e vederla così un balsamo, e la ragione alla schiena spezzata era solo quella.
L'incanto per un niente.
Forse per la ballata di un nostro amico con la fisarmonica e gli archi e tutto il resto che solo a pensarla ti vien da piangere e non vedi l'ora che la senta il mondo intero, giuro, il mondo intero, ché una canzone con la fisarmonica e gli archi e tutto il resto che ti vien da piangere solo a pensarla secondo me il mondo intero lo guarisce. Come i grembiuli e le torte flosce nel forno, i bambini, il cielo cobalto.
C'hai davanti un pazzo e tu gli canti quella canzone e lui d'improvviso guarisce.
Che è un niente, giuro, un niente, che guarisce.
Come quando hai una pianta, le dai l'acqua tutti i giorni, tutti,
nonostante la schiena spezzata, i pesticidi, la gente che urla,
e lei è rigogliosa, ma poi all'improvviso una notte succede qualcosa, qualcosa deve per forza succedere se poi l'indomani dopo essere stata rigogliosa la trovi secca, completamente, da rimanerci secchi. Secca d'improvviso.
E tu continui a darle l'acqua, tutti i giorni, tutti, come sempre, e all'improvviso una notte succede qualcosa, qualcosa deve succedere per forza se poi l'indomani dopo essere stata morta le trovi addosso un fiore.
E allora pensi che forse di notte non succede niente.
E nemmeno quando le dai l'acqua succede niente.
Che forse è per un niente se una pianta decide di morire o regalare bellezza.
Giuro, forse è per un niente se, in mezzo al mondo pazzo, arriva l'incanto.
Con fisarmonica e archi e tutto il resto.
Da rimanerci secchi.


4.5.16

Per un millimetro

Giuseppe ha sei anni, è maggio, non legge e non scrive.
Sofia ha sei anni, è maggio, legge una storia intonando le frasi e scrive in corsivo cosa la rende felice, annoiata e triste. Scrive di pace e di guerra.
Giuseppe ha lo zaino lercio, a volte pieno zeppo di spazzatura e di cose che non servono, a volte vuoto, di colori, matite, quaderni, e adulti.
Sofia dentro la zaino porta le cose in modo decrescente: dietro i libri, poi i quaderni, poi i due astucci, infine il porta merenda.
Per quanto io sia tentata, la verità è che non so dare misure di felicità. Ho smesso da un po', che la bilancia per questo genere di cose non è mica affidabile e l'anima a volte sguazza felice negli inferni e annaspa intontita dentro le più comode delle vite.
Però mi capita di pensare che a volte è questione di un millimetro se due vite di uguale bellezza prendono storie diverse. Non so, una giornata storta, una pasta scotta, una stanchezza più forte, un cartello stradale sbagliato.
Per un solo millimetro, di deviazione infinitesimale, non so, una giornata storta, una pasta scotta, una stanchezza più forte, un cartello stradale sbagliato, due vite di uguale bellezza alla fine vanno una a capo nord e l'altra a capo sud.
Ma sulla felicità niente, me ne sto zitta.
Quello che faccio è ripulire lo zaino di Giuseppe, togliergli le erbacce e le malerbe, temperare matite, seminare parole.
Che è già maggio.

3.5.16

Api e chiappe, qui

Quello della doccia è uno dei momenti più catartici e sovversivi, qui. Le chiappe al vento sbattute ovunque, in cucina, sulla casa di Peppa Pig, sulla bicicletta, hanno una fortissima valenza simbolica, talmente evidente da non dover essere spiegata.
È anche un momento mistico ed escatologico. "Toh, cane, ti libero!". L'imposizione delle chiappe nude sul muso del cane pare lo guarisca dal suo essere intrinsecamente reprobo, degno del castigo divino fatto di pulci e zecche.
Sofia marca il territorio così, attraverso l'imposizione delle chiappe su territori altrimenti impraticabili se non con addosso l'adesione ad un dress code per lo meno essenziale.
Il nudismo legittimo, legittimato da una causa di forza maggiore quale la doccia, la lascia poi libera di sperimentare il total nude in tutte le varianti: nudo con tacco 12 misura 37, nudo con occhiali da sole, nudo con mestolo e scolapasta, accessori di tendenza reperiti dal lavabo dei piatti sporchi. 
Ma al momento del nudo con cintura fashion di coda di cane ancora vivo, do segni di cedimento.
Sofia non puoi... comincio a... corri subito in...
Mi sembrano però da subito interventi fuori luogo, frutto di scarsa pazienza e di troppo peso agli spot di Napisan.
Abbiamo sterilizzato talmente tanto che le api muoiono, il polline primaverile ci avvelena e gli antibiotici si prendono come fonzies: se non ti lecchi le dita godi solo a metà.
Insomma, in questa furia, qualcosa ci è sfuggito di mano.
Temo abbia colpa uno scribacchino maldestro di motti, uno che ha ricopiato male "lotta alle cose che nuocciono alla nostra vita".
E adesso mandiamo avanti una "lotta alla nostra vita" senza senso.
E in questa guerra fredda, persino l'anima, mi pare, abbia preso un non so che di asettico, un colorito biancastro; sterilizzata e vuota, come un set ospedaliero con divieto d'accesso ai temutissimi guizzi di vita non controllati.
Le lascio mettere le chiappe nude su tutto, dunque.
È gran festa qui.


Niki Boon, che fa foto per ricordarmi che la vita che mi piace esiste davvero.