28.10.13

Un giorno all'anno, il mondo a posto

Mi alzo nell'ora che porta uno dei nomi più evocativi in fatto di possibilità, quel nome che al solo pensarlo ti sembra che la solita giornata, fatta di soliti gesti, gesti con i soliti effetti, soliti effetti che fanno di una giornata la solita giornata, ecco, solo pensarlo quel nome, ti sembra che oggi possa essere un oggi diverso. L'aurora. Il bello della potenza evocativa di certi nomi.
Ho il tempo per fare un po' di filosofia del linguaggio spicciola.
Preparo il caffè e stavolta aspettare che esca non è una danza macumba perché la moka lo faccia il più presto possibile. Stavolta aspettare significa aspettare davvero, senza premere tasti fast foward mentali.
Con la tazzina caldissima in mano, sono talmente tanto in anticipo che posso dedicarmi al mio lavoro grafico come se davanti avessi una giornata intera, prima che si svegli Sofia.
Sono talmente tanto in anticipo che stamattina invece di farle indossare quei tessuti polimerici lava e metti di impareggiabile sinteticità che nemmeno sotto bombardamento atomico conoscerebbero una grinza, decido di prepararle una di quelle magliette strato su strato che se pensi di indossarla devi cominciare due giorni prima a stirarla.

24.10.13

Short Life Stories: Cosino senza nome

Stamattina ho voluto parlare con la maestra di Sofia per spiegarle il fatto di ieri, per metterla in guardia forse, non so. 
Lei non ha fatto nessuna piega, ha tenuto a precisare che no, lei non si scandalizza, ma che a scuola questi argomenti non possono uscire. 
Così come è vietato accompagnare i bimbi in bagno, oppure cambiarli se hanno avuto qualche contrattempo.
E insomma è così. Nessun termine di mezzo, nessun equilibrio. O troppo o niente.
Tornando a casa ho pensato che una volta usavano il bastone allegramente per educare i bambini, e che adesso il bastone si usa ancora, però stavolta per dare le pacche di gradimento, un bastone con un moncherino alla fine, perché è sconveniente di questi tempi avere un qualche minimo contatto tra maestr* e alunni.
Aspettando che il senso della misura torni un po' ovunque, io nel frattempo ho immaginato questo cosino qui sotto alle prese con una contemporaneità eccessiva, sregolata tra i banchi di scuola.
Cosino ha già delle storie, ma non un nome né per il momento alcuna possibilità di essere animato come io vorrei.
Aspettando. 


23.10.13

Partly Cloudy: Il sonno della ragione genera mostri

Ogni giorno nello zainetto di Sofia trovo un disegno, fatto alla buona, velocemente, a fine giornata scolastica su un foglio A4 poi ripiegato e messo assieme ai resti della merenda. Sono disegni che non seguono il percorso didattico ma lasciano ai bimbi la libertà di esprimersi, senza guida e suggerimenti.
Stamattina, mentre preparo lo zainetto, trovo un foglio disegnato sulle due facce.


Qui la nostra artista Sofia, in arte Sofa, ha espresso, attraverso un uso rigorosissimo dell'arte concettuale, il movimento portato all'estremo e volutamente caotico di bambini, rappresentanti a pieno titolo l'epoca post-moderna del disordine psicotico, mossi unicamente da un insensato impulso a lasciar che il loro corpo infantile, espresso magistralmente dall'artista attraverso tratti sfoltiti ai minimi termini, corra senza centralità né mete all'interno di uno spazio costrittivo quale solo il foglio A4, in una grandiosa allegoria dello spazio artistico inteso come spazio vitale, si presta ad essere, 
dichiarò un cuore di mamma, dopo aver pensato "che culo!" avendo letto in alto a sinistra il titolo dell'opera scritto dalla maestra, fonte immediata di illuminazione sul significato occulto dell'opera.

11.10.13

L'amore che trema

Non torno mai indietro. Quasi mai.
Non lo faccio per un piccolo difetto di fabbrica nella funzione memoria.
Dimentico con sconcertante precisione centinaia di accadimenti della mia vita. 
Ho dimenticato quelle scarpe, epiche ed epocali, che ho portato per anni, talmente perfette da poter essere indossate d'estate e d'inverno, sempre, ogni giorno, abbinate ad ogni cosa, ad ogni storia, talmente perfette su di me che a vederle, in un'immediata associazione significante tra oggetto e soggetto, tutti pensavano "è lei". Le ricordano ancora tutti quelle scarpe, le ricordano al minimo accenno di un loro particolare, e continuano tutti a dire "eri tu". Io invece per ricordarle ho chiesto che le disegnassero.
È probabile che in questi casi la memoria si inceppi per una mia generale mancanza di interesse riguardo alla storia della mia identità, figuriamoci riguardo alle cose che in qualche modo "hanno fatto" la mia identità ma che comunque cose rimangono.

Ciò che invece sopravvive con ostinazione al difetto di fabbrica è quello che sa darmi una risposta al com'è che oggi sono arrivata qua, in questa stanza, su questa sedia dove sono seduta ora, i mobili intorno, le mie nuove scarpe che indosso.
Come quell'interminabile, senza possibilità di soluzione, primo affamato bacio col Riccio, iniziato di notte accanto alla porta del locale aperto e finito all'alba accanto alla porta del locale chiuso.
In mezzo, le sue mani tremanti sulla mia schiena.
Nessuna orribile locuzione romantica da soap opera da quattro soldi, prego.
Ma letteralmente, praticamente, mani tremanti.
Qualche ora prima, ancora prima che potessi chiederlo, lui con in mano il bicchiere di whisky ambrato tremante: "Non mi drogo e non faccio uso di psicofarmaci. Lo giuro, Vostro Onore".
Perciò adesso, accanto alla porta del locale, il suo tremore essenziale sulla mia schiena per tutta la notte, troppo bello, troppo facile a farmi innamorare.

Da qualche giorno un centro d'eccellenza qui in Sicilia ha finalmente saputo dare un nome, quello vero, al più generico tremore essenziale del Riccio.
Sarebbe anche un bel nome, dal sapore squisitamente francese, se non fosse che il difetto di fabbrica della mia funzione memoria ha già fatto il suo dovere, eliminando dalla patologia del Riccio le terre francesi e lasciando l'unica cosa che mi interessa ricordare.
Che l'amore, quando c'è, trema.

1.10.13

La sassaiola #2: Il ritorno di Maria Antonietta

Per la prima volta in cinquanta anni, Oro Saiwa sceglie di destinare una parte del ricavato alle famiglie povere italiane.
Mi rendo conto, in un moto di banale rassegnazione, come dopotutto non ci sia rimasto altro che questo: salvare l'Italia affamata a suon di biscottini.