28.12.13

Sei pagine


Fortezza. Mi torna in mente senza che io l'abbia voluto mentre faccio le cose della mia vita, distrattamente, come quando ci si scopre a tenere tra le dita un oggetto di piccole dimensioni, un pezzo di carta, una chiave, un lembo di giacca, e pare che si sia insinuato da solo come solo l'arroganza ottusa delle cose di piccole dimensioni sa fare.  
Non so dove l'abbia letto, ma insomma sarà stato in uno di quei giri alla cieca di ricerche e risposte che prima o poi arrivano sulla strada, di questa meravigliosa qualità dello spirito che nel nome porta il senso di una battaglia.
Fortezza. Non forza. Fortezza. 
Come se stavolta, per la prima volta nella storia secolare tra carne e spirito costruita sempre in verticale, per lo spirito fosse necessario andare giù, richiamare una qualità fisica, di materia, di pietra, di cemento, di struttura che non cede, per andare un po' più su; per la prima volta, l'elemento materiale, molecolare, si fa mattone perché lo spirito possa esprimere questa virtù. 
Fortezza: l'impulso a non fermarsi di fronte agli ostacoli, procedere con pazienza, fermezza, avanti. Avanti. Non guardarlo l'avanti, quel porto nero pesto dove non si vede niente, ma andargli incontro, un passo alla volta, un passo alla volta.
Ognuno il proprio passo, un passo alla volta. Il musicista una nota alla volta, il costruttore un pilastro alla volta, il pittore un colore alla volta.
Io, una parola alla volta.
Costruisco storie, io. O vorrei, via.
Ma a me quell'avanti mi frega. 
Io lo guardo quel nero pesto, non mi fa abbastanza paura da distogliere lo sguardo ma, allo stesso tempo, non ho abbastanza fortezza per andargli incontro, un passo alla volta, una parola alla volta.
Sono a pagina sei.
Il primo passo l'ho fatto. È il secondo che non riesco a fare. 
Mente chi parla del coraggio di compiere il primo passo. Non c'è coraggio nel lanciarsi ad occhi chiusi. Lo fa la pioggia, lo fa un sasso, lo fanno le foglie. Lo fanno le cose, che sono cieche.
Coraggio è fare il secondo passo, ad occhi aperti, dopo aver visto il primo, continuarlo.
La verità è che adesso l'unica cosa che vorrei fare è salire sulla cima della montagna più alta, non avere nessun peso addosso, nessun peso dentro la testa, nessun peso dentro, fare come un crocifisso abbandonato sull'ultimo avamposto di vuoto e starmene a braccia aperte senza parole, guardare il mondo giù, guardarlo tutto, o almeno fare finta che sia tutto, ché neanche un crocifisso può tenerlo tutto dentro, il mondo, e lasciarlo parlare, farlo spogliare nudo, costringerlo a rivelarsi. Da laggiù salirebbe ogni storia, lo so, ché le storie sono la nostra aria calda. 
Ma la verità è che io lassù sulla montagna ci rimarrei confinata a urlare soltanto, senza alla fine raccoglierle le storie. Ne coprirei ogni parola, anzi. 
Perché ora, dopo aver scritto le mie prime sei pagine, le possibilità infinite che hanno le parole di raccontare le storie mi fanno una paura matta.

E adesso sapete qual è il contrario di fortezza.
Pusillanimità.
Nessun senso di battaglia nel nome.

10.12.13

Impressioni dentro una libreria


E penso che sarebbe bello se ogni libraio conoscesse ogni libro, ogni storia, ogni contenuto parola dopo parola dentro ogni costa multicolore dei chilometrici scaffali di questa libreria. 
Sarebbe bello se di ogni storia il libraio avesse la stessa conoscenza che si ha con le persone in carne e ossa, dal cui spazio limitato di carne e ossa si tira alla fine una somma, una parola, una sensazione, perché dietro quello spazio seppur limitato c'è un infinito complesso difficilissimo da comprendere, e allora non si può far altro che far così: tirare somme.
Ed è bellezza e cruccio assieme, quello dell'essere umano di tirare somme. È l'unico suo modo per non perdersi dentro la marea complessa di ogni cosa, tira una somma ed è fatta, sa, conosce: il mare è genitore, castiga e culla, la terra è alimento, la paura è pietra, Sofia è figlia mia.
Tira una somma, l'uomo, sulle cose e così le conosce. 
Eppure no. Come si può in modo definitivo dare una somma al mare, alla terra, alla paura umana, ai figli, senza perderne qualcosa? Qualcosa di sciocco o di fondamentale, non conta. Pur sempre qualcosa. 
Sarebbe bello, allora, se ogni libraio conoscesse in carne e ossa ogni libro, tanto da saperne tirare le somme di ognuno e districarsi in quel chilometrico getto di storie, ma definitivamente, senza saper perderne niente del loro senso.
E a partire da quella parola che è somma, il libraio potesse consigliare alla gente la storia che le serve, facendo così:
"Mi dica una frase"
"Come, scusi?"
"Una frase. Mi dica una frase."
"Ma quale frase devo dire?"
"Appunto. È lei che me la deve dire. Qualsiasi cosa le venga in mente."
E da quello che alla gente viene in mente, saperne tirare alla svelta un'altra somma, abbinarla come sposa a quella di una delle chilometriche storie di libri che conosce, e dire:
"Tenga. Questa è la storia di cui ha bisogno. Questa è la storia che la salverà".
Sarebbe bello se ogni libraio conoscesse in carne e ossa le persone e le storie che vanno in cerca le une delle altre in carne ed ossa.

5.12.13

Donna Chisciotta


Non ho mascherine protettive perciò attorno a naso e bocca mi avvolgo una sciarpa.

Nel frattempo mi viene in mente il primo anno di liceo, quando da subito fu evidente che sì, la filosofia mi apparteneva. Per la prima volta scoprivo che tutti quei miei contorti, appassionati processi mentali, portati al massimo delle possibilità, non erano una malattia, o una stramberia naif o temporanei rigurgiti intellettuali post fumo, ma avevano un nome, una loro legittimazione, era filosofia.
E come in tutte le cose, anche per la filosofia, si sceglie, o forse no, che tipo di filosofo essere.
Sostanzialmente si può essere un filosofo terreno, fare politica, studiare l'uomo, a volte vaneggiare di spirito e anima, ma tutto sommato salvarsi, rimanere saldi qui, perché l'uomo defeca e chi sceglie di vaneggiare intorno all'uomo prima o poi, spirito, anima o intelletto che sia, deve sempre confrontarsi col meccanismo della defecazione, e rimane a terra. Si salva.
E poi ci sono i Don Chisciotte della filosofia. Quelli che farneticano, se gli parli ti guardano come se fossi un marziano, quando invece la verità è che i marziani sono loro, perché non sono qui, su questa terra, ma stanno cercando il Fondamento. 
Il fondamento dell'esistenza, il fondamento degli effetti e di tutte le cause che generano tutti gli effetti. 
E visto che è evidente che tu non sei il Fondamento, mentre cerchi di instaurare con loro un qualche tipo di contatto, loro guardano oltre le tue spalle, si sa mai che il Fondamento sia proprio lì, dove non puoi mai guardarti. 
Cercano il Fondamento persino del loro cercare il Fondamento.