5.12.13

Donna Chisciotta


Non ho mascherine protettive perciò attorno a naso e bocca mi avvolgo una sciarpa.

Nel frattempo mi viene in mente il primo anno di liceo, quando da subito fu evidente che sì, la filosofia mi apparteneva. Per la prima volta scoprivo che tutti quei miei contorti, appassionati processi mentali, portati al massimo delle possibilità, non erano una malattia, o una stramberia naif o temporanei rigurgiti intellettuali post fumo, ma avevano un nome, una loro legittimazione, era filosofia.
E come in tutte le cose, anche per la filosofia, si sceglie, o forse no, che tipo di filosofo essere.
Sostanzialmente si può essere un filosofo terreno, fare politica, studiare l'uomo, a volte vaneggiare di spirito e anima, ma tutto sommato salvarsi, rimanere saldi qui, perché l'uomo defeca e chi sceglie di vaneggiare intorno all'uomo prima o poi, spirito, anima o intelletto che sia, deve sempre confrontarsi col meccanismo della defecazione, e rimane a terra. Si salva.
E poi ci sono i Don Chisciotte della filosofia. Quelli che farneticano, se gli parli ti guardano come se fossi un marziano, quando invece la verità è che i marziani sono loro, perché non sono qui, su questa terra, ma stanno cercando il Fondamento. 
Il fondamento dell'esistenza, il fondamento degli effetti e di tutte le cause che generano tutti gli effetti. 
E visto che è evidente che tu non sei il Fondamento, mentre cerchi di instaurare con loro un qualche tipo di contatto, loro guardano oltre le tue spalle, si sa mai che il Fondamento sia proprio lì, dove non puoi mai guardarti. 
Cercano il Fondamento persino del loro cercare il Fondamento.
Pazzi che camminano in automatico senza sapere dove stanno andando perché guardano lontano un punto sfocato 'fondamento' 'fondamento', mormorando, delirando 'fondamento' 'fondamento', cadaveri che passano la loro vita a cercare il punto dei punti, il nodo dei nodi, il perché dei perché. Appunto dei Don Chisciotte.
Chi pensate chi io sia?
Donna Chisciotta.
Però, c'è un però. 
Conosco i limiti del vaneggiare, li conosco perché a volte lì ho valicati. E oltre mi pare ci sia una specie di forma di schizofrenia.
Non buono.
Mi salva l'essere vorace di carne, in senso letterale e figurato, vorace di vita, della terra e del terreno, vorace di musica, di cibo, di contatto fisico, di bagni al mare, vorace di velocità quando guido, vorace di scontri, di litigate, di senso di caldo quando fuori è freddo, vorace di odori, quelli buoni, quelli antichi, come la farina e lo zucchero, lo stufato di carne, il pane, Sofia, le parole ispirate dei Benigni, le cause e le firme, vorace di storie, quelle vere però, quelle delle scarpe usurate dal tanto camminare. 
Quando diedi Filosofia teoretica, il luogo ideale dove si raccolgono tutti i vaneggiatori del Fondamento, nessuno dei miei colleghi capiva la storia dell'Io e del Non-Io di quel Fichte.
I miei colleghi erano sani, gente di questa terra.
E poi c'era un collega che aveva capito perfettamente Fichte e a cui Fichte aveva dato il colpo di grazia e lo vedevi mormorare tra un chiostro e un altro "Io, non-io, Io, non-io".
E io che stavo a metà, un piede a terra e l'altro nel mondo iperuranio, capivo Fichte senza per questo vaneggiare, diedi la chiave di svolta ai miei colleghi sani usando la storia della scala: l'Io era la scala e il Non-Io era tutti i gradini che compongono la scala.
I miei colleghi mi invitarono a cena, io presi la lode e l'appellativo di Romantica.
No, non quella sentimentale, sebbene i film di Francesco Nuti mi facciano commuovere senza scomodare gli ormoni del ciclo in circolo, ma la romantica da Romanticismo, che in ogni cosa della vita vede rimandi, simboli, simbologie, sensi oltre il manifesto.
Medita il nuomeno e la trascendenza, ma si salva perché non disdegna il senso intrinseco dell'appagamento sensoriale del sesso e dei calamari fritti.

Ed eccomi qua.
Non ho mascherine protettive perciò attorno a naso e bocca mi avvolgo una sciarpa.
Anche adesso, come ogni giorno da due settimane a questa parte, sono qui a togliere merde di cane dal soggiorno. La puzza è nauseabonda, anche gli occhi quando si posano vomiterebbero. C'è cacca di ogni specie, dura, semi liquida, liquidissima. È ovunque, non c'è un metro quadrato intonso.
E la sciarpa non mi protegge da questo odore che brucia le papille olfattive, inebetite dal miscuglio della fonte da cui salgono le esalazioni, merda e candeggina.
Questo periodo avrebbe un unico titolo: Spalo Merda e Vomito.
Lo avrebbe se non fosse che sono una romantica, no? Vedo simbologie ovunque, rimandi di significati che vanno oltre il fatto.
Dunque la cacca che sto togliendo, che mi sporca pure le mani, non è un semplice fatto.
È qualcosa che mi costringe ad andare a fondo, giù, giù, nelle viscere dell'esistenza, humus spaventoso eppur necessario e vitale.
È il coraggio, perché alle sei del mattino prima ancora di prendere il caffé è coraggio, di sporcarsi e poi ripulirsi, perché lo spirito, il senso di tutto è questo: è andare sotto la superficie, ancora più in fondo, fino al candore, quello vero.
Perciò sto toccando merda che in realtà è il veicolo per raggiungere la purezza, l'essenziale, il fondale.
Il superfluo da mondare.


Sì, sono una romantica.
Oppure, diciamolo, sono una balorda che si inventerebbe di tutto pur di restare a galla, pur di non naufragar in questo mar di.