30.1.11

Rincontro

A volte si incontrano persone che toccano, piacciono, o inquietano, intimoriscono, infastidiscono, attraggono, qualcosa evocano, senza una ragione, per ragione di chimica sotterranea forse, ma non logica: per un odore di troppo o di troppo poco nella trama della pelle; per voci portate addosso di storie che non appartengono e che vorremmo fare nostre oppure allontanare; o anche solo per un'andatura sbilenca, perché magari nel preciso istante di quell'incontro poteva sembrare inaccettabile quell'andatura sbilenca, oppure poteva suscitare, eccitava.

La gente della strada si incontra per caso. O forse no. Sicuramente, però, è la disposizione del caso, di come casualmente sono disposte dentro, nel preciso momento storico dell'incontro, le persone che si imbattono l'una nell'altra, perché quell'incontro poi sia come sia.

Quando diciott'anni fa lo incontrai, a dir la verità molto prima, ma ne conservo memoria da questo preciso istante in poi, io ero da poco impegnata a districarmi negli intrecci delle storie di strada fatte di ragazzini, moto e sospiri mischiati a smog; lui era alto, austero, involtato in un silenzio pieno e per me incomprensibile, tagliato solo da occhi azzurri affilati come stalattiti e da falcate veloci date alle scale di casa.
Un giorno ebbi la colpa di condividere lo smog del languore assieme alle sue figlie.
Da allora stalattiti e falcate su di me. Sempre.

Direi che quell'incontro rappresenta una delle mie prime memorie d'autocoscienza.

Sputtanata. La bambina diafana che tutti indicavano come provenuta dal mondo iperuranio, che lasciava dietro sé scie di misteri d'oltremondo, dicevano "ricorda un'orientale", che profumava di zucchero e innocenza, che guardava come se dietro ogni cosa ci fosse qualcos'altro, in realtà inalava gli scarti di strada. Si sporcava lei, e faceva sporcare.

Quest'uomo mi ha dato la prima consapevolezza di quanto l'anima sublime semprepresente possa essere una baggianata. 
Che magari esiste l'anima sublime, ma si mischia agli umori fangosi dell'essere umano, si nasconde discreta o timida, scende giù, in fondo, per lasciar spazio ad un modo pacato e poco sublime di affaccendarsi in questa vita, e poi qualche volta risale a galla.
Mi ha aperto una strada quest'uomo, fatta di una ricerca un po' impervia, tipico di tutte quelle ricerche legate all'anima e al fango.
Ma oggi ciò che sono ha radici anche in quello sguardo. 
Che ha sciolto lo zucchero filato dell'idea che avevo di me offrendomi quella verità legata all'essere umana, 
che dice dell'incanto di sapermi bassa come il fango e insieme alta come... 

...non so continuare, tante immagini alte, che appena definisco, do loro un nome, mi sembrano cadere in basso...



Oggi.
"Ciao". Ride. E mi sembra strano. Che dal gelo delle stalattiti possa uscire una risata. E che le falcate si siano fermate per un saluto. "Sei sempre con tua figlia".
"Sì". Rido.
"Cresce". Mi guarda con quegli stessi occhi azzurri ma dentro c'è una dolcezza... "E tu cresci insieme a lei".

Vorrei rispondergli, spiegargli certe cose, ma, si sa, certi sguardi rimangono sempre difficili da affrontare.







28.1.11

Folle per un orologio

Premessa n°1
Non porto orologi, a casa non ne tengo, se proprio devo do una sbirciata al telefonino, al cruscotto della macchina, chiedo l'ora.
Il mio demone, quell'esperienza che torna costante e circolare nella vita di ognuno di noi, finché non  ci risolviamo ad affrontarla una volta per tutte ed esaurirla, finché non la liberiamo dal cappio del cerchio,  ecco, quel cappio da sciogliere, quell'esperienza che torna e ritorna, croce della mia vita, è il tempo.
Che non so usare, che per lo più spreco, a volte divoro, in alcuni momenti avverto fermo, in altri galoppante come la corsa di un persecutore poco distante le spalle.


Premessa n°2
Non sono un'esteta. Non concepisco il senso della forma come fonte di ispirazione del contenuto, almeno non nel concetto rivolto allo spazio. Nel senso che un oggetto me lo tengo finché funziona ed è intatto. Appena una crepa sull'oggetto e via: lo butto come fosse un fazzoletto di carta lercio. Non lo salva nessuna nostalgia, nessuna storia che lo ha portato fino a me.
Mi piace il bello, ci mancherebbe. Ma non lo vado a cercare tra i banchi del mercato. Non sbavo dietro l'ultimo acquisto. Il bello mi arriva in altro modo, per vie traverse.



Tranne che il signor orologio qui in alto presente. Lui solo basta a mettere in discussione le due premesse.
Lo so, lo so,
se lo state pensando, non intimoritevi: sareste in compagnia di un folto numero di persone che chiamano questa mia passione "obbrobbrio". Ma tant'è.
L'ho visto per la prima volta due anni fa in un piccolo bar del paese del Riccio, che ho costretto a far da mediatore di vendita tra me e il proprietario. Il quale vedendo tanta attenzione per un oggetto che prima di allora non se lo filava nessuno, tanto meno lui, ha deciso bene che "no! non te lo do per nessuna cifra al mondo!". Asta chiusa, mediazione fallita, les jeux sont feux.

A meno che qualcuno di voi non abbia un parente barista. Non benefattore, eh!.
Sono pronta a qualsiasi follia. Qualsiasi.
Tranne quella di votare il pdl. In tal caso continuo a chiedere l'ora.


La mia cucina tutta nera specchi nera
sentitamente ringrazia.
Unitamente al mio personale cappio del cerchio.

25.1.11

Toh!

ore 10.00
lascio Sofia tra le braccia della nonna e del papà, urlante, disperata, paonazza di pianto ed un unico lungo suono straziante: Maaaammmmmaaaaaaahhhhhhhhhhhhhhhhhhhh......
i puntini di sospensione dopo le acca ripetute e prolungate rappresentano il suo allontanamento lungo la strada che porta alla macchina, le sue manine aperte verso di me, il reciproco senso di abbandono, inflitto e subìto
e la mia incapacità di sopportazione dello stato di sospensione 

ore 10.09
"Riccio, come va? E' disperata vero? E' addolorata, non riesce più a respirare, è cianotica? Oddio, che ho fatto, l'ho uccisa!, mi vesto e vengo!"
"Mmmh...veramente sta giocando con gli altri bimbi..."
"....."
"ogni tanto controlla da questa parte, ma poi si rigira a giocare"
"cioè? non sta urlando?"
"no"
"e non implora "mamma"?"
"no"
"e non è nemmeno catatonica tra le braccia della maestra?"
"no, te l'ho detto: gioca."

ore 10.32
driiinnn
"Ecco, lo sapevo! e' finita: ha realizzato, è crollata e state tornando, non è vero?"
"No...cioè sì"
"no, sì, cosa? dimmi, Riccio, ti prego!"
"Stiamo tornando ma non è crollata: ha solo fatto una scorreggia!"
"....."
"....."
"...ha fatto una scorreggia?"
"Sì, stava giocando, ha fatto una scorreggia e la maestra ha pensato dovesse essere cambiata"



Oggi la parola chiave è "toh!"

Toh!, come:"Toh!, prendetevela, portatela voi, ho bisogno di aiuto, penso che siate voi, Mamma e Riccio, a poterci traghettare dolcemente nel distacco, a farvi da morbido anello di congiuntura tra noi e il mondo: perciò oggi ve la mollo, toh!"

E una volta chiesto aiuto, mollato la presa, avere avuto mille dubbi e una qualche vaga fiducia, non avrei mai pensato, neanche tra le più floride delle aspettative, che dopo dieci giorni drammatici e sofferti, fatti di urla, sensi di abbandono da un lato e di colpa dall'altro, a sospendere l'ora di inserimento al nido potesse essere solo una scorreggia.

Toh!

24.1.11

L'inserimento

Il primo giorno eravamo in 15.
15 mamme poggiate a mo' di sacchi accasciati in ogni centimetro quadrato dell'aula polivalente.
14 bimbi piangevano disperati perché lasciati al nido, uno si disperava solo alla fine perché il nido non voleva proprio lasciarlo.

Il secondo giorno eravamo 13 sacchi.
Le due non più presenti erano quelle che già il primo giorno avrebbero fatto a meno di rimanere per l'inserimento, una con in mano il telefonino, l'altra con la 24 ore.

Alla fine della settimana nell'aula polivalente in parallelo a quella arancione a disperarci siamo rimaste in 5, tra le quali la mamma del bimbo che il primo giorno faceva il figo perché non aveva realizzato. E invece poi ha realizzato.

E così via. 

Fino a che via tutte al nono giorno.

Tutte tranne una.

...

...

...

Maestre e ausiliari cercano di consolarmi parlando di "errori che si commettono con i primogeniti", "normalità nel volersi godere i figli", "dopo il primo poi si capisce e l'errore non si ripete più" (quest'ultima è la più gettonata)

A me viene piuttosto da chiamarlo "uno dei miei più grandi fallimenti", specie se a subirne le conseguenze è la mia bambina.

Dieci giorni di inserimento per un'ora al giorno fanno in tutto dieci ore di asilo.
E per il sacco accasciato sembrano dieci ore di lavori forzati in miniera.

23.1.11

L'impresa eccezionale

Silenzio, vero?
Nessuna parola, nessun suono, nessuna immagine. Pare tutto fermo qui.
Pare.

Vi porto dietro le quinte.



Sono giorni di grande rimescolamento di carte.
Potrebbe sembrarvi una scena da "tutti attorno ad un tavolo in tempi di festa", dove il rimescolamento farebbe da parentesi d'aria al gioco, da defaticamento dopo le strategie, una sigaretta, un caffè, due risate, quella frivola spensieratezza che prelude al gioco, insomma un piacevole momento di transizione e di ridefinizione dei ruoli.

La verità è che qui invece si tratta, per quanto mi riguarda, di ridefinire le coordinate che mi fanno.
Pare semplice, non è vero? A dirlo, a pensarlo, a scriverlo, a leggerlo pure, magari.

E invece vallo a cambiare di colpo un preciso punto di vista sul mondo, la finestra attraverso cui ti affacci a guardare la sua rappresentazione, lo stile che usi per definire la realtà e viverla, che poi è la forma di cui si veste il nocciolo del tuo essere.
Vai a cambiare dunque di botto quello che sei, quel radicamento dell'anima radicato Dio solo sa dove.
E' un'impresa immane.
Come per uno sportivo diventare un fumatore incallito.
Specie se non sei da sola ma tra le gonne ti porti uno scricciolo a cui devi garantire continuità, morbidezza dei comportamenti, per nulla strappi alla quotidianità di cui si alimenta.
Se fossi sola, quindi, sarebbe una di quelle imprese tutto pepe ed eccitazione, che ti vedono amazzone dell'esistenza, valorosa combattente dai denti e tacchi aguzzi, seni al vento e cavalli domati.
Adesso invece è il trauma per eccellenza.
Per me, che vai e destrutturare una donna strutturata in questo modo.
Per Sofia, che da quando è al mondo vive di questa struttura che io le ho così generosamente e senza freni di sorta offerto e che adesso le devo togliere anche piuttosto violentemente.
Farla soffrire per non farla soffrire più.
Vi rendete conto?

Continuo?
Sì?

Merda.
Mi dispiace, ho provato a cercare sinonimi più equilibrati, più gentili dal punto di vista dello stile, meno aggressivi. Ma in questo rimescolamento delle carte entra in gioco anche il fatto di non portare più il linguaggio dentro i labirinti della speculazione teoretica di cui faccio abbondantemente uso.    

Per cui merda è il solo vero nome di quello che mi tocca immediatamente destrutturare.

E sì che da quando ho memoria delle mie primissime forme di autocoscienza, quanto mi piaceva rotolarmi in questo pantano marrone che gli altri incontrandomi chiamavano sospirando "riflessione" "maturità".
Quanto erano belle queste parole!, specie nella primitiva acquisizione del linguaggio mia e di tutti quelli che la usavano a mio appannaggio: allora non capivamo ancora bene le implicazioni legate a queste parole, che mi venivano dette con la sola precisa volontà di conferirmi uno stato privilegiato, di specialità.
Quanto mi piaceva essere speciale.
Allora avrei potuto salvarmi, dire: "No, mi dispiace, non sono matura e riflessiva, gioco solo a pallavolo, mangio la pizza, mi piacciono i cartoni animati." Oppure: "No, mi dispiace, non sono speciale, sono normale: rutto quanto voi".
Oggi lo sarei, una persona normale, che non vuol dire altro che una testa piantata a terra senza ricerche pindariche di sorta, senza retropensieri infilati in qualsiasi virgola di questo mondo.
E invece ho continuato, lavorando su queste due parole, strutturando la mia persona intorno a tutto quello che con loro si sposava bene. Col tempo, con la dimestichezza, ho raggiunto vette insondabili di riflessione e di maturità, senza mai accorgermi di quanto fossero fini a se stesse, o di quanto facessero da ostacolo al cammino limpido e dritto di una vita.

L'esperienza che io e Sofia stiamo facendo in questi giorni al nido fortunatamente sta facendo crollare questa impalcatura che a dirla tutta già da un po' non funzionava, ancora prima di Sofia, ancora di più con l'arrivo di Sofia.

Tutto è messo in discussione.
La mia maternità.
Il mio essere donna.
E il fatto che abbia aspettato un inserimento al nido per farlo già parla da sé.


Una persona normale.


Perché Sofia soffre. E a continuare così lo farà ancora.
Per colpa di questa mia matura e meravigliosa attitudine alla riflessione.

Mi tocca spiegarmi meglio.





Continua

13.1.11

3 2 1 via!

Lo scricciolo, che io sola lavo, cambio, vesto, imbocco, addormento, conforto e incito, andrà da altre mani che la laveranno, la cambieranno, la vestiranno, imboccheranno, conforteranno e inciteranno. 
Per la prima volta in questo nostro viaggio in esclusiva, entra nella storia una nuova voce che per diritto affiancherà quelle nostre, finendo le frasi, iniziandole, magari imponendosi sulla narrazione che prima di adesso era a nostra unica scelta di stile.

Lo scricciolo, che più di ogni altra cosa mi ha rincoglionito, più degli esperimenti stupefacenti adolescenziali, più delle lasagne domenicali, più delle lunghe nottate passionali, lo stesso che mi ha tolto i piccoli piaceri della vita come la settimana enigmistica con caffè e sigaretta la mattina, traducendo poi liberamente il do ut des con 10 chili in più e un'ernia da sforzo per presa indefessa in braccio,
fra mezz'ora tradurrà di nuovo liberamente lasciandomi sola con settimana enigmistica, caffè, sigaretta, 10 chili ed ernia.

Sofia e il suo primo giorno d'asilo.

8.1.11

Fiori per la lupa

Gira la voce che il 2011 sarà l'anno della svolta.
E' una dichiarazione dal sapore alchimista medioevale, di massaie sedute in riva a quartieri popolari o di sciocchi inserti d'oroscopo tra le pagine spente di una guida tv.
Eppure è coerente con l'aria di questa mia casa, di quello che sta succedendo adesso e che deve ancora, deve per forza, accadere.

Adesso però non si tratta più dell'attesa che la matrioska si incastri ben bene, ché l'aspettare è come la roulette russa, un gioco al massacro di qualsiasi accadimento.

Stavolta si tratta di attaccare, sferrare colpi precisi,
uscire fuori di sé,
ché a starsene dentro c'è solo la malattia della calma apparente.


Perciò
di quello che finora abbiamo costruito in questa casa
per Sofia faccio cadere ogni cosa, la rivolto
brucio fino alle radici più marce, fino a che ogni molecola di ossigeno abbia finito di nutrire quello che è destinato solo ad ammuffire
butto giù ogni cosa, che comprime, altera, rovina, ogni cosa a cui si può dare un nome, senza setacciare, discerne quale sì, quale no, ché tanto tutto è stato colto da malessere, persino le lampadine 

Per Sofia affino gli artigli, li esco, sputo fuoco, urlo su tutto, i capelli arruffati, gli occhi iniettati, mi faccio lupa e divoro
mi pianto fissa, non mi smuovo, e attorno via tutto, salta in aria tutto
Per Sofia picchio, graffio, pesto, sputo, sono la pazza sgangherata di strada che sporca i castelli dorati e getta imbarazzo, che è il modo più ovattato per gente perbene di avere paura nei confronti di chi cammina a raccattar criterio su strade che nessuno ha il coraggio neanche di guardare da lontano
mi metto anche a farneticare, direbbe chi non conosce l'ira contro l'ingiusto e non comprende l'uso a volte necessario della ragione folle

Di quello che abbiamo costruito in questa casa
i punti di vista mediocri, le omissioni, l'inefficienza, la faciloneria, l'inadeguatezza, la mollezza, la spazzatura dei comportamenti meschini, l'incuria, il più grande tra i crimini perpetrati alla vita. 

Mi faccio carnefice, terrorista di tutte le crepe che sono nate magari da buone intenzioni
ma che comunque crepe sono


e una volta fatto spazio
le offro i fiori della buona nuova semina




Gira la voce che il 2011 sarà l'anno della svolta.


4.1.11

La verità rivelata

Sofia dammi un bacino, me lo dai un bacino, perché non mi dai un bacino, dai ti prego dammi un bacino. Sofia vieni in braccio, su dai, vieni in braccio, allora vai in braccio al nonno, allora vai in braccio allo zio, allora vai in braccio all'altro zio, allora vai in braccio al cognato, allora vai in braccio all'amico. Ma perché scappa. Sofia fai vedere come balli. Sofia fai vedere come canti. Sofia fai vedere come dici uno. Sofia fai vedere come corri. Sofia fai vedere come fai la pecorella. Sofia fai vedere come fai la mucca, come fai il leone, come fai la tigre, come fai la papera, come fai il gatto, come fai il cane. Ma perché dice sempre di no. Sofia alzati così ti riprendo tutta. Sofia girati che ti scatto una foto. Sofia mangia così ti scatto una foto. Sofia dì ciao che ti scatto una foto. Sofia vieni in braccio che ci facciamo una foto. Togliti che le faccio una foto. Aspetta che le faccio una foto. Torniamo che ho dimenticato la fotocamera. Vabbé niente faccio col telefonino. Ma perché è nervosa. Lo vuoi il pandoro. Lo vuoi l'ovetto. Le vuoi le patatine. La vuoi la caramella. Lo vuoi il cioccolatino. La vuoi la lasagna. La vuoi la salsiccia. Le vuoi le frittelle di broccolo. Ma perché non mangia. Sofia vieni a salutare l'amica della nonna. Sofia vieni a salutare l'altra amica della nonna. Sofia vieni a salutare il fratello del nonno. Sofia vieni a salutare l'amico di papà. Sofia vieni a salutare gli altri amici di papà. Sofia vieni a salutare la vicina di casa. Sofia vieni a salutare la vicina di quartiere. Sofia vieni a salutare la vicina di paese. Che fa, la portiamo in piazza così la vedono. Che fa la portiamo dal fioraio così la vede. Che fa la portiamo dal cognato del cognato così la vede. Che fa la portiamo a Modica, che vuoi che sia una passeggiata di appena 200 km, così il compare della comare del mio cugino di quinto grado la vede. Allora metti le foto su Facebook così la vedono. Ma perché vuole stare sempre con la mamma.


Al paese natio del Riccio, il dictum primo su tutto sembra essere "mostrare". Sofia deve mostrarsi, dimostrare, essere mostrata. Come la verità rivelata.

La buona notizia è che ho generato la Messia e non lo sapevo.
Quella cattiva è che siamo dovuti scappare per scampare alla persecuzione.