17.4.13

Il semino che voleva rimanere nascosto

C'è stato un tempo in cui Sofia correva incontro alla gente.
Letteralmente. Vedeva qualcuno da lontano, lo indicava, chiedeva chi fosse e cominciava a corrergli incontro.
E poi dava sfogo alla sua curiosità inestinguibile. E irriverente, per lo più.
Perché hai questo panzone enorme?
Ma sei vecchia o giovane, alla signora della macelleria cinquantenne tutta laccata che quel giorno, come ogni giorno, chissà quante acrobazie aveva fatto per camuffare la lettera scarlatta della sua età.
Perché hai il culone?
Uno si è visto costretto a rispondere "Perché sono pelato" alla domanda del perché portasse il cappello.
Uno spettacolo insomma. Imbarazzante un po' per tutti, ma pur sempre uno spettacolo.
Uno spettacolo di verità palesate, di coraggio incosciente, di sincera, appunto dicevo, curiosità sotto il cui vaglio passava ogni forma di creatura umana, fosse anche la più insignificante, e che per qualche istante di celebrità offerta da questa bambina riusciva pure a sdrammatizzare, a ridicolizzare quel suo proprio neo.
Tranne la signora tutta laccata. La signora tutta laccata no: piuttosto m'avrebbe pestata a suon di cosce di pollo.

10.4.13

Storia d'amore retrò

La prima volta che la vide, mio padre stava in fila proprio dietro mia madre che comprava le sigarette e rimase all'istante folgorato dai capelli lunghissimi trattenuti da una fascia e dalla voce, rauca e insieme piena di note, pensava. Quello stare dietro fu un languore talmente forte che lo innamorò. Quando poi mia madre uscì, mio padre, giusto che era lì, comprò le sigarette ma il tempo di farlo che già mia madre era scomparsa.
Quel giorno girò come un pazzo per tutto il paese senza chiedere, ché era nuovo e non conosceva nessuno, ma non la trovò.
Si vide quindi costretto ad essere "l'appena arrivato e impudente" e chiedere della ragazza con la fascia e siccome mia madre fu la prima, con il gesto della fascia e poi dei pantaloni e poi della minigonna giusto appena qualche millimetro sotto l'apparato riproduttivo, a portare il '68 in quel paesino dell'entroterra siciliano, nessuno faceva fatica a riconoscerla e rispondere "ah, sì, quella...".
Tutto il paese sapeva dell'Ingegnere che cercava pazzo la ragazza con la fascia.

6.4.13

Ricomincio dalla strada

All'improvviso un giorno arriva l'idea brillante, quella che ha tutto dentro: l'ispirazione, le potenzialità, la passione, l'inedito.
L'idea è semplice: si basa sul fatto di riproporre il modello fantastico, immaginativo, surreale dei bambini e offrir loro la possibilità di viverlo quotidianamente.
All'inizio l'idea si è sviluppata sul metodo ormai noto e stranoto dell'imparare giocando. Ma poi, andando avanti con i miei studi ho capito che il senso del meraviglioso e della bellezza non si impara: si ha. Mi son fatta l'idea che fornire strumenti di apprendimento seppur non convenzionali rimanga nel campo del convenzionale, del sistema, dove il bambino apprende il già noto. Invece penso che si debba fornire un terreno non ancora seminato, vergine, fertile ma vuoto e che il bambino da solo semini.
Semini l'incanto, che possiede in abbondanza.

Avrei dunque giocato con le potenzialità della forma, istallazioni prese da ogni parte del mondo alte dieci metri e oltre, palloni giganti, tunnel decorati da illustratori visionari o dai bambini stessi, visionari oltremodo; oppure al contrario strutture piccole, città in miniatura, il nascosto che si sbircia da un'occhio. Effetti di luce, di suoni, di apparizioni. Pannelli digitali plasmabili quanto le idee in testa.
Insomma, il paese delle meraviglie costruito su ogni paese delle meraviglie che vive dentro ogni bambino.
Mi è stato facile reperire il materiale perché anch'io ho il mio paese e Sofia è lo specchio che lo riflette con piacere e soddisfazione.
Dunque so di essere sulla strada giusta.
Se non fosse.

5.4.13

A volte un cerchio


Sarebbe dovuta essere la serata memorabile, una specie di anniversario esistenziale nei riguardi del destino, di quando all'improvviso un punto fora il tempo convenzionale che fino ad un attimo prima avevamo vissuto per abitudine coercitiva, ci fa dentro dei ghirigori per una manciata di anni, lo rivolta da capo a fondo e poi ritorna al punto di partenza. 
Insomma, quell'idea del cerchio che si chiude, idea romantica, confortevole, e inspiegabilmente piena di quel significato che ad un certo punto della nostra vita vogliamo dare agli eventi.
Quel cerchio stava lì, ieri sera, al locale dove io e il Riccio ci siamo incontrati.
Di quando ci siamo visti senza parlare, senza parole, stando ritti l'uno davanti l'altro e sembrava che tutto, una storia ancora senza storia, fosse già stata scritta da qualche parte.
Quel senso del destino a cui non badi, cui non vuoi credere per ideologia o solo antipatia, finché non lo hai davanti in tutta la sua evidenza. E in un attimo, in quel punto che fora, sei chiamato a scegliere: dire sì, dire no, andare a conoscerla quella storia o non avere nessuna voglia, o nessuna forza di farlo.
Noi, cinque mesi dopo, avremmo aspettato Sofia.