24.3.12

Pro pro prova prova

Fiuuuuuu: ce l'ho fatta.


No, è che se vi capita qua e là di leggere certi post alla Soule Mama's mood (scherzo: tengo alto il livello d'attenzione) o genere trasposizione in testo dei finali di Grey's Anatomy, vi esorto a non pensarla come ad una tecnica di comunicazione navigata di una rivista settimanale da quattro soldi che tende a far leva sulle nostre basse tendenze Armony sempre in agguato (sì, è una critica, sì, a certe editorie). 
No, è che è davvero la mia vita. La mia vita che sta cambiando, che sta prendendo una piega diversa, che fino a qualche mese fa era una merda e ora trova nuove risorse che mi va di celebrare in questo modo, con le parole, visto che siamo qui. E visto che qui non mi verrebbe poi tanto facile suonare la mazurka.

21.3.12

Shall we dance la Figoeira?

Bazzicando il bar a fibre ottiche, dopo un'attenta analisi, un silenzio da dietro il palcoscenico per osservare meglio, alla fine sono giunta a una qualche conclusione: nel mondo del web esiste la Figoeira. Chi la balla è in. Ma colui che la balla non direbbe mai in. In è out. Anche dire che dire in è out, è out.

1. Presenzialismo. L'amore per la Figoeira ti porta ad essere presenzialista in ogni luogo, in ogni lago (cit.) del web. Appena emetti aria, quest'aria deve raggiungere anche i più oscuri anfratti della connessione. Chi non è connesso, chi non accede a quell'aria, via!, è fuori. Ti si può trovare ovunque. Ti si deve poter trovare non appena si clicca una qualsiasi prima lettera di una qualsiasi ricerca su google. Non sei più una persona: sei un account vivente. Ed è solo così che aumenta lo stuolo di chi accrescerà con il suo numeretto preso a far la fila l'autorevolezza del tuo essere figoerista.

19.3.12

Ragazza dinamica, con buone capacità di problem solving e di leadership, professionale, determinata e flessibile, salterebbe primo colloquio di valutazione.

Versione integrale.

('mmazza, però, che capelli che ho...)
Buongiorno. Mi scusi se l'ho fatta attendere. Si accomodi.
Buongiorno. Si figuri. Grazie. 
Allora, allora, allora... Ho appena visionato...
(azz!... il capello...)
... il suo curriculum. Ecco... mi sfugge di cosa si è occupata negli ultimi quattro anni.
(tenda in spiaggia, test, panza, me la cresco fino ai due anni tanto lui lavora, ohi ohi lui non lavora più, ohi ohi dicono che c'è la crisi, ohi ohi è un anno che cerco lavoro) ...
Mi scusi, ha detto "ohi ohi"?
No, dicevo "oh! io ho": io ho gestito una piccola... impresa... a conduzione familiare.

17.3.12

Gattacce di primavera

Se qualcuno dovesse chiedermi a quale personaggio mi potrei riferire dovendo parlare di me stessa, ecco, credo che non farei fatica ad identificarmi in Mary Fisher di She-Devil. 
Alla fine del film, però. 
Cioè, quando lei, delusa dall'amante, la famiglia del di lei amante, la moglie indemoniata, i casini, i rosa, i pouf, le pagliettes, la vita meringata che si costruisce e di cui scrive, ecco, dicevo, alla fine, presa dal disgusto per lo zucchero che impera nella sua vita e le ha reso solo una carie, lei alla fine sceglie di diventare nera.
Nera. Genere scrittrice maledetta. Genere continuo, profondo, proficuo ma fastidioso rantolo. Genere o rantolo o morte. Va bene, non vi sto qui a descrivere il colore e il tono dei "maledetti" ché sappiamo bene tutti.
Comunque sì, io sarei così. Non saprei bene dire quando è avvenuta la scelta, quand'è che ho vestito i panni della lady maledetta invece di quelli pastello, o giamaicani, o donna delle Fiandre o fluo di questi ultimi sgargianti tempi moderni. 
Forse quando, meno di dieci anni, regalo di una Pasqua, su un castello di cartone il cui interno aveva contenuto un nuovo di Pasqua della nota azienda di uova-ovetti-ovoni, invece che la storia di una principessa da salvare con l'ammore, inscenavo una psico tragedia familiare tra puffetta e Barbie. 
O forse quando nei miei pomeriggi di bimba libera, invece che scendere giù a giocare ad un, due, tre, stella!, preferivo ragionare sul principio cosmico dell'esistenza.

12.3.12

Cuscini e ciucci. Noi che a volte parliamo al soffitto

È che poi a volte per strada ti perdi qualcosa. Ci provi a tracciare i confini, le linee guida, i marciapiedi ideali da cui dovrebbe essere difficile sbordare. Ci provi a fare in modo di andare dritto, visto che andare dritto dovrebbe poi essere più semplice che allungare con strade secondarie non asfaltate e poco illuminate. Ci provi. In fondo, prima che una buona strategia esistenziale, è innanzitutto matematica basilare.
E invece, traaack, succede che senza che neanche te ne rendi conto hai sbordato eccome. Le strade impervie le hai imboccate perché alla fine non tutto si presta facilmente a calcoli e strategie. La vita, si sa, non è allegra dispensatrice di codici prestabiliti, metri e gessetti, purtroppo. La vita è una cavalla senza paraocchi. Lei non segue marciapiedi, lei galoppa.

9.3.12

Guarda la nera

E poi però a volte mi prende la paura. Quella bieca nera che trova risorse per se stessa un po' ovunque, nelle cose lasciate incomplete, nei giochi a terra da spolverare, nella puzza delle cicche, le calze noiose di notte a terra, l'aria acida di freddo dagli spiragli della porta. Se la trova, la risorsa, persino sui giubbotti informi lasciati sulla sedia appena tornati da fuori, ché il fuori pare non sia servito a risparmiarli, i resti di ieri sulla tovaglia. La nera copre le rughe dei muri, il piede della cassapanca sbeccato per chissà quale urto, lo sbecco a segno dell'involontarietà dei gesti, ma anche sui buchi del piano in arte povera, l'intenzionalità dei quali pare comunque non serva ad allontanarla. La paura vive sui buchi.
E si attacca alle forme che mi girano intorno. E' così che se la cava di essere evitata, ché lo sa che sono una che non chiude gli occhi.

La paura è un paradosso sulla mia persona: lei trova risorse per se stessa ogni qualvolta mi sembra di non trovarne più per me. 

E se.
E se adesso le dico che tutte quelle sue risorse, persino i buchi, sono poi le stesse mie e ci faccio quello che voglio, persino con i buchi?
E se adesso le tolgo ogni cosa, raccolgo i giochi da terra, ci gioco, ci riprovo col giubbotto, lo metto e vado fuori; e se allo sbecco smetto di dargli il nome di errore e comincio a chiamarlo storia, solo una storia?
Io dico che così la fotto. La sbecco.

4.3.12

Voi dei bottoni

Ehi voi gente dei bottoni di sharing,
che in live from America da quando vi ho messi non fate altro che ticchettare spasmodicamente, forse perché siete perfezionisti dell'efficienza del bottone, o forse perché siete professionisti della condivisione del sapere, forse perché vi siete auto promossi a ripetitori digitali delle informazioni, o forse meglio perché mi dovete dimostrare che avendo io scelto i vostri bottoni su tutti gli altri miliardi di miliardi di bottoni, essendo i vostri in effetti così tanto carucci, so cute, secondo voi i miei lettori vedendoli, presi da convulsa e irrefrenabile esigenza di ticchettarli, dovrebbero all'improvviso abbandonare le loro capacità di critica e di ragione e mettersi lì anche loro a ticchettare senza alcuna ragion di contenuto, neanche perché vinti dal nuovo comandamento sharing the love, ma per il solo fatto che ticchettare i vostri bottoni sia bello perché belli.
Vi faccio presente però che i miei lettori son gente di ingegno e non regalerebbero mai la loro preferenza su post di una scrittrice in erba media (la scrittrice, non l'erba) per un sopraggiunto edonismo visivo da cute bottons.
Per questo son convinta che siate voi, lì dall'America, a far qualcosa.