28.12.13

Sei pagine


Fortezza. Mi torna in mente senza che io l'abbia voluto mentre faccio le cose della mia vita, distrattamente, come quando ci si scopre a tenere tra le dita un oggetto di piccole dimensioni, un pezzo di carta, una chiave, un lembo di giacca, e pare che si sia insinuato da solo come solo l'arroganza ottusa delle cose di piccole dimensioni sa fare.  
Non so dove l'abbia letto, ma insomma sarà stato in uno di quei giri alla cieca di ricerche e risposte che prima o poi arrivano sulla strada, di questa meravigliosa qualità dello spirito che nel nome porta il senso di una battaglia.
Fortezza. Non forza. Fortezza. 
Come se stavolta, per la prima volta nella storia secolare tra carne e spirito costruita sempre in verticale, per lo spirito fosse necessario andare giù, richiamare una qualità fisica, di materia, di pietra, di cemento, di struttura che non cede, per andare un po' più su; per la prima volta, l'elemento materiale, molecolare, si fa mattone perché lo spirito possa esprimere questa virtù. 
Fortezza: l'impulso a non fermarsi di fronte agli ostacoli, procedere con pazienza, fermezza, avanti. Avanti. Non guardarlo l'avanti, quel porto nero pesto dove non si vede niente, ma andargli incontro, un passo alla volta, un passo alla volta.
Ognuno il proprio passo, un passo alla volta. Il musicista una nota alla volta, il costruttore un pilastro alla volta, il pittore un colore alla volta.
Io, una parola alla volta.
Costruisco storie, io. O vorrei, via.
Ma a me quell'avanti mi frega. 
Io lo guardo quel nero pesto, non mi fa abbastanza paura da distogliere lo sguardo ma, allo stesso tempo, non ho abbastanza fortezza per andargli incontro, un passo alla volta, una parola alla volta.
Sono a pagina sei.
Il primo passo l'ho fatto. È il secondo che non riesco a fare. 
Mente chi parla del coraggio di compiere il primo passo. Non c'è coraggio nel lanciarsi ad occhi chiusi. Lo fa la pioggia, lo fa un sasso, lo fanno le foglie. Lo fanno le cose, che sono cieche.
Coraggio è fare il secondo passo, ad occhi aperti, dopo aver visto il primo, continuarlo.
La verità è che adesso l'unica cosa che vorrei fare è salire sulla cima della montagna più alta, non avere nessun peso addosso, nessun peso dentro la testa, nessun peso dentro, fare come un crocifisso abbandonato sull'ultimo avamposto di vuoto e starmene a braccia aperte senza parole, guardare il mondo giù, guardarlo tutto, o almeno fare finta che sia tutto, ché neanche un crocifisso può tenerlo tutto dentro, il mondo, e lasciarlo parlare, farlo spogliare nudo, costringerlo a rivelarsi. Da laggiù salirebbe ogni storia, lo so, ché le storie sono la nostra aria calda. 
Ma la verità è che io lassù sulla montagna ci rimarrei confinata a urlare soltanto, senza alla fine raccoglierle le storie. Ne coprirei ogni parola, anzi. 
Perché ora, dopo aver scritto le mie prime sei pagine, le possibilità infinite che hanno le parole di raccontare le storie mi fanno una paura matta.

E adesso sapete qual è il contrario di fortezza.
Pusillanimità.
Nessun senso di battaglia nel nome.

10.12.13

Impressioni dentro una libreria


E penso che sarebbe bello se ogni libraio conoscesse ogni libro, ogni storia, ogni contenuto parola dopo parola dentro ogni costa multicolore dei chilometrici scaffali di questa libreria. 
Sarebbe bello se di ogni storia il libraio avesse la stessa conoscenza che si ha con le persone in carne e ossa, dal cui spazio limitato di carne e ossa si tira alla fine una somma, una parola, una sensazione, perché dietro quello spazio seppur limitato c'è un infinito complesso difficilissimo da comprendere, e allora non si può far altro che far così: tirare somme.
Ed è bellezza e cruccio assieme, quello dell'essere umano di tirare somme. È l'unico suo modo per non perdersi dentro la marea complessa di ogni cosa, tira una somma ed è fatta, sa, conosce: il mare è genitore, castiga e culla, la terra è alimento, la paura è pietra, Sofia è figlia mia.
Tira una somma, l'uomo, sulle cose e così le conosce. 
Eppure no. Come si può in modo definitivo dare una somma al mare, alla terra, alla paura umana, ai figli, senza perderne qualcosa? Qualcosa di sciocco o di fondamentale, non conta. Pur sempre qualcosa. 
Sarebbe bello, allora, se ogni libraio conoscesse in carne e ossa ogni libro, tanto da saperne tirare le somme di ognuno e districarsi in quel chilometrico getto di storie, ma definitivamente, senza saper perderne niente del loro senso.
E a partire da quella parola che è somma, il libraio potesse consigliare alla gente la storia che le serve, facendo così:
"Mi dica una frase"
"Come, scusi?"
"Una frase. Mi dica una frase."
"Ma quale frase devo dire?"
"Appunto. È lei che me la deve dire. Qualsiasi cosa le venga in mente."
E da quello che alla gente viene in mente, saperne tirare alla svelta un'altra somma, abbinarla come sposa a quella di una delle chilometriche storie di libri che conosce, e dire:
"Tenga. Questa è la storia di cui ha bisogno. Questa è la storia che la salverà".
Sarebbe bello se ogni libraio conoscesse in carne e ossa le persone e le storie che vanno in cerca le une delle altre in carne ed ossa.

5.12.13

Donna Chisciotta


Non ho mascherine protettive perciò attorno a naso e bocca mi avvolgo una sciarpa.

Nel frattempo mi viene in mente il primo anno di liceo, quando da subito fu evidente che sì, la filosofia mi apparteneva. Per la prima volta scoprivo che tutti quei miei contorti, appassionati processi mentali, portati al massimo delle possibilità, non erano una malattia, o una stramberia naif o temporanei rigurgiti intellettuali post fumo, ma avevano un nome, una loro legittimazione, era filosofia.
E come in tutte le cose, anche per la filosofia, si sceglie, o forse no, che tipo di filosofo essere.
Sostanzialmente si può essere un filosofo terreno, fare politica, studiare l'uomo, a volte vaneggiare di spirito e anima, ma tutto sommato salvarsi, rimanere saldi qui, perché l'uomo defeca e chi sceglie di vaneggiare intorno all'uomo prima o poi, spirito, anima o intelletto che sia, deve sempre confrontarsi col meccanismo della defecazione, e rimane a terra. Si salva.
E poi ci sono i Don Chisciotte della filosofia. Quelli che farneticano, se gli parli ti guardano come se fossi un marziano, quando invece la verità è che i marziani sono loro, perché non sono qui, su questa terra, ma stanno cercando il Fondamento. 
Il fondamento dell'esistenza, il fondamento degli effetti e di tutte le cause che generano tutti gli effetti. 
E visto che è evidente che tu non sei il Fondamento, mentre cerchi di instaurare con loro un qualche tipo di contatto, loro guardano oltre le tue spalle, si sa mai che il Fondamento sia proprio lì, dove non puoi mai guardarti. 
Cercano il Fondamento persino del loro cercare il Fondamento.

18.11.13

L'orrore sotto casa

Sono circa le 23:30 di stanotte.
È una serata qualunque in una città qualunque. 
Sentiamo un tonfo. E in una serata qualunque di una città qualunque è facile associare un tonfo al solito gesto balordo di fine giornata, magari dei soliti due scriteriati che non hanno di meglio da fare nelle loro vite che molestare i cassonetti della spazzatura.
In una serata qualunque di una città qualunque non ti viene in mente che proprio sotto casa tua stia avvenendo l'orrore.
L'orrore è sempre qualcosa di lontano, proviene dai resoconti delle cronache dei giornali che guardi distrattamente mentre il tempo quotidiano scivola indisturbato. L'orrore è una brutta favola che a volte si inventa qualcuno per una sorta di senso del macabro, perché il tempo quotidiano di ognuno di noi venga strattonato, così, per gioco.
L'orrore insomma non ci appartiene.
C'è un secondo tonfo.
Sto addormentando Sofia e sento il Riccio correre, telefonare a qualcuno, non sento a chi, è già fuori di nuovo che corre.
Mi alzo, apro la porta di fuori, dal giardinetto vedo fuoco. Un fuoco diverso, quasi bianco, feroce, penso alle nostre macchine parcheggiate proprio lì, dove qualcosa sta bruciando. Non mollo Sofia, sento una, poi due, poi tre sirene, vigili del fuoco, certo, ma quanti ne sento? 
In pochi secondi più niente. Dal giardinetto vedo un fumo bianco, altissimo, poi più niente.

6.11.13

Keyframes

A periodi più o meno regolari soffro di ritorni di timidezza patologica.
Dipende da quanto contatto ho con il mondo. Mi pare sia una cosa naturale, molto umana.
Voglio dire, se l'unico tuo interlocutore è un elettrodomestico quando poi chiedi duecento etti di prosciutto al salumiere hai lo stesso impatto emotivo di uno che prende parola al Parlamento di Bruxelles.
Figuriamoci per individui tendenzialmente votati alla timidezza.
Me.
Talmente timida, e di conseguenza emotiva, da essere ad esempio costretta, davvero costretta, a non poter dire nemmeno la più piccola, bianca, innocua bugia. Me la vedreste spiattellata in faccia, tutta rossa di vergogna. Perennemente costretta a dir la verità. È una croce, credetemi. Non avere filtri sociali è una croce.
È come dire che sulle mie scelte, sulla mia libertà d'espressione, sulla mia sacrosanta libertà di mentire non comando io ma il colore del viso. Il dittatore psicologico.
Non mi aiuta il fatto di essere una specie di individuo maledetto, schivo, eremita, portato per natura alle dinamiche volitive del pensiero, dove il contatto con la realtà, e dunque alla fine con i rapporti umani, è bandito. Credo sia stato Stephen King a dire che uno scrittore non dovrebbe dedicarsi ai dialoghi se non ha relazioni umane radicate, se non ha la benché minima idea di cosa voglia dire discutere del più e del meno con la gente, perché rischierebbe di non dare verosimiglianza all'interazione di due. Non interagendo, lo scrittore non può farlo fare in modo credibile ai personaggi di cui scrive. Che piuttosto si dedichi alle descrizioni.
Ecco, a volte non scrivo dialoghi.

28.10.13

Un giorno all'anno, il mondo a posto

Mi alzo nell'ora che porta uno dei nomi più evocativi in fatto di possibilità, quel nome che al solo pensarlo ti sembra che la solita giornata, fatta di soliti gesti, gesti con i soliti effetti, soliti effetti che fanno di una giornata la solita giornata, ecco, solo pensarlo quel nome, ti sembra che oggi possa essere un oggi diverso. L'aurora. Il bello della potenza evocativa di certi nomi.
Ho il tempo per fare un po' di filosofia del linguaggio spicciola.
Preparo il caffè e stavolta aspettare che esca non è una danza macumba perché la moka lo faccia il più presto possibile. Stavolta aspettare significa aspettare davvero, senza premere tasti fast foward mentali.
Con la tazzina caldissima in mano, sono talmente tanto in anticipo che posso dedicarmi al mio lavoro grafico come se davanti avessi una giornata intera, prima che si svegli Sofia.
Sono talmente tanto in anticipo che stamattina invece di farle indossare quei tessuti polimerici lava e metti di impareggiabile sinteticità che nemmeno sotto bombardamento atomico conoscerebbero una grinza, decido di prepararle una di quelle magliette strato su strato che se pensi di indossarla devi cominciare due giorni prima a stirarla.

24.10.13

Short Life Stories: Cosino senza nome

Stamattina ho voluto parlare con la maestra di Sofia per spiegarle il fatto di ieri, per metterla in guardia forse, non so. 
Lei non ha fatto nessuna piega, ha tenuto a precisare che no, lei non si scandalizza, ma che a scuola questi argomenti non possono uscire. 
Così come è vietato accompagnare i bimbi in bagno, oppure cambiarli se hanno avuto qualche contrattempo.
E insomma è così. Nessun termine di mezzo, nessun equilibrio. O troppo o niente.
Tornando a casa ho pensato che una volta usavano il bastone allegramente per educare i bambini, e che adesso il bastone si usa ancora, però stavolta per dare le pacche di gradimento, un bastone con un moncherino alla fine, perché è sconveniente di questi tempi avere un qualche minimo contatto tra maestr* e alunni.
Aspettando che il senso della misura torni un po' ovunque, io nel frattempo ho immaginato questo cosino qui sotto alle prese con una contemporaneità eccessiva, sregolata tra i banchi di scuola.
Cosino ha già delle storie, ma non un nome né per il momento alcuna possibilità di essere animato come io vorrei.
Aspettando. 


23.10.13

Partly Cloudy: Il sonno della ragione genera mostri

Ogni giorno nello zainetto di Sofia trovo un disegno, fatto alla buona, velocemente, a fine giornata scolastica su un foglio A4 poi ripiegato e messo assieme ai resti della merenda. Sono disegni che non seguono il percorso didattico ma lasciano ai bimbi la libertà di esprimersi, senza guida e suggerimenti.
Stamattina, mentre preparo lo zainetto, trovo un foglio disegnato sulle due facce.


Qui la nostra artista Sofia, in arte Sofa, ha espresso, attraverso un uso rigorosissimo dell'arte concettuale, il movimento portato all'estremo e volutamente caotico di bambini, rappresentanti a pieno titolo l'epoca post-moderna del disordine psicotico, mossi unicamente da un insensato impulso a lasciar che il loro corpo infantile, espresso magistralmente dall'artista attraverso tratti sfoltiti ai minimi termini, corra senza centralità né mete all'interno di uno spazio costrittivo quale solo il foglio A4, in una grandiosa allegoria dello spazio artistico inteso come spazio vitale, si presta ad essere, 
dichiarò un cuore di mamma, dopo aver pensato "che culo!" avendo letto in alto a sinistra il titolo dell'opera scritto dalla maestra, fonte immediata di illuminazione sul significato occulto dell'opera.

11.10.13

L'amore che trema

Non torno mai indietro. Quasi mai.
Non lo faccio per un piccolo difetto di fabbrica nella funzione memoria.
Dimentico con sconcertante precisione centinaia di accadimenti della mia vita. 
Ho dimenticato quelle scarpe, epiche ed epocali, che ho portato per anni, talmente perfette da poter essere indossate d'estate e d'inverno, sempre, ogni giorno, abbinate ad ogni cosa, ad ogni storia, talmente perfette su di me che a vederle, in un'immediata associazione significante tra oggetto e soggetto, tutti pensavano "è lei". Le ricordano ancora tutti quelle scarpe, le ricordano al minimo accenno di un loro particolare, e continuano tutti a dire "eri tu". Io invece per ricordarle ho chiesto che le disegnassero.
È probabile che in questi casi la memoria si inceppi per una mia generale mancanza di interesse riguardo alla storia della mia identità, figuriamoci riguardo alle cose che in qualche modo "hanno fatto" la mia identità ma che comunque cose rimangono.

Ciò che invece sopravvive con ostinazione al difetto di fabbrica è quello che sa darmi una risposta al com'è che oggi sono arrivata qua, in questa stanza, su questa sedia dove sono seduta ora, i mobili intorno, le mie nuove scarpe che indosso.
Come quell'interminabile, senza possibilità di soluzione, primo affamato bacio col Riccio, iniziato di notte accanto alla porta del locale aperto e finito all'alba accanto alla porta del locale chiuso.
In mezzo, le sue mani tremanti sulla mia schiena.
Nessuna orribile locuzione romantica da soap opera da quattro soldi, prego.
Ma letteralmente, praticamente, mani tremanti.
Qualche ora prima, ancora prima che potessi chiederlo, lui con in mano il bicchiere di whisky ambrato tremante: "Non mi drogo e non faccio uso di psicofarmaci. Lo giuro, Vostro Onore".
Perciò adesso, accanto alla porta del locale, il suo tremore essenziale sulla mia schiena per tutta la notte, troppo bello, troppo facile a farmi innamorare.

Da qualche giorno un centro d'eccellenza qui in Sicilia ha finalmente saputo dare un nome, quello vero, al più generico tremore essenziale del Riccio.
Sarebbe anche un bel nome, dal sapore squisitamente francese, se non fosse che il difetto di fabbrica della mia funzione memoria ha già fatto il suo dovere, eliminando dalla patologia del Riccio le terre francesi e lasciando l'unica cosa che mi interessa ricordare.
Che l'amore, quando c'è, trema.

1.10.13

La sassaiola #2: Il ritorno di Maria Antonietta

Per la prima volta in cinquanta anni, Oro Saiwa sceglie di destinare una parte del ricavato alle famiglie povere italiane.
Mi rendo conto, in un moto di banale rassegnazione, come dopotutto non ci sia rimasto altro che questo: salvare l'Italia affamata a suon di biscottini.




29.9.13

La sassaiola #1: I have a dream

Che la bilancia del buon senso non penda dalla parte del boicottaggio di una marca di pasta,
ma da quella dove la scelta di boicottarla sia data a tutti, avendo prima la possibilità di poterla comprare, la pasta.

Mi sa che a sto giro la bilancia è quella dell'idiozia.




26.9.13

50 giga sulla fronte

Pulizia del pc. 
Che il nostro quinto arto figuri nella lista delle cose che hanno bisogno di cura, manutenzione, riorganizzazione, è ormai un fatto. 
Perciò alla casa, i cassetti, gli armadi, le agende, le borse, i giardinetti, i corpi e i portafogli da ordinare, si aggiunge il pc, ovvio.
Da questo punto di vista, si può dire che la vita, tra le altre cose, sia anche una storia di ordine, disordine e riordine. Passiamo una vita a riordinare quello che abbiamo appena disordinato. 
E forse non c'è un altro modo perché l'equilibrio si concretizzi.
Perciò si può anche dire che la vita sia una lunga, perenne marcia verso la realizzazione dell'equilibrio.
Del perché non saprei, ma la tensione di ognuno di noi mi sembra sia questa. Spossante il più delle volte, ma piena di bellezza alla fine.

Sto scaricando i 50 giga di foto e filmati realizzati dal Riccio in poi, da Sofia in poi.

15.6.13

Storia di vette

Credo sia l'effetto che fa leggere quattro libri in sette giorni.
Specie se non lo fai da molto tempo, da quando un giorno da qualche parte della tua vita ti sei detta che non potevi farlo più.
Quattro libri, centinaia di microstorie in ognuno di loro. Le quattro storie principali che salgono ciascuna la loro vetta e che non si smontano mai, non precipitano mai, semmai vengono scavate da centinaia di lingue di storie minori, e in quelle vette trovano l'umido di cui vivono.
Credo sia questo l'effetto, che mi fa vivere questi sette giorni di frasi impastate, è di una storia, no era l'altra, l'altro libro, era lui che lo diceva, no era lei, quella che apriva l'ombelico e le cosce,
e la porta che apriva era una, una sola.
Credo sia questo l'effetto che mi fa perdere qualche chilo addosso, quello che premeva di uscire da dentro esce ad ogni frase che leggo, che mi fa togliere i peli, mi fa vestire al contrario, rispetto alla mia vita di sempre, al contrario, di giorno bianca, il colore che non mi è mai appartenuto, di notte nera, una sottana nuda di seta, nera pesta di quel colore che ho sempre indossato per attutire certe luci indecenti del giorno, forse, chi lo sa.
L'effetto di sentirmi smarrita se risalgo alle cose di ogni giorno, se non ritorno a bermi le parole, quelle che ho soffocato nei miei tentativi di avere una vita normale, un lavoro, un affitto, una bimba a scuola, la recita, le camicie di lui, la polvere a terra, la casa pulita e ordinata, lei che salta sul letto, noi che ridiamo felici, davvero, eppure non basta,
non basta mai.

17.4.13

Il semino che voleva rimanere nascosto

C'è stato un tempo in cui Sofia correva incontro alla gente.
Letteralmente. Vedeva qualcuno da lontano, lo indicava, chiedeva chi fosse e cominciava a corrergli incontro.
E poi dava sfogo alla sua curiosità inestinguibile. E irriverente, per lo più.
Perché hai questo panzone enorme?
Ma sei vecchia o giovane, alla signora della macelleria cinquantenne tutta laccata che quel giorno, come ogni giorno, chissà quante acrobazie aveva fatto per camuffare la lettera scarlatta della sua età.
Perché hai il culone?
Uno si è visto costretto a rispondere "Perché sono pelato" alla domanda del perché portasse il cappello.
Uno spettacolo insomma. Imbarazzante un po' per tutti, ma pur sempre uno spettacolo.
Uno spettacolo di verità palesate, di coraggio incosciente, di sincera, appunto dicevo, curiosità sotto il cui vaglio passava ogni forma di creatura umana, fosse anche la più insignificante, e che per qualche istante di celebrità offerta da questa bambina riusciva pure a sdrammatizzare, a ridicolizzare quel suo proprio neo.
Tranne la signora tutta laccata. La signora tutta laccata no: piuttosto m'avrebbe pestata a suon di cosce di pollo.

10.4.13

Storia d'amore retrò

La prima volta che la vide, mio padre stava in fila proprio dietro mia madre che comprava le sigarette e rimase all'istante folgorato dai capelli lunghissimi trattenuti da una fascia e dalla voce, rauca e insieme piena di note, pensava. Quello stare dietro fu un languore talmente forte che lo innamorò. Quando poi mia madre uscì, mio padre, giusto che era lì, comprò le sigarette ma il tempo di farlo che già mia madre era scomparsa.
Quel giorno girò come un pazzo per tutto il paese senza chiedere, ché era nuovo e non conosceva nessuno, ma non la trovò.
Si vide quindi costretto ad essere "l'appena arrivato e impudente" e chiedere della ragazza con la fascia e siccome mia madre fu la prima, con il gesto della fascia e poi dei pantaloni e poi della minigonna giusto appena qualche millimetro sotto l'apparato riproduttivo, a portare il '68 in quel paesino dell'entroterra siciliano, nessuno faceva fatica a riconoscerla e rispondere "ah, sì, quella...".
Tutto il paese sapeva dell'Ingegnere che cercava pazzo la ragazza con la fascia.

6.4.13

Ricomincio dalla strada

All'improvviso un giorno arriva l'idea brillante, quella che ha tutto dentro: l'ispirazione, le potenzialità, la passione, l'inedito.
L'idea è semplice: si basa sul fatto di riproporre il modello fantastico, immaginativo, surreale dei bambini e offrir loro la possibilità di viverlo quotidianamente.
All'inizio l'idea si è sviluppata sul metodo ormai noto e stranoto dell'imparare giocando. Ma poi, andando avanti con i miei studi ho capito che il senso del meraviglioso e della bellezza non si impara: si ha. Mi son fatta l'idea che fornire strumenti di apprendimento seppur non convenzionali rimanga nel campo del convenzionale, del sistema, dove il bambino apprende il già noto. Invece penso che si debba fornire un terreno non ancora seminato, vergine, fertile ma vuoto e che il bambino da solo semini.
Semini l'incanto, che possiede in abbondanza.

Avrei dunque giocato con le potenzialità della forma, istallazioni prese da ogni parte del mondo alte dieci metri e oltre, palloni giganti, tunnel decorati da illustratori visionari o dai bambini stessi, visionari oltremodo; oppure al contrario strutture piccole, città in miniatura, il nascosto che si sbircia da un'occhio. Effetti di luce, di suoni, di apparizioni. Pannelli digitali plasmabili quanto le idee in testa.
Insomma, il paese delle meraviglie costruito su ogni paese delle meraviglie che vive dentro ogni bambino.
Mi è stato facile reperire il materiale perché anch'io ho il mio paese e Sofia è lo specchio che lo riflette con piacere e soddisfazione.
Dunque so di essere sulla strada giusta.
Se non fosse.

5.4.13

A volte un cerchio


Sarebbe dovuta essere la serata memorabile, una specie di anniversario esistenziale nei riguardi del destino, di quando all'improvviso un punto fora il tempo convenzionale che fino ad un attimo prima avevamo vissuto per abitudine coercitiva, ci fa dentro dei ghirigori per una manciata di anni, lo rivolta da capo a fondo e poi ritorna al punto di partenza. 
Insomma, quell'idea del cerchio che si chiude, idea romantica, confortevole, e inspiegabilmente piena di quel significato che ad un certo punto della nostra vita vogliamo dare agli eventi.
Quel cerchio stava lì, ieri sera, al locale dove io e il Riccio ci siamo incontrati.
Di quando ci siamo visti senza parlare, senza parole, stando ritti l'uno davanti l'altro e sembrava che tutto, una storia ancora senza storia, fosse già stata scritta da qualche parte.
Quel senso del destino a cui non badi, cui non vuoi credere per ideologia o solo antipatia, finché non lo hai davanti in tutta la sua evidenza. E in un attimo, in quel punto che fora, sei chiamato a scegliere: dire sì, dire no, andare a conoscerla quella storia o non avere nessuna voglia, o nessuna forza di farlo.
Noi, cinque mesi dopo, avremmo aspettato Sofia.

18.2.13

Rubare ai bambini

Supermercato. Arrivo alla cassa.
Il cassiere è spazientito. È probabile che la storia vada avanti già da un po': "... allora, Signora, si decida! Cosa lascia?".
Guardo sul banco, lei che guarda in giù e pesta il labbro, e non faccio fatica a capire il perché dello stallo.
In effetti a volte è difficile dover scegliere tra un sacco di patate e una merendina al cioccolato.
Il sacco di patate sfama una famiglia intera, ma quella merendina sfama tutto quell'altro genere di fame che adesso è negli occhi del suo bimbo, mentre aspetta silenzioso.
Aspettiamo tutti.
Noi dietro, lei, la mamma, avanti, in vista, assolutamente nuda. 
L'equità della fila, il rispetto del turno, non mi è mai sembrato tanto ingiusto nei confronti del pudore.
Chissà se quelli in fila con me abbiano pensato allo stesso mio modo "intervengo... o forse è meglio di no...", chissà se il prevalere del "o forse è meglio di no" li abbia fatti sentire meschini e impotenti come mi son sentita io, chissà se tutti abbiamo sperato allo stesso modo in un lieto fine, con il bimbo sporco di cioccolata e le patate abbandonate lì.
Oppure se abbiamo sperato tutti di vedere il bimbo sbraitare ossesso, capriccioso e molesto, pur di non vederlo così, silenzioso.
Chissà, se a vederli uscire chini e stanchi, quelli in fila con me abbiano sentito una specie di senso di colpa uguale al mio.


Dite patetico? Non ditelo.
Non ditelo se non conoscete la storia. Non ditelo se non avete mai provato il dolore di non avere più nessuna carta da giocare.

16.2.13

Short Life Stories: Co-sleeping



Protagonisti di "Co-sleeping":
                                        - Io
                                        - Sofia
                                        - Due metri di letto vuoto e intonso




Note a margine:
1. Ridefinire il concetto di co-sleeping come di un qualcosa di vantaggioso.
2. Ridefinire quello che per Sofia è il concetto di "spazio personale".

15.2.13

Tacchi a spillo e mutandoni

Eeehh... ma alla fine che cos'è un'idea se non un apostrofo rosa tra le parole immaginazione e azione.
E a partire da questa minchiata chiedo formalmente scusa all'intero albero genealogico dei pensatori che va da Platone a Gentile, passando per l'esimio Professor Galimberti, fino al mio personale professeur di filosofia teoretica, menzionandoli uno ad uno, come il prete a Messa con tutti i santi (ma all'ottantesimo santo, fate anche voi come me? Non vi assale un dubbio e cominciate a guardarvi attorno per cercare  telecamere di Candid Camera?)

No, è che, pensateci, un'idea può avere pure ragione ontologica, esistere di una sua propria verità sostanziale, abitare un luogo meta fisico, con le sue leggi e le sue dinamiche che non puoi modificare nemmeno se invochi tutti i santi di cui sopra (di fatto lo sperimentiamo in qualche modo, vagamente, quando, non lo so, scriviamo una storia e ad un certo punto abbiamo come l'impressione di non essere più noi ad orchestrare le dinamiche ma è la storia stessa che si sviluppa secondo un suo volere personale, una coscienza, no?); ma, in soldoni, in questo nostro luogo, un'idea prende una direzione, una e una sola, quando si cristallizza in una forma.

14.2.13

Il principe della mia vita

Vi è mai capitato di non far altro che pensare ad un progetto, ad un'idea?
Un'ispirazione che nasce in un pomeriggio qualunque e nel tempo diventa l'aria che respiri, diventa tutti i giorni che vivi?
Vi è mai capitato di vivere per un'idea e di portarvela appresso ovunque, nello stato di veglia, in quello di sogno?
Di portarvela sotto la doccia, nell'acqua, attraverso le finestre che aprite, in macchina per strada, sui piatti appena cucinati, le masticate di conversazioni tra gli amici?
Di portarvela ovunque. E di vivere due generi di sensi di colpa. Quello che ti fa dire che magari dovresti dar spazio a qualcos'altro, o a qualcun'altro all'infuori di lei, e quello che quando ti sei costretta a dare spazio a qualcos'altro, a qualcun'altro, ti senti manchevole, di un tempo che altrimenti poteva essere solo vostro.
Vi è mai capitato?
E di scoprirvi innamorate folli, come se questa vostra idea avesse carne, scoprendovi frenetiche e intolleranti fino al momento in cui non riprendete da dove avevate lasciato, riprendere a divorarvi l'un l'altro, ciascuno ispirazione e fame dell'altro.