30.11.10

Oggi si echeggia

E dopo lo spazio angusto di certe paure
che in questi ultimi giorni hanno come stritolato il mio agire,
oggi mi muovo respirando l'ampiezza.

Da sempre trovo che gli spazi di casa ristretti, da mura o da disordine o da magra organizzazione degli incastri tra oggetti e strutture, creino uno squilibrio nella percezione. Le immagini si collocano nella parte che ci controlla a prescindere dalla nostra autorizzazione, l'inconscio, e creano delle frasi. Ingarbugliate se sono confuse accozzaglie, fluenti e musicali se le immagini sono pittoreschi equilibri di forme. Ecco, le forme ci entrano, si impressionano sui nostri contenuti interni e si fanno a loro volta contenuto. 
Forma e contenuto che si radicano l'una dentro l'altro è una di quelle alchimie misteriose verso cui sono attratta per l'incapacità, accolta come solo lo si fa con l'incomprensibilità delle cose che ci incantano, di non sapermela spiegare. 

Ho fatto spazio qui a casa, ieri sera, tentando di dare aria a queste nostre cose, adulte e di bambina, che proprio non riescono ad amalgamarsi, a trovare dei compromessi perché le une non soffochino le altre. Ma uno scrittoio in arte povera ha poco da scendere a compromessi con una casetta Chicco in plastica dalla chiassosa estensione di un metro quadrato. 
E se l'accordo di stili non è stato ancora raggiunto, per lo meno spostando, cambiando l'ordine, angolando e intersecando, abbiamo miracolosamente acquistato dei centimetri vitali. 

Spazio vitale. 
Appunto. 
Non secondario, complementare, trascurabile o accessorio.
Vitale. 

E così mi dico che forse queste nuove forme stanotte si sono trovate un posto nella mia coscienza e con lei hanno discorso di qualcosa che mi sfugge se stamattina ho preso il sax e l'ho suonato.
Qualche nota, appena un flebile accenno di melodia, qualche vaga traccia del mio stile, ma inequivocabilmente il mio swing. Che è come la mia camminata, il modo in cui guardo al mondo e gli vado incontro, probabilmente un po' acciaccata dai pesi di testa di questo periodo, un po' stridula per corde troppo tese, ma comunque io, libera nella mia espressione. 

E mi sento sciocca a raccontare di come una stupidaggine, una frivolezza, seppur un rinnovo degli spazi vitali, possa cambiare la percezione delle cose.
Ma oggi suono il mio swing, che fa così....


26.11.10

21.11.10

Cucitura e stiratura

Mentre stiro gli abitini di Sofia succede che, dopo un lavoro certosino e di enorme dispiegamento di energie da parte del sistema nervoso, tolga una prima piega e che, tolta la piega, tutte le volte fiduciosa oltre ogni limite di ingenuità che il lavoro [ecc. ecc] nervoso sia passato dall'altra parte del vestitino e che dunque sia definitivamente finito, succede che giri e ACCH!: tre pieghe ben bene formate dalla precedente pressatura del ferro. Allora mi metto di lena, tolgo le tre pieghe, giro e PORCH!: altre due pieghe, al posto della piega di partenza. E va così, di piega in piega, finché, colpita improvvisamente da una forma acuta ma di breve durata e spontaneamente reversibile di cecità senile, non mi decido a lasciar stare.

Ieri pomeriggio, stirando i vestitini di Sofia, mi sono resa conto che il problema non è mica nella stiratura ma molto prima: è nella cucitura del tessuto. 

Ieri pomeriggio, stirando i vestitini di Sofia, mi sono resa conto che in questo periodo la mia vita è così: un tessuto cucito in modo talmente complicato, arzigogolato, da non so quale geniale sarto, quasi certamente io stessa, da far sì che la stiratura sia una complicazione e non una soluzione. Più mi accanisco sulla stiratura mettendo forza, energia, attenzione, più la complessa cucitura mi si rivela in tutta la sua impossibilità ad essere spianata.
Mi chiedo come si fa?
Come si fa a tenere tutti i pezzi assieme? A far quadrare i conti?
Come si fa a tenere in costante equilibrio geometrico così tante facce di questo prisma che è la mia vita?
Eccole le facce.


La casa

  1. tenere in ordine, che poi significa lottare contro mulini al vento. Il disordine sembra avere una sua propria personalità, una sua vita biologica ed intelligente, sembra che segua scrupolosamente dei disegni misteriosi e soprattutto che vinca sempre
  2. pulire, scopare, lavare, spolverare, igienizzare, smistare ciclicamente nel frigo corpi amorfi da cibi ancora miracolosamente sopravvissuti alla bomba batteriologica, cambiare le lenzuola prima che i nostri corpi facciano da segna-posto umani 
  3. appendere il bucato, ritirarlo e stirarlo senza che sia vittima di abbandono in buste dentro l'armadio
  4. cucinare
  5. fare la spesa
  6. smaltire la burocrazia legata alla macchina quotidiana


Gestione personale 

  1. preparare almeno due materie per Gennaio
  2. tenersi ad un livello che almeno sfiori quello di decenza che non prevede affatto capelli isterici, unghia stile lupo mannaro, look genere "piccola fiammiferaia" con i primi cenci che trovo e pantofole logore
  3. tenersi sveglie, informate, presenti, attive, reattive, ma non iperattive, forti ma gentili, lucide ma tenere, tenendo in equilibrio tutte le sfumature tra forza mascolina e fragilità da vergine sacrificale 
  4. aggiornare il blog 
  5. fare in modo che l'uomo animale sociale, con le trame intricate delle sue relazioni che lo formano e lo sostengono e lo stimolano, non sia una barzelletta su Berlusconi (o non solamente)
  6. combattere, con tutta la forza e lo sforzo titanico che è in me, contro l'azione d'amebetizzazione che l'universo sta svolgendo su di me 

Sofia
Ehhh....Sofia. Fare tutto per Sofia. Tutti i punti delle liste lì sopra. E tutto quello che non mi viene in mente.
E poi

  1. lavarla, cambiarla, vestirla, farle il bagnetto, farla mangiare, lasciarle la sua indipendenza e farla mangiare da sola, farla mangiare da sola e lasciarla sporcare, lasciarla sporcare e ricambiarle i vestiti appena messi, cambiarle di nuovo il pannolino
  2. prepararle colazione, spuntino, pranzo, merenda, cena, stando attenta alla variabilità, alla genuinità, alla bontà
  3. consolarla, incitarla, stimolarla, portarla fuori, divertirla, istruirla, tutto il giorno
  4. farla giocare tutto il giorno
  5. farle fare i pisolini e cantarle la ninna nanna
  6. fare avanti e indietro tutta la notte, lettone-lettino lettone-lettino lettone-lettino

Mannaggia a quando un giorno gli umanisti del 500 scelsero di ribellarsi all'autorità dell'apparato religioso medievale (che di certo soffocava ogni iniziativa individuale sotto tutta quella serie di norme a cui dover rispondere ma al contempo sollevava da ogni forma di responsabilità personale) e, facendo dell'uomo in balia della Provvidenza un artefice del proprio destino, ci regalarono quest'uomo faber responsabile di tutte le scelte e le azioni e le conseguenze della propria vita, un deus ex machina dentro questo mondo e la sua esistenza.

E sarebbe facile dire che non posso far tutto, esser tutto, tenere in piedi tutto. Sarebbe facile dire che dovrei delegare o scegliere una cosa per un'altra.
Non è così. Non più.
Sono una donna faber. Devo fare tutto. Tutto il puzzle.
Stirare tutte le pieghe finché il tessuto non sia tutto spianato. O scucirlo di tutti gli orpelli che lo sformano e ricucirlo.

Come?

Lasciate una speranza, voi ch'entrate
perché io credo di averla definitivamente esaurita.

18.11.10

Quella felicità di passaggio

Siamo nello spazio di casa destinato al "mistaggio", quello che non usiamo se non come passaggio da una stanza all'altra. E' lo spazio vuoto, qualche pezzo messo con poca convinzione, di passaggio anche questo se sta qui. 
Il Riccio è seduto a terra in una posa per lui insolita e gonfia palloncini. Sofia gli sta di fronte aspettando tutta tesa. Quando il palloncino è al massimo della pressione Sofia glielo toglie e il palloncino comincia a sbeffeggiare sui capelli del Riccio e di Sofia. Muoio dalle risate a guardare questi sbuffi sonori, questi sberleffi sulle loro facce divertite. Non mi trattengo. Ho gli occhi serrati dalle risate, non vedo più niente, e mentre sento Sofia chiamarmi un po' allarmata da questo mio moto sfrenato e il Riccio tentare di gonfiare un altro palloncino inutilmente ormai contagiato com'è dalle risate, penso che è da tanto che non rido così, che non ridiamo così, che mi sta facendo bene, che ci sta facendo bene. Sofia salta, urla, ha lo sguardo acceso, vibrante, corre a prendere il flauto e me lo da, io prendo un palloncino gonfiato dal Riccio e lo faccio soffiare sul flauto che suona come il fischio di un treno. 
La stanza è una bolla dentro tutto il resto adesso, colorata e rumorosa. E' questo scricciolo che l'ha gonfiata per noi. L'ha riempita.
E dura un attimo, l'apice di un'onda prima della sua caduta. Dura quel tanto che c'è di forza contro la gravità che spinge in basso. 
E' la signora che ci abita silenziosa e che d'improvviso dice qualcosa, e poi ritorna muta; quella felicità autentica che ci investe completamente senza lasciare spazi, e poi ha da andare via.   
Quella che più di tutto è di passaggio. 

15.11.10

OBSESSION N°1



...e la tavoletta grafica che il Riccio mi ha regalato per i miei 30 anni. :) 

9.11.10

Le mie scarpette rosse

Accomodatevi, prego. 
Prendetevi del tempo, se potete. Perché è di tempo che qui si parla, ché me lo sono preso tutto per raccogliere i pensieri, come quando si tiene qualcosa in bocca non per divorare ma per assaporare il gusto, tenerlo finché non si scioglie nell'acidità degli umori corrosivi. Eliminate, se potete, gli umori corrosivi del tempo veloce-velocissimo e
gustate questa bevanda, che ho preparato con la stessa lunga metodica cinese gestualità.

Così tanto tempo lontana dalle scene in kbyte perché a un qualche balordo fancazzista è saltato in mente, se di mente si può parlare, di sabotare la centralina che dispensa connessioni all'intero quartiere dove vivo. Un Big Bang rionale delle telecomunicazioni.
E per quanto mi riguarda, una grande occasione.
Vi parlo di questa mia esperienza di durata bisettimanale nel buio medievale fuori dall'era internettiana perché ho avuto tanto tempo - tempo che, in caso contrario, in mancanza di questa esperienza dico, non avrei mai avuto o preso - per razionalizzarla e sviscerarla. Prima viverla ciecamente, come si fa con tutti i fatti contingenti che si vivono come inghiottiti dentro l'occhio di un ciclone, poi guardarla da lontano con l'occhio razionale ripulito dai venti vorticosi e detriti incontrollabili, infine poterla raccontare.


(Se di tempo ne avete poco, passate a "Scarpette Rosse" che più s'addice al mordiefuggi tipico di un blog categoria "personale" 
Se proprio non ne avete, saltate direttamente a "Conclusioni") 


Labirintinternet 
Quando la sera del 27 Ott. la connessione è saltata si è subito percepita la mole della questione.
Connessione in tilt. In tilt la mia testa.
Ho accelerato immediatamente l'attività, già di per sé spasmodica in tempi non sospetti, del nostro caro nevrotico dito indice.
Click-click-click-click-click-click-click-click-click-click (numero indefinito di click). Niente.
Click-click-click-click-click-click-click-click-click-click (n. i. di c). Niente.
Click e niente per un'ora.
Descrivo questa mia apparente insulsa reazione perché è stata questa a mettermi subito in stato di allerta. Dal dito indice molesto in poi ho infatti cominciato a mettere sotto lo screening dell'auto-osservazione ogni mia mossa di fronte a questa situazione.
All'indomani del Big Bang, dopo una lunga-fredda-nera-notte fatta di contorsioni di occhi e di testa a metà tra rabbia psicotica e possessione demoniaca, di pruriti inestinguibili e sogni allucinati, dalle tane puritane siamo usciti tutti noi ratti superstiti abitanti del complesso danneggiato. Al posto di frasi e sorrisi di rito cortese, un disagio che non abbiamo potuto mascherare con nessuna delle frasi di repertorio tipo "Come sta?" "Bene. E lei?" "Bene".
Labirintite acuta manifesta tra un lampione e un vaso di piante grasse, occhi vacui e arrossati, sguardo scoordinato lanciato nell'etere privo di punti di riferimento e un generale unico rantolo: "Sto impazzendo" "E adesso che faccio?". E giù tutti con sorrisi sgangherati di comprensione, empatia o compassione buddista.
Diagnosi: crisi d'astinenza per dipendenza da internet.
Allora ho dovuto per forza cominciare ad analizzarla, questa dipendenza.
Prima di tutto perché una così facile ostentazione di questa nostra debolezza?
In genere sono i mattoncini dell'ego incollati con la saliva che tentiamo di mostrare, le nostre code di pavone, i colori più iridescenti - come se il nostro comunicarci fosse sempre e solo una pantomima del corteggiamento, una danza per l'accoppiamento tra predatori e prede.
In questo caso però ostentare dipendenza da internet ci ha reso, o mantenuto, in qualche modo forti. Perché ammettere, con tanto di sorriso scaltro dovuto al  benessere che ti offre il senso d'appartenenza ad un gruppo affollatissimo, legittimato dal diritto proveniente unicamente dalla consuetudine, di passare davanti ad uno schermo tutta la serata, o anche molto di più, per non incontrare il/la tua compagna, i tuoi figli, la tua gente, i tuoi doveri, le cose rimaste in sospeso, la lampadina da cambiare, il libro sul comodino? Perché non abbiamo alcun riserbo ad esprimere la nostra totale mancanza di incanto per la vita presente in carne ed ossa?
Perché internet è una carrozza dorata, una montatura di paillettes e lustrini che facilmente incanta.
E' la Babele per eccellenza. Una Babele multimediale.
Anche la vita naturale sarebbe straordinariamente multimediale (con in più una indefinibile magia fatta di odori, di luci, di ombre, di suoni, che spesso comodamente definiamo con la parola "chimica"). Ma che ci vogliamo fare: c'è di mezzo sto corpo, così pesante, così stanco, così scomodo. E la vita naturale si vive attraverso il corpo.
Internet, con quel suo po' po' di contenuto da vivere con occhi, dito indice e culo seduto è molto più comodo. Hai tutto con il minimo sforzo.
Dunque è Babele multimediale, assoluta e soprattutto efficiente. Per questo ci diciamo facilmente suoi adepti. Chi potrebbe biasimare una dipendenza dall'efficienza?


Sinapsi e connessioni
Internet è un treno, è sinonimo di velocità, ma si espande lento come una macchia d'olio nelle nostre ore: fagocita il nostro tempo.
Per cui è strano il tempo nell'era delle connessioni in secondi: l'attività internettiana, secondo l'apparato che la supporta, dovrebbe svolgersi in tempi brevissimi, eppure si dilata in modo abnorme e assorbe il tempo naturale, come avviene nel cervello. 
L'attività cerebrale consta di migliaia di connessioni al secondo. Dici 'secondo' e già sono avvenuti migliaia di processi: è una quantità enorme in un tempo ridottissimo che non possiamo razionalizzare, misure che si muovono dentro di noi nella nostra più totale ignoranza.
Un'ignoranza buona questa, molto saggia, perché pur partecipando della complessità del reale noi non possiamo contenerla consapevolmente tutta.
Non riusciremmo a partecipare di tutti i costrutti della mente senza uscirne schiacciati.
Nel mondo conscio, quello in cui ci strutturiamo consapevolmente, le cose vanno molto più semplicemente. Viviamo sui binari della vita naturale, che seppur complessa segue una ripetitività che la fa sostenibile.
Le stagioni, i cicli, i giorni, il tempo, creazione/distruzione, nascita/conservazione/morte, ci offrono la possibilità di partecipare della complessità della vita.
Quella del cervello è una complessità non gestibile da noi.
Per cui nella realtà che percepiamo quelle misure spazio/tempo si ammutoliscono per lasciar spazio al buon caro vecchio tempo naturale: c'è un tempo per girare il cucchiaino nella tazzina e far sciogliere lo zucchero nel caffè, un'altro per stendere al sole la biancheria, un altro ancora per togliere le rimanenze di una tavola imbandita a fine pasto. Tempi lontanissimi dalla velocità della luce dei processi cerebrali perché il corpo è quello che è, vive il tempo naturale. 
I due tempi, cerebrale e naturale, non vanno mai in conflitto, sono anzi in qualche punto, ancora misterioso alla nostra conoscenza, interconnessi, cioè: l'abnorme lavoro compiuto dal cervello viene come filtrato da un imbuto, rimpicciolito progressivamente fino ad uscire da un forellino molto più piccolo della sua grandezza di partenza. Questo forellino è la vita che noi esperiamo attraverso il tempo naturale, semplice, uniforme, a misura d'uomo.
Nonostante non si sappia cosa sia esattamente questo imbuto, credo però che si possa dire che uno dei tanti anelli che tiene uniti i due tempi senza che vadano in conflitto sia l'ignoranza, la nostra assoluta inconsapevolezza nel nostro caro lento tempo naturale della velocità allucinata del tempo cerebrale.
Stop. 
Ora questo discorso potrebbe continuare con un facile parallelismo tra connessioni cerebrali e connessioni internettiane.
Potrei facilmente dire che la cosa che ci tiene incollati a questo mostro informe dal nome vagamente ed evocativamente cancerogeno come l'eternit è il fatto che sperimentiamo la velocità delle connessioni senza il filtro dell'ignoranza e che questo ci fa sentire al di sopra dei nostri limiti congeniti e naturali, dandoci l'ingannevole ma confortante illusione di poter guadagnare in un sol colpo di click quello che non possiamo abbracciare se non con infarinature superficiali.
E potrei dire molto altro. Sbagliando.
La verità è che parlare di dipendenza da internet significa generalizzare ciò che è molto più particolare e sfaccettato: è un modo parziale di parlare di dipendenze del genere umano.
Inutile demonizzare un qualcosa che è semplicemente strumento al pari di un televisore, di un cellulare, di una chitarra, di una lettura, forse il più sofisticato tra gli strumenti perché è un pentolone di tutte queste cose messe assieme, ma non di più. 


Scarpette rosse
E che cos'è la dipendenza se non un modo smodato, psicotico, nevrotico, malato, di sopperire ad una necessità?
Il fancazzista di cui sopra mi ha dato la possibilità di rendermi conto della mia necessità/dipendenza. Che non si trova affatto legata ad internet: è molto più in fondo.
E' in questa passione che è il mio blog. Ma non è neanche legata a questo blog: è più in fondo.
E' nella mia adesione allo scrivere. Ma alla fine non è neanche tanto legata allo scrivere: è più in fondo.
E' qui, guarda, in basso: è nella mia pancia.
Dove indosso le mie scarpette rosse. Sì!, scarpette rosse.
Alzi la mano chi non ha mai fantasticato sul fregiarsi di scarpette rosse, chi non le ha mai indossate o chi, per totale mancanza di intraprendenza contro i costumi sobri-perbene, non le ha mai fatte indossare ai propri figli.
Il fatto è che le scarpe in generale sono l'involucro di ciò che ci fa aderire di più alla concretezza della vita, la quale si nutre di sangue, di viscere, di sacrificio, di passione: di forza rossa. Le scarpe rosse perciò sono un archetipo: rappresentano l'anelito a che la nostra vita sia salda, vitale e creativa.
Ognuno di noi, dentro ai nostri moti psicologici, possiede e cerca di calzare in ogni modo delle scarpette rosse. Ed è un bene che sia così, è necessario per sentirsi vivi. Ma quando questa necessarietà diventa l'unica, quando le scarpette non ti fanno danzare più la tua danza, il tuo personalissimo swing, perché per la troppa importanza che hai loro concesso cominciano a condurti freneticamente come indemoniate su percorsi che non ti nutrono ma ti sfibrano, questo direi che comincia a farsi problema.
La frenesia, la danza sfrenata, arriva quando la fame delle cose che ci nutrono è stata così protratta nel tempo da voler ad un certo punto fare incetta di ciò che ci sembra poterci saziare l'anima, quando ci si presenta davanti.
Un giorno, affamata com'ero, ho indossato le mie scarpette e ho aperto questo blog. 
Avevo bisogno di un luogo e di un tempo tutti miei che fossero di concentrazione, di ricerca e di confronto attraverso lo strumento che più mi accorda e mi si accorda. Il blog si è rivelato da subito un grande stimolo per la mia creatività. 
Mi ha salvato dal mio essere mamma a tempo pieno di uno scricciolo fagocitante oltre ogni limite la mia persona. Quando le mie scarpette danzavano io mi sentivo libera.
Però ad un certo punto, forse per questo loro rappresentare la mia salvezza e redenzione, hanno cominciato a prendere il sopravvento e rubare il tempo a tutto il resto, anche se solo con la testa. Facevo e mi muovevo comunque, ma se la testa è altrove ogni azione si spoglia di efficacia.
Così tutto a rotoli, tutto, che riassumo con "organizzazione del tempo". Disastro a casa, caos ovunque, disordine, ritmi frenetici inutilmente. 
Energie perse e tutto storto. 
Il tutto condito con tanto nervosismo da parte mia, e dunque del Riccio e di Sofia. 

E venne il fancazzista a togliermi quello che non avevo la forza di togliere. 

Cosa è successo in queste due settimane? 
Ho vissuto la calma e la pace del tempo naturale senza cercare luoghi altrove
La casa è pulita e ordinata in modo commovente. Ho iniziato la materia. Ho imbastito lo zaino per i giochi di Sofia e Sofia è in pace perché sente che non ho bisogno di andare. Faccio le bolle e gonfio palloncini non per acquietarla ma per stare con lei. E mentre sta seduta sulla sua sediolina a vedere per l'ennesima-ennesima-ennesima volta Toy Story e io lavo i piatti e sembra che si stia vivendo dentro una schiuma, penso che dopo tutto il casino vissuto questa scena da Mulino Bianco sia tutt'altro che da prendere per il culo. 


Conclusioni 
  1. Se aderire a se stessi e cercare di essere liberi diventa un unico moto che impedisce altro, allora è solo un inganno che ci ammala.
  2. Ieri è tornata la connessione Alleluia-Alleluia e sono felice di essere qui e di ritrovarvi
  3. Un saluto speciale al fancazzista


p.s.: c'ho ragione o no?: tanto tempo senza scrivere e mo' vedi che fame!