30.12.10

...and happy new year

di non avere paura per ciò che non capiamo, che ci sfugge e non si lascia controllare 
perché ogni cosa prima o poi prende parola e si rivela, anche quella più nascosta 

di cadere, di sporcarci, di ferirci
e avere ancora voglia di cadere, di sporcarci, di ferirci
perché è nell'azione eroica che vive quello che ci rende felici

di smettere di cercare
cercare
cercare
cercare
cercare
cercare la nostra danza
ma danzarla una volta per tutte
perché tanto esiste anche senza che noi la conosciamo

di essere istante per istante presenti e avere cura di noi stessi, delle cose che ci appartengono, delle azioni che fanno di noi noi
senza vivere costantemente l'attesa, il silenzio infelice del presente incompiuto,
di quello che vorremmo essere, che vorremmo avere, che vorremmo fare
perché è oggi, quello che esiste fuori e dentro noi,  tutto ciò che abbiamo



e però di lasciare all'anima il diritto di ribellarsi e scampare alla legge di gravità, che ogni cosa preme sulla terra, e lasciarla volteggiare sospesa 
a ridersela anche delle cose della terra



E' questo l'augurio
per me
per mia figlia
per lui che mi sta accanto

e per tutti voi

non per l'anno,
ma per oggi,
per ogni nostro oggi

29.12.10

Benvenuti!: questo è il nuovo spettacolo al castello chicato

Sigla d'apertura Walt Disney.


enfatizzato 
sospirato andante ma non troppo

"Gguuaaaarda cosa c'èèè, Sofiiiiiia..."
"hhhuu!!!" (stupore)
"...il cashhstello incantaaaatoo..." (quello 'shh' da un non so che d'accentazione che ci piace tanto e 'incantaaaatoo' lo dico alla maniera di Woody quando dice "pozzoooo")
"...chicato! chicato!"
"Siiii...E cosa c'è nel cashhstello incantato ? "
"...ooooohh..." "ine! ine!"
"Siiii, giusto!, le stelliiiiiine e poi le...? "
"ine! ine!"
"...le farfalliiiiine che volano in alto in alto nel..." le mani in alto che disegnano spirali.
Spinge la testa indietro, guarda un punto indistinto perso nell'aria: "...ce'o"
"...brava!, nel cielo, e poi le ? "
"...uone ptchiù! ptchiù!"
"Siiii, le fatine buone che danno i bacini ai bimbi" 

Sofia non conosce affatto i concetti di "incantato" e di "fata" e ha ancora pochissima dimestichezza con quelli di "stelle", "cielo" e "buone", eppure per tutto il tempo della rappresentazione terrà gli occhi sgranati di meraviglia.



Incredibile per me tutte le volte: una bimba, la cui unica attività sarebbe quella di esperire le cose del mondo per confronto diretto con lo strumento dei sensi, che carpisce benissimo il senso del meraviglioso, l'incanto delle cose leggere, l'impalpabile disegno del favoloso.
E davvero con poco: la voce dondolante e sospirosa, mani aperte danzanti in aria e l'assenza di coordinate tangibili se non il mio corpo che narra.




p.s.: mentre scrivo, Sofia guarda l'immagine e urla chicato!! chicato!!

Walt Disney - DreamWorks Animation 1-0

27.12.10

"1°" Natale

Non me lo ricordo affatto il Natale dell'anno scorso.
Se già oggi soffro di grave deficit d'attenzione e tenere a mente due nozioni diverse, seppur connesse da funzione logica tipo latte + biscotti, mi risulta gravoso quanto per una foca studiare i sistemi integrali, figuriamoci com'ero messa un anno fa.

Quando ero nursery vivente e azienda produttrice di latte attiva 24 ore su 24: portavo Sofia in braccio tutto il giorno (leggi tutto il giorno), per una sorta di patto che avevo stretto con la mia paura di non essere abbastanza, e pareva che il latte che lei assumeva istante per istante venisse sistematicamente fagocitato da un buco nero, perso in uno spazio cosmico parallelo che a stare a sentire la legge della conservazione della massa certo qualcos'altro sarà andato ad alimentarlo; una specie di adozione coatta a distanza di nonsochiocosanonvogliosaperlo.

Oppure più semplicemente mi prendeva per il culo.

Se ne stava lì, quieta, ventosa appiccicata con attack, chiodi e cemento a presa rapida, ignara dei miei crampi, dei miei bisogni fisiologici impellenti, del baratro verso cui stava precipitando il mio sistema nervoso. 

Naturalmente, per la condizione paradossale che la genitorialità offre per cui mentre il senso del tuo personale mondo, così come te l'eri affannosamente costruito tassello per tassello, crolla sotto l'effetto domino per farti però allo stesso tempo contenitore più ampio del senso di tutto questo mondo, mi sembra superfluo sottolineare che la problematicità dell'anno scorso fosse condita da profonda, piena felicità.

Direi totalizzante, però.
Paralizzante.
Troppa.

Di quella felicità che stordisce, ti assale investendoti, si attacca sulla percezione del mondo reale ovattandola di melassa e togliendo il più piccolo barlume di raziocinio, si fa malattia dell'intelletto.
Ti rincoglionisce insomma.

Anche perché la simbiosi che si viene a creare tra due identità è per gioco forza reciproca, di mutuo rapporto.
Se Sofia si muoveva dentro una bolla, lo facevo anch'io.
Se non aveva il benché minimo sentore del tempo cadenzato, anch'io venivo risucchiata dal torpore denso del non-tempo.
Se per Sofia il rito millenario aveva la stessa rilevanza di un rutto, anche per me qualsiasi evento fuori dalla nostra bolla mi sembrava una storia lontana a cui io non appartenevo.
Mi sentivo dentro al sacro fuoco della maternità e fuori da ogni altro gioco.

Per cui no!: lo scorso Natale per me niente spazio per lustrini, lucine, palline, canzoncine, pucci pucci pa' pa' o atmosfere d'ispirazione.

Quest'anno, nonostante dalla banchina guardi ancora nostalgica i binari lineari della ragione aspettando di poterli ripercorrere, sembra che la nebbia dell'ottundimento attorno alle vette della testa stia cominciando a stemperarsi.
A poco a poco.
Lentissimamente.
A piccoli traguardi, come se stessi seguendo un corso di riabilitazione alle cose di ogni giorno.

Le cose di ogni giorno.
Come di questo nostro "1°" Natale.











20.12.10

L'amore ai tempi di Sofia

Al parco.

Gabriele.
Biondo, biondissimo, etereo putto olimpico incarnato nel  figlio di papà più griffato della Sicilia orientale; si può ipotizzare con pochissimo margine di errore che non porti il Rolex soltanto perché ancora pesa più di lui.
Sicuro di se, si muove tra gli oggetti ludici come fosse il condottiero che porterà tutti nella parte più alta del castello.
Ma a lui mica interessa raggiungere le vette del castello gonfiato: lui se ne sta più a terra possibile, godendo nel lanciare oggetti contundenti contro ogni bersaglio mobile, deambulante e respirante. Sotto la beata approvazione di Sua Maestà suo padre.
Sa cosa vuole, dove vuole andare, di chi si vuole circondare quando decide di concedersi alla massa belante. Lui comanda ma senza imporre, per diritto naturale, per naturale lignaggio, senza dover pretendere quel potere illimitato che tanto alla nascita gli è stato naturalmente concesso. 

Insomma lui è uno stronzo, ha 2 anni e Sofia ha una cotta per lui.
Lo tocca come fosse un gingillo di cristallo.
E lui le molla un ceffone.

Il papà lo guarda tronfio e se è possibile espandere ancora di più un corpo che alle ore 16 del pomeriggio è vestito come se stesse uscendo da una prima al Massimo, alto e largo 2x2 m, di fronte alla scena del suo amato delfino che aggredisce una bimba di un anno e mezzo per fastidio e soddisfazione, beh, lui lo fa.
E' l'unica cosa che fa.

Questa è la parte dove saprei benissimo come far arrivare Signore e Signorino velocemente sulla parte più alta del castello



Daniele.
E' il figlio di un posteggiatore. Ha vestiti, cappellino, sciarpetta e scarpe sbrindellati, al limite del logorio. Ha l'aria mesta, un po' troppo giù per essere l'aria di un bimbo. Segue diligentemente i dettami del papà, è educato: gioca ma con moderazione.

Improvvisamente Daniele si ferma, non gioca più, si appoggia sul muro e guarda le sue scarpe. La mamma gli chiede quale sia il problema, sorpresa da quello che evidentemente è un atteggiamento insolito.
Ha accanto Sofia: si è preso un'incontrollabile, trascinante, lampante cotta per lei.

Giocano a ridosso di una piccola scalinata, Daniele lo vede che sono l'ombra di Sofia, ma pare che io non basti alla sua incolumità: lui la sostiene, le tiene la mano, le dice di non correre. Quello di Sofia è un andare ancora incerto, non regala la sfrenatezza del gioco, come quello che lui potrebbe fare con gli altri bimbi.
Ma sembra che quello che gli interessa di più sia proteggere quella bimba rotonda vestita di bianco. E' evidente quanto per lui sia più trascinante di qualsiasi gioco forsennato.

Sofia?
Sofia gli toglie la mano infastidita, lo evita, cerca di partecipare al gioco degli altri, lo silura con inequivocabili "no!".



Agli albori del nostro primo istinto, secondo solo a quello di sopravvivenza, già dai primi abbozzi di afflato amoroso sono evidenti tutte le dinamiche che fanno di noi adulti servi asinini di pulsioni irrazionali legate all'esibizione delle penne più iridescenti.

Il fatto che dei bimbi poco più grandi di un ciuccio siano protagonisti di questi nostri stessi ridicoli caroselli, un po' ci scagiona?

16.12.10

Come sopravvivere ad un pomeriggio piovoso

E quando siamo rimaste sole, ci siamo guardate, abbiamo sorriso come a dirci 'finalmente', quasi fosse l'urgenza di due che da troppo tempo non condividono, ed è cominciato il nostro pomeriggio.

Sedute sul divano, io gambe accavallate a sorseggiare un caffè, lei gambe rilassate e distese mangiando un frutto, ci siamo incantate con le suggestioni delle atmosfere mistiche che in questi giorni passano le pubblicità televisive.
Ci siamo zittite di fronte all'isteria del telegiornale finché lei si è alzata di scatto perché vedessimo un dvd. E lì abbiamo sospirato assieme di fronte ad uno tra i più delicati dei corteggiamenti d'amore.
Abbiamo fatto come di rito l'entourage per tutta casa commentando le statue in mogano africane nella stanza da letto, il separé cinese in bagno, l'ennesima scatola di latta in cucina.
Ci siamo vezzeggiate con i soliti "ma quanto sei bella, sempre più bella" "quanto sono lunghi i tuoi capelli" "come ti sta bene questo vestitino".
Mentre pelavo le patate per cena, si parlava di come cucinarle; mentre cucinavo, lei mi aiutava raccogliendo roba da terra.
E poi ci siamo annoiate anche, certo. 
Con l'esclusiva, però, di poterci permettere un tale scomodo stato, scomodo specie se non è solitario ma lo si condivide, senza fraseggi del cervello, senza imbarazzi, senza colpi di coda o forzature. Accogliendo il momento come naturale estensione del nostro stare bene assieme e anticipazione di nuove attività. 
Che puntualmente sono arrivate: l'hobby in comune del disegno, le immagini di una rivista da commentare, per poi finire con l'eccitazione di tipo adolescenziale all'ascolto di melodie per noi trascinanti in modo irresistibile.

Saluti, baci, buonanotte.     

Sarebbe un pomeriggio comune, forse anche uno dei meno fantasiosi, se non fosse che adoriamo trascorrere del tempo assieme, soprattutto quando questo tempo è lento, piovoso-fuori caldo-dentro come una tazza di the, 
liquido come quasi solo quello natalizio sa essere. 


p.s.: qui quello che in questo periodo ci fa sospirare e qui qualcosa tra quello che ci gasa
:)

8.12.10

"Via, via, vieni via con me"

Veronica e il Riccio si sono conosciuti con una gentilezza.
Una sera in un locale, dove lui suonava ad una jam session, costretti da un corridoio stretto a incontrarsi, scontrarsi, fermarsi, lui le ha ceduto il passo, lei si è girata verso di lui e gli ha sorriso.
Nient'altro. Avanti lei, lui dietro, verso l'uscita del locale. 
Nient'altro, se non fosse che erano già inesorabilmente l'uno dell'altro. 
E che in mano portavano fuori dal locale la loro storia tutta da tessere.
E, una volta fuori, quella sera ce ne sono state altre di gentilezze. Come quando il Riccio ha chiesto a Veronica se avesse da accendere. E dopo un quarto d'ora che si parlavano fittamente, dalla tasca del Riccio sono venuti fuori tre accendini.
Ne hanno riso, e così ridendo si sono incamminati nella loro nuova vita senza punti di ritorno. 

Oggi hanno una casa, gli oggetti condivisi, asciugamani, lenzuola, piatti, bicchieri, tazzine, una vita da organizzare ex novo, una bambina e da qualche giorno, dopo un litigio, la loro prima crisi. 
E Veronica ne può parlare perché sa quanto siano fisiologiche le rotture, quanto siano focalizzanti e riequilibranti, come il riposo per il corpo, per due che hanno sperimentato soltanto la bolla saponosa del loro sentimento e mai il contrasto tutto da gestire. Veronica sa quanto valga che la bolla saponosa si riposi.
E soprattutto ne può parlare perché nonostante non si parlino da più di 5 giorni, non hanno dismesso le loro reciproche gentilezze, perché da questa pasta son nati e di questa pasta son fatti. 
La mattina il caffè lei per lui, il pomeriggio il caffè lui per lei. La preparazione dei pranzi e delle cene come sempre equamente distribuita e i soliti "com'è? ti piace?". 
E i vari sparsi "copriti, fa freddo"; 
"hai dimenticato il cellulare"; 
"lascia: è pesante, lo prendo io"; 
"ti accompagno". 
E ovviamente tutto quello che gira attorno alla loro bambina: risate, resoconti, teorie, sorprese. 
Per il resto (e ne rimane tanto di resto nella loro giornata) vige un assoluto silenzio, di quelli che fanno rumore tanto sono invadenti. 

Veronica ha però notato che quando sono fuori parlano. Camminano vicini, decidono assieme, si chiedono, si consigliano, insomma condividono. 
Forse perché nonostante tutto sono una famiglia e lì dove fuori piove un mondo freddo c'è bisogno di punti di riferimento, di appoggi delle coordinate, di portare il conosciuto nello sconosciuto, di portare casa dove casa non c'è. 
E lei guarda il Riccio, lo vede spingere gli occhi lontano, poco più sereni, così diversi da quelli che in questi giorni posa sulle loro cose, sulla loro casa. 

Allora in cuor suo Veronica pensa che quest'anno sotto l'albero metterà una bella e confortevole tenda a tre posti per portare lei, il Riccio e la loro bambina, a vivere magari in strada, al parco, al negozio di merceria o al supermercato e riprendere la loro mirabolante, saponosa avventura tra scaffali, carrelli, banconi del pesce e offerte del giorno.


Paolo Conte - Via con me

4.12.10

Le prime volte: quello che ci cambia


Dovrei prendere un po' più sul serio l'argomento secondo cui ogni gesto nuovo, ogni nuova azione, ogni nuova forma del parlato, insomma ogni nuova esperienza ci cambia. 
Succede come quando ti compri qualcosa di nuovo e anche se è uno straccetto maleodorante preso ad un qualunque mercatino anonimo ti senti Kate Moss testimonial per Longchamp. E giri così, recitando con naturalezza questa discrepanza tra lo status lontanamente vagheggiato di lady eterea incarnazione del femminino e quello della nuda e cruda verità di una specie di Roseanne Barr in She-Devil, mentre lavi i piatti o prendi l'autobus o fai la fila alla cassa del supermercato, insomma mentre fai quello che fanno i comuni mortali nelle loro comuni vite con le loro faccende comuni e ti senti quello che non sei stata e non sarai mai. 
Basta un cencio, che sia nuovo s'intende, ed è fatta: miss figa dell'anno. 
Succede così anche quando fai la piega, non tramite mani tue ma quelle maniaco-ossessivo-compulsive di Edoardo mani di forbice parrucchiere sotto casa tua: finalmente lontano dal comportamento borderline manifestato per lunghi mesi uno dietro l'altro per mancanza d'apposite cure, il capello organizzato ti fa un po' diva hollywoodiana che uscita fresca fresca se ne va con quello stupido motto appiccicato in viso tipo "perché io valgo".

Ecco, questo succede perché il nuovo venuto nelle nostre vite segna una sorta di epifania dell'essere. 
Da un punto di vista cognitivo, ogni nuova esperienza attiva aree del cervello poco o mai usate, per cui ad ogni new entry si instaura un nuovo assetto tra le competenze cerebrali. 
Da un punto di vista psicologico, il nuovo ci apre scenari percettivi mai provati, apre strade non battute, ci costringe a formulare nuove strategie. 
Il nuovo ci fa nuovi. 
Qualsiasi cosa, non per forza un amante o il bungee jumping: basterebbe persino partire dal basso. 
Dalla scelta di un colore generalmente da noi mai usato a una nuova bevanda sorseggiata; da un ballo di gruppo da sempre evitato, per semplice sano e umano senso del pudore, a un vocabolo sconosciuto (ad esempio se questa è la prima volta in cui vi imbattete come me, che per l'occasione ho aperto a caso il vocabolario, a caso eh?, nell'aggettivo paretiano dell'economista e sociologo Pareto - nell'economia del benessere, situazione in cui non è possibile migliorare le condizioni di un individuo senza peggiorare quelle di qualcun altro - adesso per il solo fatto di averlo appreso siamo tutti poco più nuovi)

Per cui considerando il fatto che Sofia è la prima bambina della mia vita, non solo nel senso particolare di figlia, ma in generale, di una bambina che tengo in braccio, a cui cambio il pannolino, che vesto, a cui preparo da mangiare, che accudisco insomma, (ché con i figli dei miei cugini al momento della loro nascita ero già troppo lontana dal mondo della maternità spontanea e biologica nei confronti delle bambole e ancora troppo lontana da quella matura nei confronti dei bambini in carne ed ossa, cioè ero la tipica ragazzina affetta da quella malattia psicologica debilitante, seppur necessaria e fisiologica, l'adolescenza, che ti toglie qualsiasi appartenenza tenendoti lontana dalle cose del mondo) allora, dicevo, da quando c'è Sofia dovrei essere una persona completamente nuova. 
Uso il condizionale perché magari potrei anche essere davvero una persona del tutto nuova, ma poiché nessun cambiamento significativo è arrivato alla mia coscienza, io mi sento la solita vecchia asina che aspetta una qualificazione a classi più nobili. 

Certo è che per la prima volta in assoluto ho preso la forbice e ho realizzato il primo taglio di capelli della mia vita. 
Qualcosa nella mia testa sarà pur avvenuta ma proprio mi sfugge perché al massimo mi sento una che per rinnovarsi s'è fatto il ritocchino e tra qualche giorno tornerà al punto di partenza.

Sofia però nuova lo è di sicuro. Senza punti di ritorno.