23.8.12

Sostanza di un'impronta

Trovo una manina stampata sullo specchio del bagno. E' fatta di bianco e non so di quale sostanza sia. Forse sapone, o dentifricio, o tempera, non so.
Questa manina stampata sullo specchio è tutto il senso di questi giorni.
Giorni di equilibri su di un filo perché appena nati, di ritmi che non ci sono mai appartenuti fino ad adesso, di nuove alleanze messe su alla bell'e meglio, forse più per questioni di sopravvivenza che per scelta. 
Ci ritroviamo un po' ad annaspare in questa nuova vita, a muoverci con poca scioltezza e convinzione, ché se anche gli spazi son gli stessi e li conosciamo a fondo, e i corpi pure, e le voci, e le parole uguali anche, tutto però sembra essere sconosciuto, adesso che la giornata è scandita da ore vestite a nuovo, tutte rivoluzionate, e pesanti da digerire come fossero in jet lag.
C'è questa manina stampata sullo specchio che non so come ci è arrivata lì, che è di bianco ma non ne capisco la sostanza, questa impronta che non mi appartiene. Così come non mi appartengono più i risvegli la mattina, le tazze di latte, i vestitini stirati e i bagnetti e le domande e le risposte e i disegni e la doccia alle piante e i conforti dopo le cadute e la noia e i bicchieri colorati pieni di acqua ovunque per casa.
E cerco di colmare queste mancate appartenenze attraverso i racconti. Ma senza averli vissuti certi racconti non hanno senso, sono gli involucri di cibi consumati.
Per questo non chiedo quando trovo la manina stampata sullo specchio. 
Non importa, tanto lo so che è tutto il senso di questi giorni.

15.8.12

Pazzia?

La conoscete tutti, no?, la storia di quel re che regnava in un paese di grande pace ed armonia. Un paese dove tutto quello che di buono al mondo esisteva, lì c'era. I sudditi vivevano felici e nell'abbondanza ed ogni giorno era grande festa. 
E nel mezzo di questo paese c'era una fonte di acqua pura e benefica dove tutti andavano ogni giorno ad attingere per bere. Tutti tranne il re, che restava al palazzo a regnare perché tutto quel bene nel suo paese rimanesse intatto. 
Una sera una vecchia strega malvagia, inorridita da così tanto bene, avvelenò la fonte. 
E l'indomani, al sorgere del sole, i sudditi, ad uno ad uno cominciarono a bere, e bevendo diventavano all'istante, ad uno ad uno, pazzi. A sera il paese era tutto in subbuglio, urla, risa gracchianti, balli forsennati. E quello che era festa quotidiana nel paese, con tutti quei sudditi ormai pazzi, si trasformò in caos. 
Allora il re scese dal palazzo per andare a vedere cosa provocasse tanto schiamazzo. E vide che tutti erano pazzi. 
E cominciò ad urlare disperato perché tornasse la ragione. 
I sudditi, vedendolo, tutti in coro urlarono che bisognava scacciare quel re perché era diventato pazzo.
Il re non sapeva che fare. Lasciare il suo amato paese o rimanere?
Scelse di bere alla fontana avvelenata.
E tutti, sudditi e re, ripresero a fare festa.


Questa storia oggi mi appartiene. 
Perché lì, dove lavoro io, tutti parlano il siciliano stretto e, visto che la lingua, il linguaggio in genere, è forma di qualcos'altro, quel qualcos'altro è un cicaleccio vuoto di stupidaggini, male lingue, detti provinciali e starnazzi da basso sobborgo. Non solo non li comprendo ma non faccio nemmeno lo sforzo di capire e partecipare a così brillanti conversazioni.

Capite bene che lì sono io la pazza. 
Se non fosse che vengo costantemente elogiata dai miei clienti per il lavoro svolto, a conti fatti, tra colleghe, datori di lavoro e cicalecci, rimango pazza.

Francamente bere alla fontana non mi va. Partecipare alla festa, manco a dirlo.
Mi rimane però da capire se la mia sia saggezza o pazzia.

5.8.12

Ritrattazione di un post mai scritto

Più volte qui dentro mi è stato fatto notare quanto sia cervellotica. E a me questo mi fa sorridere e mi piace. Se non altro perché persone che non ho mai visto occhi negli occhi usano questo termine con precisione. Mi piace sapere che la radice più cruda di me esca fuori e da voi venga accolta. Mi piace molto.
Dico questo perché da una settimana direi invece che cervellotica, nel bene e nel male, non mi si addica invece poi molto.

Lavoro da una settimana. 

E siccome a me pare che tutto qui, su questa terra, stia in equilibrio, i pianeti, yin e yang, le ricette di torte, le rime baciate, i corpi che galleggiano, le risa e i pianti, il botta e risposta, i libri in libreria, le ceste sui capi delle donne africane, il concavo e il convesso, il bene e il male, i meccanismi degli orologi (mo' me fermo), ché secondo me la forza più forte che tiene in piedi tutta 'sta baracca non è l'attrazione ma l'equilibrio appunto, allora dato che lavoro di muscoli, spalle a pezzi, piedi a pezzi, per la legge dell'equilibrio, che poi sarebbe anche di compensazione, non mi riesce in questi giorni di fare l'intellettualoide free lance come al mio solito.
Insomma, avrei tanto da raccontare ma due frasi come due che stiano in piedi, in piedi non ci stanno.
Starei scrivendo un post che racconta di questa mia Catania diventata una China town con tutti i santi crismi per le modalità di pagamento poco consone ad un trattamento che voglia definirsi umano. 
Ma oggi sono felice e lontanissima dai toni di quel post, che comunque rimane vero e da condividere.

È che oggi ho ricevuto la mia prima paga settimanale. 
E sono felice perché non so se in questi tempi di magra, di crisi, di diritti soffocati da un lato e accampati e pretesi dall'altro, succeda spesso che un datore di lavoro, che conta finanche i centesimi, ti fa risparmiare sulla carta, sulle materie da utilizzare, alla fine, pur essendo la prima settimana di prova di un lavoro che non avevo mai svolto prima in vita mia, ti paghi di più del prezzo pattuito perché il lavoro che hai svolto lo ha meritato. E rimandando già al prossimo Settembre all'aumento.
Lui non sa che ho lavorato una settimana intera come una matta forsennata, senza fermarmi mai un attimo, come se avessi un diavolo dentro, perché in effetti io quel diavolo lo avevo davvero dentro.
E però lo ha visto. E senza che chiedessi mi ha pagata di più.
Inutile dire quanto sia soddisfatta. Di me. Dio, quanto tempo è passato da quando non...

Qualche paranoia e senso di colpa in meno.
E con i lucciconi scemi agli occhi.
Perché potete immaginare cosa andrò a fare fra qualche minuto per la prima volta in tre anni, no? :)