18.11.13

L'orrore sotto casa

Sono circa le 23:30 di stanotte.
È una serata qualunque in una città qualunque. 
Sentiamo un tonfo. E in una serata qualunque di una città qualunque è facile associare un tonfo al solito gesto balordo di fine giornata, magari dei soliti due scriteriati che non hanno di meglio da fare nelle loro vite che molestare i cassonetti della spazzatura.
In una serata qualunque di una città qualunque non ti viene in mente che proprio sotto casa tua stia avvenendo l'orrore.
L'orrore è sempre qualcosa di lontano, proviene dai resoconti delle cronache dei giornali che guardi distrattamente mentre il tempo quotidiano scivola indisturbato. L'orrore è una brutta favola che a volte si inventa qualcuno per una sorta di senso del macabro, perché il tempo quotidiano di ognuno di noi venga strattonato, così, per gioco.
L'orrore insomma non ci appartiene.
C'è un secondo tonfo.
Sto addormentando Sofia e sento il Riccio correre, telefonare a qualcuno, non sento a chi, è già fuori di nuovo che corre.
Mi alzo, apro la porta di fuori, dal giardinetto vedo fuoco. Un fuoco diverso, quasi bianco, feroce, penso alle nostre macchine parcheggiate proprio lì, dove qualcosa sta bruciando. Non mollo Sofia, sento una, poi due, poi tre sirene, vigili del fuoco, certo, ma quanti ne sento? 
In pochi secondi più niente. Dal giardinetto vedo un fumo bianco, altissimo, poi più niente.

6.11.13

Keyframes

A periodi più o meno regolari soffro di ritorni di timidezza patologica.
Dipende da quanto contatto ho con il mondo. Mi pare sia una cosa naturale, molto umana.
Voglio dire, se l'unico tuo interlocutore è un elettrodomestico quando poi chiedi duecento etti di prosciutto al salumiere hai lo stesso impatto emotivo di uno che prende parola al Parlamento di Bruxelles.
Figuriamoci per individui tendenzialmente votati alla timidezza.
Me.
Talmente timida, e di conseguenza emotiva, da essere ad esempio costretta, davvero costretta, a non poter dire nemmeno la più piccola, bianca, innocua bugia. Me la vedreste spiattellata in faccia, tutta rossa di vergogna. Perennemente costretta a dir la verità. È una croce, credetemi. Non avere filtri sociali è una croce.
È come dire che sulle mie scelte, sulla mia libertà d'espressione, sulla mia sacrosanta libertà di mentire non comando io ma il colore del viso. Il dittatore psicologico.
Non mi aiuta il fatto di essere una specie di individuo maledetto, schivo, eremita, portato per natura alle dinamiche volitive del pensiero, dove il contatto con la realtà, e dunque alla fine con i rapporti umani, è bandito. Credo sia stato Stephen King a dire che uno scrittore non dovrebbe dedicarsi ai dialoghi se non ha relazioni umane radicate, se non ha la benché minima idea di cosa voglia dire discutere del più e del meno con la gente, perché rischierebbe di non dare verosimiglianza all'interazione di due. Non interagendo, lo scrittore non può farlo fare in modo credibile ai personaggi di cui scrive. Che piuttosto si dedichi alle descrizioni.
Ecco, a volte non scrivo dialoghi.