28.7.10

Hallelujah Veronicae.


Secondo voi come fa quando dal pediatra, uomo che, oltre che per somiglianza al sex appeal di Mario Biondi migliorata dal capello sale e pepe e occhi azzurri, stimate per la capacità di tener contenuta entro limiti sopportabili la vostra inclinazione all'Apocalisse imminente dandovi, a quello che per voi è sciagura degli dei, definizioni tipo "brufolo" o "stitichezza" o "dentizione", abbastanza diplomatiche perché anche per questa volta i vostri nervi non dichiarino guerra alla vostra salute mentale, dopo avergli domandato se sia stato sbagliato non aver iscritto quest'anno all'asilo vostra figlia, visto la sua propensione a socializzare, lui vi risponda che è talmente stimolata da voi e quindi intellettualmente precoce che l'asilo potrebbe per il momento risultare limitante dato che, ancora in divenire, la bimba tenderebbe ad uniformarsi ai "livelli normali" (maledetta congenita tendenza all'omologazione!) ?.
E come fa se nel tragitto tra la sedia dell'Ara Pacis Veronicae eretta nello studio del pediatra e l'uscita, il vostro auto-panegirico dell'inettitudine e dei sensi di colpa, 
(in ordine di apparizione:
  • di non riuscir a tener lontana da casa la squadra disinfestazioni
  • che l'altra squadra disinfestazioni semprepresente è quella dei fantasmi del bucato pulito e/o stirato
  • di stare rimandando viaggi e scoperte, sotterrando la paura del confronto con il senso di organizzazione, per il momento nascosto Dio solo sa dove! assieme a buona parte di corredino-neonata/guardaroba-adulti/borse borsette e belletti/accessori high-tech/batterie/tappi di bottiglie/effetti personali/suppellettili vari, con la scusa che ancora non cammina
  • di essere troppo spesso nervosa
  • di fare troppo spesso la compagna di gioco piuttosto che la maman fatale)  
crolli in un sol colpo sotto un mormorio privato "forse che forse il lavoro che sto facendo non è niente male". ?.
E chiedo, sempre secondo voi, come fa quando volendo discutere col Riccio del seguito del pediatra, secondo il quale esistono bambini più raffinati dal punto di vista cognitivo ma più attaccati alla gonna materna (Sofia) e altri meno acuti nella capacità cognitiva ma senz'altro più intraprendenti, dicendogli che nell'attaccamento di Sofia nei miei confronti vedo la conseguenza di una visione più ampia di causa ed effetti, magari pericoli e quindi paure, il Riccio mi risponda che per lui la spiegazione è molto più semplice: essendo io la sua più grande fonte di stimolo, Sofia non vuole rinunciarvi mai. Ara Pacis Veronicae vs Panegirico dell'inettitudine 2-0. ?.  


No, dico, secondo voi come fa?
Perché mi chiedo se sia normale che a me oggi abbia fatto così:



23.7.10

Cartolina dal mare.

Ci sono chilometri di storie che ti lasciano lontano dai luoghi del vivere. Sono le storie della città, delle file davanti al semaforo, delle burocrazie, della fretta dell'essere funzionanti, delle attività senza alcuno scopo se non di far attività, di garze sterili di fronte agli occhi che ci faranno civili disinfettati ma non sempre umani; a dir la verità sono anche storie di stanchezza, di pigrizia, o di paure.
Di sciacallaggio delle storie, insomma. 

Ieri sono tornata.
Tornare significa lasciare il luogo per il quale hai lasciato il tuo di luogo.
Tornare significa allontanarsi dall'allontanamento,
significa riacquistare il proprio posto. 
Questi sono i viaggi che compie una persona. Quei viaggi che crediamo non meritino attenzione, l'occhio critico della documentazione sistematica.
E invece questi sono i viaggi che compie una persona.
Quel continuo allontanamento e riavvicinamento da sé.
Partenze e ritorni dal luogo personale che si fanno da ciechi, senza programmazione, 
come la linfa che fa vibrare la cosa naturale: mette in atto ciò che è, senza ghirigori del pensiero, viaggia senza meditazione, senza motivazione se non quella di esser cosa in sè.

Ieri sono tornata.
Ho percorso quei chilometri, pochi nello spazio, troppi nell'allontanamento da ciò a cui appartengo,
e l'ho inalato. 'per poco' annota la mia percezione. Ma siamo già fuori da qualsiasi misurazione della durata.
Solo per quell'atto dell'inalare, 
inalandolo sono tornata a me.
Dico, il mare.
Perché se gli anni che hai vissuto hanno il senso del mare, se portano tutte storie intrecciate sul tessuto liquido, allora appartieni al mare.
Ed eccole di nuovo, le sento di nuovo le mie mani, le mie ossa, le mie gambe, il mio viso. Ma non quelle di adesso, che sono appartenenze nuove, nuove sembianze che non ho ancora metabolizzato in questo ultimo tempo lanciato nei chilometri della mia storia personale.
Dico quelle di sempre. Quelle che non cambiano, quelle che non devono cambiare perchè i pilastri sono fatti di cemento. Quelle che avevo 2 anni e poi 10 e poi 16 e poi...
le sembianze di sempre attraverso le quali mi riconosco, che sono umide, che portano il mare perchè è da lì che vengo.
E se mi allontano da loro - così deve essere perchè possa sentire il conforto e la riconquista del ritorno - mi allontano dal mare.
E se torno al mare, torno a loro.

Torno nella pelle che più mi disegna e di cui non posso dire nulla perché lei non ha storia, non si può raccontare - ho 2 anni e poi 10 e poi 16 e poi... - : è quella che è, ogni volta che la ritrovo.

E certo oggi sono ritornata a quelle nuove sembianze, alle storie urbane dove non si inala nessun ritorno a sé, 
e penso  a quanto il mare mi abbia scavato dentro se, lo sa chi abita il mare, 

come il mare 
mi allontano e torno mi allontano e torno mi allontano e torno mi allontano e torno

17.7.10

I want you!

Delegare mi evoca storie politiche newyorchesi genere Onu, anche se vissute sotto una lingua che proprio non mi riesce a far passare dalla gola (afasia dell'inglese, direi).
Oppure ricorda protocolli di burocrazie in mano a signori anonimi, annoiati, così tanto stanchi degli anni compiuti ad inquadrare cavilli impersonali, da non aver più la voglia di cambiare nemmeno i consueti pantaloni grigio-sformato che fin da lontano li annunciano: "E' arrivato il delegato..."

Ecco, delegare è un verbo che vive nella mia immaginazione.

Delegare è un verbo transitivo che qui a casa mia non transita affatto.

Sofia vuole me. Come prima testimone di ogni sua azione.
Per tutto quel che riguarda la cura del corpo, Sofia vuole me.
Cambio dei pannolini, igiene quotidiana, preparazione della pappa e imbocco, vestizione, svestizione, rivestizione, risvestizione, in questo periodo così frequenti e puntuali come le cazzate di Berlusconi o le tasse universitarie.
L'addormentamento - e prima di Sofia, non avrei mai pensato che fosse davvero un lungo e lento lavorìo di sapiente alternanza di gesti e suoni, abilmente dosati, simile all'azione ipnotica di uno stregone o all'imposizione delle mani di un pranoterapeuta; il neonato, che si addormenta secondo il naturale bisogno di riposo con, al limite, qualche pacca e due note, vive nella città del Sole di Campanella - è questione assolutamente mia.
Questione assolutamente mia anche i risvegli notturni.
Il risveglio finale pure.
Essendo maestra nell'arte dei clown - moine, parole ridicole, versi da cavernicoli, posizioni del corpo al limite del contegno - Sofia nel tempo libero preferisce frequentare il mio bar. Avendo 13 mesi, fate un po' voi di quanto tempo libero c'ha. "Mamma, il solito!" E io giù lì con "Il gatto puzzolone" e "Nella vecchia fattoria".
Se delego, come per ovvi motivi sto facendo in questo preciso momento, si fanno strada  tre possibilità.
  1. Sofia non è piagnona né mammolina, è simpaticamente attratta da me, perciò se non ci sono s'arrangia, ma se mi trovo nell'area circolare di 20 metri attorno a lei, anche se non sono visibile, il suo radar s'attiva e scatta l'allarme "mam, mam, amm, maaahhhmmm" di cui solo io ho l'interruttore di spegnimento.
  2. se sono presente, aaabbè, entra in scena la rappresentazione così ben collaudata della tragedia greca (lei fa tutto, in crescendo, dal coro sommesso all'eroe furioso dal fato funesto) con indice annesso puntato su di me, tanto perché il motivo del suo dolore non sia travisato.
  3. Sofia non c'è, allarme in stand-by, tragedia greca rimandata, dito puntato pure, che succede? Da un punto imprecisato della selva mentale che tengo sopra il collo, arrivano al galoppo le vocine: "mamma snaturata mamma snaturata mamma snaturata". Io non riesco a delegare. Sofia invece avrà fatto qualche accordo con la mia coscienza e, quando fisicamente non può, manda le vocine a ricordarmi di lei.
    E dalle vocine a tornare a Sofia perché smettano passa in genere pochissimo tempo.
    Come sempre. Sempre con Sofia.

    Il mio non è un lamento. E' semplicemente una constatazione.
    Perché, quando mai nella mia vita sono stata "condizione necessaria e sufficiente affinché" ?
    Penso mai.
    Non riesco a delegare perché, nel caso, non sarei più così squisitamente essenziale. 
    E siccome, quello dell'essere "necessaria e sufficiente", è una favola che avrà, come il sano vuole, presto la sua fine, lascio che per adesso sia così. 
    Il mio ego ringrazia.

    Vado, che le vocine non è che lascino scrivere più di tanto.
    Nel frattempo, potete chiamarmi Ally McBeal.



    14.7.10

    I nuovi altari.



    che invece tu possa vedere le onde, alzate e declini di ogni storia.
    che tu possa sperimentare la bellezza dell'effimero e il fastidio per la sua breve durata, o il sollievo.
    che tu possa atterrare sul terreno morbido del conforto, da te o da altri, dopo esserti lanciata su strade dissestate.
    che tu possa scegliere di ascoltare le note cangianti del mondo, il vento, le foglie, i passi, le strade, le tavole imbandite, il caffè, le gallerie, la sabbia, le voci, migliaia di voci, le saracinesche, le pagine voltate, i mercati, la pioggia, la porta di casa al rientro, e vestirtene, secondo il tuo bisogno.
    che tu possa partire verso tutto quello che ti potrebbe appartenere e che non ti ho dato.
    che tu sia libera, di andar veloce o immobile lasciarti galleggiare, di aver risposte o rimanere muta, di sollevarti fin dove non si può arrivare a vedere o rimanere sospesa nell'attesa, di cambiar pelle ogni volta che salta il coperchio delle certezze senza dover confermare, mantenere, ribadire  qualcosa che nutre altri e non più te.
    che tu possa perderti a vista d'occhio in scenari vertiginosi di luoghi e di umanità.
    che tu possa pensare Dio, e magari rinnegarlo, ma avere il senso della divinità, che sia eterna o poggiata su un sasso di questa tua terra.
    che tu possa ridere di fronte alla leggerezza, urlare di fronte ai pugni, rimanere in silenzio di fronte al sacro.
    che tu possa provare il bruciare d'asfissia dei polmoni sotto il fango e godere del primo sorso d'aria dopo la lotta.
    che tu possa sentire addosso mani buone, avere mani buone, lavorare con mani buone.
    che tu possa seguire il movimento delle luci del giorno e quello degli anni e vedere nel tempo che scorre un continuo eroico andare avanti della tua storia.


    che tu possa usare i tuoi occhi su questo
    e su tutto quello che non riesco nemmeno a pensare.

    e non su surrogati di vita radioattivi.

    10.7.10

    Un oggetto.

    Abbiamo deciso di prenderla senza tanto soppesarne le motivazioni. 
    Un mordi e fuggi dell'acquisto.
    Provata. Pagata. Portata.
    Non ti aspetti grandi cose da un oggetto, sebbene gli venga attribuito, a partire dalla denominazione, l'essere da supporto all'atto creativo, funzione necessaria e determinante all'opera.
    Lo strumento è pur sempre un oggetto, uno delle innumerevoli appendici di cui ci si equipaggia perché le salite risultino meno faticose.
    Uno degli innumerevoli gingilli che fanno peso e lasciano scoperte le nostre carenze costituzionali.

    Invece comincia ad aver respiro, lei,
    a star seduta nel luogo che più raccoglie le nostre storie,
    ad inalare gli odori che ci appartengono e rilasciarli suono a suono.
    Sta lì, 
    vicino, 
    a portata di mano, 
    perché la mano la trovi in fretta e perché in fretta faccia il suo.
    Sta lì, quando la calma dei gesti quotidiani, dei gesti umani, cerca silenzio
    e anche quando c'è la caotica sublime ascesa dello stare felici insieme. 

    E ha una lingua che muove sul senza-demarcazione.
    Né adulta, né acerba.
    La riconosciamo tutti e tre, perché è una lingua che ci appartiene, come quella delle risa e del pianto.


    A volte ho la sciocca impressione che non si stia neanche più in tre.

    9.7.10

    "Chi sei tu...

    ...che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei pensieri più segreti?"

    Scena I. Finalmente, dopo settimane di esperimento su quale e quanta flora batterica si possa sviluppare in condizioni favorevoli, è arrivato il momento di sospendere la ricerca e tirare le somme, con pezze, aspirapolvere e disinfettante. Perciò affido lo scricciolo a ?
    Dopo alcune ore, vedo sul pannolino di Sofia un rigonfiamento vertiginoso, come se sul culetto avesse una boa d'ancoraggio, che la fa incedere a tratti, barcollando.
    Il baricentro di Sofia sta pendendo pericolosamente verso terra. 
    Io: "A meno che tu non stia cercando una forza uguale o maggiore a quella di gravità o non stia sondando il mistero che tiene in piedi la torre di Pisa...potresti gentilmente cambiarle il pannolino?"
    ?: "Uso questo e questo?"
    Io: "Sì: acqua...sapone..."
    ?: "I pannolini dove sono?"
    Io: "Ma dentro la stampante, naturalmente..."
    (non mi sorprenderei affatto se mi ribattesse che con questo caldo sarebbe meglio tenerli in frigo)
    E la crema lenitiva gliela do direttamente io.
    Tanto per non rischiare che Sofia profumi di dentifricio.

    Scena II. Sofia comincia ad avere un colore del viso simile alla carbonara e agita le mani in alto come se stesse allontanando immaginari calabroni.
    Io: "Ma da quand'è che non beve?"
    ?: "Non lo so, non mi ricordo"
    ...
    Il mio viso palesemente turbato.
    ?: "Le do l'acqua?"
    E perché mai?: oggi è il giorno di rum e pera a un euro.

    Scena III.
    Dopo estenuanti minuti di intensa noia, ? decide di delegare l'intrattenimento di Sofia a Mister Tu Sia Lodato You Tube.
    Dato che, passato un tempo simile a quello necessario alla stagionatura del formaggio, sospetto un'imminente trasformazione di Sofia nell'erede del "Tagliaerbe" di Brett Leonard, chiedo a ? di portare la bimba a fare una passeggiata fuori.
    ?: "Prendo il passeggino?"
    Considerato che Sofia non cammina ancora, considerato che pesa 15 chili, considerato anche che non disponiamo di carrucole, carriole, porta-pacchi e carrelli della spesa: "Sì, magari sarebbe indicato"

    E poi c'è tutta la letteratura del "Che faccio?" di ?.
    Che faccio, prendo il giubbotto? e sono i giorni della merla.
    Che faccio, prendo un tovagliolo? e tutta la Parmalat sembra essersi domiciliata addosso a Sofia.
    Che faccio, la prendo? e mentre cerco di scrivere qualcosa, Sofia è impegnata ai miei piedi a fare benissimo Vivien Leigh in Via col vento.


    Chi è "?".
    E' forse la tata rincoglionita dal nome impronunciabile che viene da un posto ugualmente impronunciabile del mondo e non ci stà per colpa della lingua o del fuso orario o senza una ragionevole causa non ci stà e basta?
    No.
    E' l'amica che tra un aperitivo, il lavoro, un aperitivo, un'altro aperitivo, un'altro ancora, il parrucchiere e seguente aperitivo, si ricorda di avere un'amica con figlia e si fa vedere ogni 6 mesi e nelle due misere volte che è venuta a trovare Sofia la prima volta l'ha chiamata "Ti Andrebbe" e la seconda volta "Un'altro Aperitivo"?
    No.
    E' la nonna che "amo mia nipote più dei miei stessi figli" e si fa vedere anche lei ogni 6 mesi?
    No.

    No.
    E' il Riccio. Papà di Sofia da ben, e dico ben, 13-quasi-14-mesi.
    Ma sembra che per alcune questioni il tempo non gli abbia chiarito le idee.

    Ecco chi è che inciampa nei miei pensieri più segreti.
    Per quanto riguarda il contenuto di questi miei pensieri nei confronti di chi ci inciampa...
    ... sono segreti, no?



    5.7.10

    Comune unione.

    Avete presente quando ci si sente interi?
    Quello stare. Senza altri attributi o modi.
    Senza fuoriuscite del pensiero, senza labirinti.

    Il luogo è intero. Ma non ha importanza.
    Il suono è intero. Ma non ha importanza.
    Il tempo è intero.
    E questo sì che ha importanza.
    Perché significa che gli scatti di prospettiva, che siano in avanti o in dietro, stanno fermi.
    Significa che non ci si rende conto della finitezza, della perdita.
    Non c'è alcuna perdita dove non c'è tempo.

    Si sta. 




    Interi. 



















    2.7.10

    Guarda sotto

    Sotto questa nuova pelle che indosso, che mi muove a gesti veloci, a parole a metà, a mozziconi di attenzioni, che mi muove come una marionetta ingarbugliata contro fili nervosi perché la rappresentazione deve concludersi e non ho più tempo, sono in ritardo, sono un bianconiglio.
    E mi rimane ancora molto da fare, in corsa contro i sipari che devono chiudersi.
    Guarda sotto.
    Sono ancora quella che portava la matita nera attorno agli occhi, non per nascondere, no, ma perché nulla rimanesse nascosto.
    Sono ancora quella che andava dritto e in avanti, facendo improvvise virate per il gusto ironico dell'esplorazione caotica senza che l'avanti fosse mai perduto.
    Sono quella che seguiva il ritmo delle cose, che fossero da percorrere lente o veloci,
    ancora quella che seguiva il tuo di ritmo.

    Guarda sotto.
    Sotto questa strana stanchezza, inestinguibile, che chiude i discorsi ancor prima che inizino.
    Sotto questo silenzio delle sere, che finiscono il giorno, o lo sfiniscono.

    Sono sempre quella che dalla sua giostra vertiginosa di parole si incantava ad ascoltare le tue, così nuove, petroliniane, funamboliche.
    Quella che, provando a dare il nome e la parola ad ogni cosa, rimaneva muta di fronte a te e agli scenari che mi mostravi, troppo estesi perché potessero essere definiti.

    Sono ancora quella a cui hai dato la vertigine sul 'picco di coscienza'.

    Guarda sotto.
    Sotto.
    Più sotto.

    Ti do la zappa, tieni:
    Samuele Bersani - Replay.