30.5.10

Cosa ne rimane di ieri?


        Il bianco.



Il rosa, e il tormento di tuo padre nei confronti della scelta del tema.



Ad essere tormentati forse un po' anche i quadri di mio padre.

                             


I fiori che indosserai.



Una sedia, un figlio seduto, testa inclinata,
un padre dietro, ricci a terra. Immagino.



Un'altra casa da spolverare.



E poi.
Rimane che mi sono misurata tra le 100 cose da fare ed il renderti "normale" la giornata, diversa da ogni giorno ma riconoscibile ad ogni tuo giorno. E nel districarmi bene in questo, qualcosa l'avrò pure vinta.
Rimangono vesciche ai piedi e un arrossamento alla mano sinistra, ché tra tante persone attorno a noi, le tante cose da dover fare, tu hai deciso di voler stare tutto il giorno in braccio. E mi sa che è stato giusto così.
Rimane la delicatezza di una donna allo sportello delle PI nel consegnarmi i 1500 euro dell'assegno di maternità. "Subito a casa" mormora. Rimane anche che a pensarci un po' mi ci arrabbio: se fosse stato un assegno di paternità, ci sarebbe stato bisogno di tale premura? E in effetti corro a casa.
Rimane che per giorni si è continuamente parlato della monta alta del tuo piedino, che finalmente le ho trovate le scarpe, e che non so se prendermela con tuo padre che tra le tante belle cose che ti ha dato questa non se l'è proprio risparmiata, o con me che non ho questo impiccio feticista.
Rimangono incidenti diplomatici tra adulti, risolti dalla bellezza diplomatica di una bambina vestita di bianco.
Rimane una macchia, tenue ma pur sempre una macchia, di succo d'arancia nel vestitino bianco. Appena qualche minuto dopo averlo indossato.
Rimane che arriva tuo padre, l'esuberanza dei suoi ricci trattenuti dal nuovo taglio, e io torno in un attimo a due anni fa, a quando anche di fronte alla porta di un bar la vita può esser stravolta.
Rimane l'esplodere in tutta la casa dell'esultanza di due bambini seienni, che hanno il potere del gioco, fanno perché sanno cosa vogliono, di una bambina che gattona, ancora non sa ma tenta, e di un bimbo di 2 anni che per amor della bambina che gattona si mette a gattonare anche lui decidendo che per questa volta il senso d'avventura dietro i due formidabili condottieri seienni può anche attendere per il dolce bianco.
Rimane che mi stupisco di come la genuinità di questi bimbi faccia da collante per adulti così diversi per età e stili di vita, incapaci altrimenti di comunicare senza muri di sorta.
Rimane che hai preso tutti in giro per un mese, tutti noi che facevamo le prove di spegnimento della candelina soffiando in aria e tu niente. In genere provi, hai una reazione. Ma questa proprio niente. Guardavi lontana annoiata. E invece...un lampo, la candelina la spegni tu, da sola, due volte. Mi sa che aspettavi di soffiare a qualcosa piuttosto che ai mulini al vento.
Rimane che non ho voluto scrivere niente per il giorno del tuo compleanno, io che scrivo sciocchezze, questa proprio no, che non era una sciocchezza. Soprattutto a sperimentarla. 
Rimane un video incompleto. Un po' d'amarezza di tuo padre. Capire che, anche se si vuole, a volte non è abbastanza, o che se si vuole fortemente forse la prossima volta...

Rimane che è stata una delle giornate più intense della mia vita.




p.s.: Rimane che la nonna cerca ancora il suo genero. Dai lunghi ricci.

p.p.s.: Rimane anche che con l'assegno di maternità ci scappa una buona macchina fotografica, che gli scatti qui sopra sono mozziconi di sigaretta. 
Meno male che la memoria darà un po' d'ossigeno a sto fumo.






E l'uno.



27.5.10

Nel tempo di Sofia.

Da 12 mesi solo Sofia. Per 15 ore al giorno. Tutti i giorni. E poi, quando lei conclude il suo giorno, raccatto le briciole che ha lasciato, rattoppo le cose che ha rotto, sistemo l'occorrente per il giorno dopo, o se scelgo l'inattività mi preme sulla testa la colpa dell'inattività. Perciò, sia come sia, ancora Sofia, per altre circa 3 ore. E come ultimo atto quotidiano, è il sonno di Sofia a decidere quanto il mio corpo debba riposare. Alla fine per qualche suo misterioso scegliere, da 12 mesi non ci si riposa mai, accumulo spossatezza lasciandomi dietro ogni giorno qualcosa che era mio di diritto per a volte faticosa conquista ma che non posso più trattenere perché ogni carico, se pur minimo, lieve di spessore, leggero come, non so, un'idea, un piacere, il testo di una canzone, un punto di vista, una sensazione, un tratto della mia storia, un'intuizione, tutto è zavorra adesso sulla mia persona, che non si può fermare mai, perché guarda Sofia ininterrottamente, su ogni cosa Sofia, ogni azione è per Sofia, ogni azione personale, che non è per Sofia, è vista come azione mancante a Sofia. Che vive fiume in piena, non si ferma mai. 
Non ho più memoria.
Il flusso delle cose che accadono è vorticoso, mi percuote. Non sono né causa né strumento del loro accadere.
Sono un ceppo.
Via i fiori, il senso più vellutato, trasparente del sé è per sua bellezza anche il più delicato e quindi primo a cadere. Andate le foglie, la struttura che porta nutrimento non respira più, non si nutre e non nutre. Adesso comincio a perdere le radici, non ho memoria di quello che sono, perché la memoria ha bisogno di acqua, di essere abbeverata, rinfrescata nelle parti dimenticate, più secche.
E sembra che non ci sia spazio per l'innaffiare questo ceppo. C'è altro da fare. Sofia deve giocare, deve ridere, deve imparare, deve vedere, deve conoscere, deve confrontarsi, misurarsi, svilupparsi, deve sentire, deve discernere, deve amare, deve arrabbiarsi, avere paura, imparare a curarsi, deve comunicare, deve costruire, deve distruggere e ricostruire, deve sorprendersi, deve meravigliarsi, deve gioire, deve imporsi, deve cedere, deve aspettare, deve chiedere, si deve chiedere, deve capire, sentire la semplicità, dipanare la complessità.
E poi tutto quello che è relativo alla cura del corpo che non può essere trascurato, compreso lo starle accanto, perché  tutta la sua persona  né patirebbe.

Vivo di questa spinta primordiale verso questa bambina. E' il mio unico moto. 

Il primordiale mi ha sempre sorretta e guidata. Mi sono costruita sulla primordialità del vivere. Ma il mondo va avanti ed è lontano in molti punti da questa forma. Perciò ho saputo mediare l'impulso cieco attraverso la logica del pensiero, lo sguardo consapevole sul meccanicismo di quello che sono.
Oggi però vivo di eventi che si fanno prepotenti e senza sosta, non riesco a stargli dietro.


I pensieri si fanno liquidi e non è la liquidità il loro habitat. Si mescolano, si imbrogliano.   








Come si accorda un orologio?
Non avverto più il passo cadenzato del tempo, il ritmo causato e causativo, l'intreccio conseguenziale delle cose che accadono.
Vivo nel magma indistinto degli eventi senza indicazioni di rotta, una partenza, un punto d'arrivo, un modus operandi di viaggio. Io causo, il sasso cade, ma io non ricordo di aver causato la caduta del sasso. Quindi guardo cadere il sasso senza capire da dove arrivi la causa della sua caduta.
Vivo nel tempo di Sofia, che non ha percezione di una storia delle cose, racconto storico o cognizione del poi: la catena dei fatti è per lei un unico anello, circolare e finito. Ed è un bene che sia così: la circolarità cautela dagli urti di certi spigoli propri di ogni sviluppo.


Io in questo cerchio mi perdo. Ci urto.

23.5.10

In attesa.




Il colore si posa e t'aspetta.
Altre forme che non ti appartengono ti coprono e stanno immobili.

Io pure, di fronte a te.

Quando vorrai, ripartiremo.

20.5.10

Torneremo mai sulla Terra?

Ti ho incontrato in un bar, alle prese tutt'e due con l'anonimato. Il luogo, le facce, i gesti, i suoni, le voci, le storie. Anche noi avevamo ciascuno la nostra storia, ma sapevamo che non aveva ancora raccontato niente. Aspettavamo che parlasse, che facesse trama.
Noi le raccontavamo al più, tu le cantavi, io le scrivevo, le storie. Ma mai che fossero nostre. Mai che una storia ci trascinasse verso i suoi eventi, mai che ci facesse protagonisti eroi o incarnazioni delle sue vicende. Andavamo indietro nel tempo e già non eravamo più. Andavamo avanti, come in cerca di, perché non eravamo ancora. E facevamo così col tempo della storia, indossando costumi e maschere, e mai l'abito a nostra misura ed immagine. 
Finché...tik tik tun ta tik...tik...ta...ta..ta ta tun tik...finché qualcuno, tik tik tun, qualche istante prima che tu mi cedessi il passo, ta ta ta tic tik, non ha iniziato a battere sui tasti, tli tik ta ta, prima piano, ta...ta....tik...indugiando e sommesso, poi deciso, tik t t ta tik ta tt t t, fino a scalpitare fluido tiktiktiktatatututuntattttaktaktak ta ta ta, e scrivere di tutto quello che avremmo fatto, che avremmo voluto già da tempo, che saremmo stati; a scrivere la storia del non ritorno, ineluttabile, l'incontro di noi stessi con le cose che ci aspettavano.
E allora occhi.
I nomi.
I visi.
La nostra storia.
Mentre tutto attorno si spegneva. L'anonimato, il luogo, le facce, i gesti, i suoni, le voci, le storie non nostre.
   


Ti ho incontrato in un bar, e guarda ora dove siamo.
Sul pianeta delle cose che si fanno.

Auguri, Lè.
Per i tuoi anni che hai e che non hai.
Per i tuoi due nuovi di zecca.
Per il primo anno da papà.
E per quello che ti aspetta, che ti spetta, che verrà.

18.5.10

Bang bang!, fa il capriccio degli dei.


Ieri, come oggi, ci siamo svegliati, alzati dal letto, ci siamo preparati, abbiamo lavorato, abbiamo dato il meglio, abbiamo dato il peggio, poi a casa, con la nostra famiglia, qualcuno ha pranzato assieme, altri si sono ritrovati la sera. Una giornata come tante. Bella, brutta, normale. Come sempre.
Sono morti altri due soldati.
Anche i potenti si sono svegliati, alzati dal letto, si sono preparati, hanno lavorato, poi a casa, con la loro famiglia, qualcuno ha pranzato assieme, altri si sono ritrovati la sera. Una giornata come tante. Bella, brutta, normale. Come sempre.






16.5.10

Stay cool, baby!

In merito a quello che ho scritto nel post precedente,
mi preme allegare una notifica.
Il mio è stato il frutto di uno sfogo personalissimo per crisi domesticans, verso un uomo, che però era l'Uomo, che però era la libertà del fare, che però era la sindrome delle pari opportunità. Che però, - e diciamolo!, è biologicamente quasi impossibile da applicare per noi donne. 
E siccome sono biologicamente una donna;
e siccome, se funziona la storia della metempsicosi, vorrei, se mi è concessa una scelta, continuare ad essere biologicamente una donna (squadra che vince non si cambia);
e siccome alla fine di ogni cosa, degli strozzamenti di collo, dell'iperattività forzata, dei momenti con se stessi quasi inesistenti, e di tutti gli altri nei che la maternità si porta come mappa genetica, mi va bene così;
e siccome i tentativi di mia madre di trasmettermi il suo femminismo misandrico sono già da tempo falliti, allora sai che c'è?:
"smorza un pò i termini, bambina!" 




15.5.10

Gli uomini vanno sulla luna.

Le donne hanno la luna di traverso.

Qualche sera fa, io e Lè. sul divano, io distesa come sempre e lui seduto come sempre, seguivamo l'intervista della Dandini a Piero Angela. 
Gran signore Piero Angela, miracolosamente sopravvissuto al virus della demenza catodica imperante, pandemica, uno degli ultimi baluardi della divulgazione culturale in televisione.
Ha scritto tanto quest'uomo, su quasi l'intero, se è possibile, scibile umano: dalla questione della funzionalità del cervello ai meccanismi complicati del comportamento umano, dai microorganismi nello spazio ai giganti estintisi milioni di anni fa sulla Terra. Si è persino occupato di gestazione della donna. Santo Dio!, mentre nasceva Albertuccio me lo immagino con quel  tipico cipiglio degli uomini di scienza impegnato nell'osservazione del travaglio di sua moglie! "Tu, Donna, partorirai con dolore! Tu, Uomo, se vuoi puoi prendere appunti e scriverci un bel libro".
Ha scritto e visto tanto, quest'uomo, raggiungendo luoghi che a noi comuni mortali è concesso visitare soltanto attraverso Quark. Appunto.
Ed era proprio su questo che faceva leva l'intera intervista della Dandini: la cultura enciclopedica di Angela, enciclopedica ma non generalista, quell'intrecciarsi disomogeneo, eppur coerente nella sete di conoscenze che abbiamo, di spinte verso il sapere più largo possibile.

Ad ogni modo, stavo lì sul divano, a gongolare di fronte a così tanto sfoggio di erudizione e di classe, quella che soltanto l'erudizione apporta, e lo seguivo, vi giuro lo seguivo, come fa un'asino dietro la sua carota. Fino a quando....
Fino a quando non ci comunica che la sua vocazione verso l'indagine scientifica nasce da uno studio condotto in America, alla Nasa...
La Naaasa?
No, la Nasa no!
Mi sale un moto, dalla Nasa al divano, dal divano al cervello, dalla Nasa al furore.
Perché mentre tu ti facevi ispirare dai viaggi sulla luna, chi è che cambiava i pannolini ad Alberto? Tua moglie!
Mentre eri alla Nasa e magari ti interessavi, tra le tante cose, anche ai cibi liofilizzati degli astronauti, chi preparava le pappine ad Albertino? Tua moglie!
Mentre, in un momento di tempo libero, ti crogiolavi all'ombra della libertà americana redatta da Jefferson, chi portava al parchetto sotto casa il pargoletto? Tua moglie!
Ché l'unica libertà che vedeva era quella della statua impressa nelle cartoline che le mandavi.
E magari, adesso che Alberto è diventato quello che è diventato, uomo di cultura quanto te, magari te ne pigli anche il merito.
O' Piero, Pieruzzo, Pierino
guarda un pò cosa ti combino.
Lascia per un attimo l'odissea che tanti anni fa hai intrapreso all'ombra del melo posto nel Giardino dell'Eden, e siediti qui...qui, guarda, tra un pannolino, il biberon di latte, le magliettine della salute da lavare col Napisan e i 294 fogli di Focus Pico che Sofia divora, no Piero, non per inestinguibile sete di lettura che tanto ci accomuna, ma per voglia di maltrattare, stritolare e sparpagliare ovunque qualsiasi cosa le capiti sotto tiro. E mentre conversiamo, per favore allunga un pò il collo perchè ti possa vedere, ché questa montagna non si scala: si stira.
Inizia a darmi un pò della tua conoscenza, per favore, dato che l'unica mia indagine scientifica di questo periodo è quella della teoria della relatività di Einstein: un mese mi pare un giorno e un giorno mi pare una settimana. Ma com'è?
Ti interessi di paleoantropologia, di come si sia sviluppato l'uomo, dici?
Sì, anch'io mi chiedo come questa bambina da 2.750 g sia passata in meno di undici mesi a 14 Kg, urla, strepita e comanda le nostre vite.
Ti occupi di fisica, della materia, e di fisica delle particelle, di ciò che c'è dentro la materia?
Anche a me preme la stessa ricerca, togliendo caccole di qualsiasi genere e in qualsiasi antro della mole di mia figlia e controllando accuratamente la materia oscura che trovo nel pannolino.
Ti sei preoccupato, assieme agli astrofisici, che i voli dallo spazio non portassero germi dannosi al sistema della Terra?
Vieni qua, e chiama l'intera equipe di Houston, che qui a casa mia c'è un problema.

E prima di andare aspetta un momento, che ti sei seduto su un biscottino.

No, non ce l'ho con Piero Angela: lui per tutti.
Anzi: che ce ne fossero altri mille come lui.
Ma vorrei che insieme a questi mille e uno uomini alla continua ricerca, ci fossero mille e una donne (dove quell'una magari sarei io). Con figli, s'intende!
E qualcuno mi dica se ce sono di donne con figli che riescono ad essere così straordinariamente grandi, in costante crescita, a raffinare le conoscenze, a fare ricerca, perchè a me viene in mente solo la Gelmini, cioè non me ne viene in mente proprio nessuna.

Perché ci vuole tempo. E noi di tempo non ne abbiamo, tra continua cura dei figli e la stanchezza.


Qualche sera fa, sul divano, lui seduto come sempre, io distesa, apparentemente come sempre. 




Orbitavo attorno alla luna. Di traverso.

9.5.10

No, non "son tutte belle le mamme del mondo", ma quelle che:

non sono sicure di aver preso la decisione giusta nello scegliere di restare a casa, ma alla fine sono contente perché "per il momento se ne frega di Gucci, Alviero Martini, viaggio in Guatemala e Suv"
o quelle che non sono sicure di aver preso la decisione giusta nello scegliere di andare a lavorare, ma alla fine sono contente perché un giorno, quando verrà loro chiesto, potranno offrire Gucci, Alviero Martini, viaggio in Guatemala e Suv
quelle che si svegliano alle 5 del mattino per andare a lavoro, fare il brodo di pollo e il passatino di verdure, o pulire il pavimento perché "ormai gattona", e magari si sono addormentate alle 2 di notte per preparare un lavoro, fare il brodo di pollo e il passatino di verdure, o pulire il pavimento ché ormai gattona
quelle che raccolgono giochi da terra 50 volte al giorno
quelle che non raccolgono mai i giochi da terra e sembra Mirabilandia
quelle che pensano "ma chi me lo ha fatto fare" e poi "ma va..." e se li tengono in braccio per tutto il giorno
e quelle che se li tengono in braccio per tutto il giorno e pensano "ma chi me lo ha fatto fare"
quelle che vorrebbero vedere Pietro Germi e si accontentano di Winnie the Pooh e magari, con qualche sforzo, in Ih-oh ci vedono le note dolenti di Pietro Germi
che vorrebbero andare in palestra ma hanno i muscoli a pezzi
che vanno in palestra ma hanno i muscoli a pezzi
quelle che non escono da mesi
che non si vestono da mesi
che non si fanno i capelli da mesi
non dormono da mesi
non puliscono casa da mesi
non cucinano da mesi
non leggono da mesi
non ascoltano musica da mesi
non fanno l'amore da mesi
non parlano con adulti di cose da adulti da mesi
sono troppo presenti e disponibili e si augurano di finire a "Chi l'ha visto?"
sono troppo assenti e si augurano che "Chi l'ha visto?" le ritrovi
quelle che svegliandosi, vorrebbero dormire altre dieci ore
o che addormentandosi, si svegliano dieci volte
che non si sentono più donne
quelle che si sentono più donne di prima
che sono sempre state rigorose ma adesso sono pagliacci con le tette
che sono state pagliacci con le tette ma adesso hanno scoperto l'indispensabilità del rigore
quelle che dicevano "chi? io? mai" e adesso è straordinario
e quelle che dicevano "sarà straordinario" e adesso "chi? io? mai più"
quelle che adesso sanno perché un loro comportamento faceva disperare la loro mamma
o quelle che adesso sanno perché un loro atteggiamento offendeva la loro mamma
che adesso sanno perché alcune parole vomitate facevano piangere la loro mamma
adesso sanno, inequivocabilmente, cosa voleva dire "io, che ti ho dato la mia vita", che non era né una questione di dramma shakespeariano né di biologia o di meccanica del corpo, ma era molto di più
quelle che hanno fumato e smesso
non hanno mai fumato e adesso sì
hanno fumato e continuano a farlo
non hanno mai fumato e fanno le bolle di sapone
quelle che dicono che "è un casino"
o quelle che dicono che "non è cambiato niente"
quelle che se la fanno in solitaria e vorrebbero aiuto
o che facendosela con nonne, nonni, zie, cognati, cognate, cugini, suoceri, prozie, procugini, prononni, prosuoceri, vorrebbero farsela un pò in solitaria
quelle che mettono in punizione e si sentono in colpa
quelle che non mettono in punizione e si sentono in colpa
quelle che viziano e si sentono in colpa
quelle che non viziano e si sentono in colpa
quelle che li iscrivono ad una scuola d'eccellenza e si sentono in colpa
quelle che li iscrivono ad una pubblica e si sentono in colpa 
tutte quelle che non sapevano che nel pacchetto "all inclusive", oltre a smagliature, cellulite e stanchezza incurabile, avrebbero ricevuto un insaziabile senso di colpa
quelle che ogni tanto proprio non gli va
o quelle che spesso non gli va ma qualche volta sì

e poi 
tutte quelle che hanno perso tutto per fame, malattia o cattiveria

quelle sì che son belle.

A tutte queste noi mamme faccio gli auguri, sinceri,
che, come per tutte le imprese straordinarie di questa vita, 
c'è bisogno di coraggio, tenacia, pazienza e tanto, tanto culo.

Auguri.


7.5.10

Strada ------------------------------

E pensare che, sempre nella stessa macchina, qualche sera fa ho meditato la fuga. Pioggia scrosciante, qualche avventore eroe della spesa come me, e una strada larga, lunghissima, senza curve.

Quella che ho percorso per 30 anni. Prima in braccio, poi a piedi, a piedi con le amiche, ancora a piedi con i fidanzati, in motorino con amiche e fidanzati.
Poi in macchina. 
Da sola. 
La libertà. La liberazione. L'esplorazione senza compromessi o toni smorzati. Sola, con le mie faccende a cui dover render conto.

La strada, in macchina sulla strada, mi ha parlato subito di luoghi del vivere su cui non avevo ancora posato nessuna mia vicenda, di esperienze nascoste negli intrecci di spazi urbani ed extraurbani, di percorsi dove non avevo osato alcuna audacia, di guida della mia persona verso. Verso. La strada mi ha insegnato il movimento delle scelte verso un'intenzione e mi ha offerto il senso di appagamento della conquista.
In macchina, sospesa sulla strada ho mangiato, bevuto, letto, studiato, lavorato, dormito, fumato, sviscerato con Vì. interminabili conversazioni fino ai mal di testa, consumato l'assurdità di certi amori e la straordinarietà di altri, ho pianto, d'amarezza e di gusto, ho sfidato tutto ciò che era possibile sfidare a 180 km/h, sbattuto sportelli, tirato calci, gridato, sussurrato e sperimentato il contenuto del silenzio nell'ascoltare quello che avevo da dirmi.
Mi sono data all'evasione da certi strozzamenti di collo, e poi sono tornata; mi sono smarrita nei vicoli d'ombra delle incongruenze della mia persona, e sulla strada ho rimontato i pezzi, curva per curva, salita per salita, discesa per discesa.
Ho avuto paura.
Ho trovato le forze.
Ho avuto fretta.
Ho preso tempo di fronte alle prime e ultime vesti del giorno.
Sono caduta. Centinaia di volte. E la strada mi ha tollerata, anche da caduta.                                                                                                madre passionaria

E' in macchina, sulla strada, che le forme della mia città una sera si sono liquefatte e non le ho mai più riviste come sempre ho fatto. La sera che ho scoperto di aspettare mia figlia. Di essere diventata madre.
                                                      
Ed è in macchina che in questi giorni, io guido, guardando dallo specchietto retrovisore trovo Lè. e Sofia, ed è tutto quello che ho.

E pensare che, sempre nella stessa macchina, qualche sera fa ho meditato la fuga. Pioggia scrosciante, qualche avventore eroe della spesa come me, e una strada larga, lunghissima, senza curve.
Che ancora mi tollera se cado.

     

3.5.10

Div. #1.

Sono qui, Sofia in braccio, che guarda le mie dita sulla tastiera, che tocca il mio orecchio, che blocca il flusso del mio scrivere col mouse. Gino Paoli è seduto al bar con i suoi tre amici. Le piace, e la faccio saltare ogni due parole scritte. Ridiamo. Mi abbraccia. Mia figlia mi abbraccia.
Siamo in pace.
Nient'altro.