27.5.10

Nel tempo di Sofia.

Da 12 mesi solo Sofia. Per 15 ore al giorno. Tutti i giorni. E poi, quando lei conclude il suo giorno, raccatto le briciole che ha lasciato, rattoppo le cose che ha rotto, sistemo l'occorrente per il giorno dopo, o se scelgo l'inattività mi preme sulla testa la colpa dell'inattività. Perciò, sia come sia, ancora Sofia, per altre circa 3 ore. E come ultimo atto quotidiano, è il sonno di Sofia a decidere quanto il mio corpo debba riposare. Alla fine per qualche suo misterioso scegliere, da 12 mesi non ci si riposa mai, accumulo spossatezza lasciandomi dietro ogni giorno qualcosa che era mio di diritto per a volte faticosa conquista ma che non posso più trattenere perché ogni carico, se pur minimo, lieve di spessore, leggero come, non so, un'idea, un piacere, il testo di una canzone, un punto di vista, una sensazione, un tratto della mia storia, un'intuizione, tutto è zavorra adesso sulla mia persona, che non si può fermare mai, perché guarda Sofia ininterrottamente, su ogni cosa Sofia, ogni azione è per Sofia, ogni azione personale, che non è per Sofia, è vista come azione mancante a Sofia. Che vive fiume in piena, non si ferma mai. 
Non ho più memoria.
Il flusso delle cose che accadono è vorticoso, mi percuote. Non sono né causa né strumento del loro accadere.
Sono un ceppo.
Via i fiori, il senso più vellutato, trasparente del sé è per sua bellezza anche il più delicato e quindi primo a cadere. Andate le foglie, la struttura che porta nutrimento non respira più, non si nutre e non nutre. Adesso comincio a perdere le radici, non ho memoria di quello che sono, perché la memoria ha bisogno di acqua, di essere abbeverata, rinfrescata nelle parti dimenticate, più secche.
E sembra che non ci sia spazio per l'innaffiare questo ceppo. C'è altro da fare. Sofia deve giocare, deve ridere, deve imparare, deve vedere, deve conoscere, deve confrontarsi, misurarsi, svilupparsi, deve sentire, deve discernere, deve amare, deve arrabbiarsi, avere paura, imparare a curarsi, deve comunicare, deve costruire, deve distruggere e ricostruire, deve sorprendersi, deve meravigliarsi, deve gioire, deve imporsi, deve cedere, deve aspettare, deve chiedere, si deve chiedere, deve capire, sentire la semplicità, dipanare la complessità.
E poi tutto quello che è relativo alla cura del corpo che non può essere trascurato, compreso lo starle accanto, perché  tutta la sua persona  né patirebbe.

Vivo di questa spinta primordiale verso questa bambina. E' il mio unico moto. 

Il primordiale mi ha sempre sorretta e guidata. Mi sono costruita sulla primordialità del vivere. Ma il mondo va avanti ed è lontano in molti punti da questa forma. Perciò ho saputo mediare l'impulso cieco attraverso la logica del pensiero, lo sguardo consapevole sul meccanicismo di quello che sono.
Oggi però vivo di eventi che si fanno prepotenti e senza sosta, non riesco a stargli dietro.


I pensieri si fanno liquidi e non è la liquidità il loro habitat. Si mescolano, si imbrogliano.   








Come si accorda un orologio?
Non avverto più il passo cadenzato del tempo, il ritmo causato e causativo, l'intreccio conseguenziale delle cose che accadono.
Vivo nel magma indistinto degli eventi senza indicazioni di rotta, una partenza, un punto d'arrivo, un modus operandi di viaggio. Io causo, il sasso cade, ma io non ricordo di aver causato la caduta del sasso. Quindi guardo cadere il sasso senza capire da dove arrivi la causa della sua caduta.
Vivo nel tempo di Sofia, che non ha percezione di una storia delle cose, racconto storico o cognizione del poi: la catena dei fatti è per lei un unico anello, circolare e finito. Ed è un bene che sia così: la circolarità cautela dagli urti di certi spigoli propri di ogni sviluppo.


Io in questo cerchio mi perdo. Ci urto.

2 commenti:

  1. come mi riconosco in quello che hai scritto...parola per parola...

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  2. ...e dall'incanto del golfo partenopeo venne sul mio blog Leucosia...
    Bellissimo.
    Ti dico grazie.
    Grazie, perché la testimonianza che mi lasci mi toglie un po' di peso, di un senso di colpa, di una inadeguatezza, per questo navigare in acque schizzofreniche, fatte di felicità e di pressione, di profondo amore e di lividi da urto.
    Insomma: "mal comune, mezzo gaudio". Qualche volta funziona. Aiuta.

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