25.4.12

Volevo solo dirvi, amiche mie

Volevo solo dirvi, amiche mie,
che siete venute e mi avete cambiato
come solo certi incontri sanno fare in così poco tempo,
veloci e generosi come quel vento su Acitrezza.

24.4.12

Sfidare il presente ovvero "Full metal Jacket"

"Complimenti! L'azienda ha ricevuto la sua candidatura."

Complimenti un paio di zebedei! 
Sono la seicentosettantaquattresima candidata disperata per numero di posti vacanti sei. 
Perché quello che mi infastidisce davvero non è poi tanto il numero vergognosamente in eccesso rispetto al più piccolo che non sta nemmeno se gli applichi la formula della relatività, nemmeno se gli togli il vuoto, lo impacchetti per bene e lo spedisci a Bangkok per direttissima. Quello che mi infastidisce è l'enfasi del punto esclamativo in allegato al complimenti.
Complimenti! Lei è uno sfigato. Punto esclamativo.

Va bene, lo so.
La verità è che a volte si arriva ad essere come dei vecchi arteriosclerotici cui girano le palle anche solo per degli spifferi.

C'è che non sempre si riesce a tenere alto il morale, il sorriso stampato di chi non cede.
È tipico di chi ha spedito il curriculum fin su all'Himalaya e ancora non riesce a pagare le bollette. Tipico di chi ha telefonato fin dove parlano il turco e alla fine si rende conto che le ricariche, il loro costo, sono un vuoto a perdere.
È tipico di chi sente un esubero ancora prima di avere avuto il posto da occupare come esubero.

19.4.12

Salve, sono un'appestata sociale

E chiedo preventivamente scusa per la rabbia mal gestita, ma è che sono profondamente delusa.

Dal giorno in cui ho pubblicato il post di denuncia nei confronti di un modus operandi di certe aziende in sede di colloquio applicato alle donne, non è mica successo nulla di sostanziale che facesse della questione un fatto isolato e sfortunato.
Anzi. Continuo giornalmente, ripetutamente, fino a ieri sera, a incrociare storie di donne che escono sfiancate e amareggiate da ridicoli colloqui di valutazione che poi, come è ovvio, non sono altro che la punta dell'iceberg di una precisa visione delle aziende, ormai diffusa e silenziosamente accettata col beneplacito di tutti in nome di questo nuovo dio garante della moralità che oggi chiamiamo crisi.
Perché con "crisi" vengono ormai liberamente giustificate senza possibilità d'appello tutta una serie di lesioni dei più basilari diritti umani che, bisogna dire, non guardano al sesso, all'età, alle etnie e territorialità, che non guardano più a nessuna differenza che non sia quella che la cieca adesione a tale politica possa fare agli interessi di chi le applica. 
Rallegriamoci, perciò, beniamini della democrazie, perché in questo la crisi è fortemente democratica.
E però c'è tutta una realtà che si arrampica selvaggiamente sulla questione e prende forme specifiche e irripetibili.
Noi donne.

16.4.12

Livelli

Prendersi sul serio significa stare davanti l'edificio, nascosta dietro un angolo, guardando inebetita, ubriaca e intimidita, ché certi edifici ti danno alla testa non certo per la loro struttura architettonica ordinaria.
Prendersi sul serio significa, ad un certo punto, all'improvviso e senza una ragione apparente, decidere di uscire da quell'angolo e fare le scale che portano all'ingresso, del tutto impreparata su quello che si sta facendo, sprovvista di tutto, persino della più pallida idea di quello che si dirà tra due secondi.
Prendersi sul serio significa presentarsi all'ingresso come "Salve, sono una pazza" talmente emozionata di essere anche solo sul ciglio della portineria. "Salve, sono una pazza e vorrei scrivere dei pezzi per voi".
Prendersi sul serio significa salire il primo piano di scale, ancora ubriaca, senza aver perso miracolosamente la capacità primaria di deambulare dopo aver sentito un "Vada là" senza alcun tipo di tentennamento da parte di chi lo diceva.
Significa incontrare i primi giornalisti, guardare quelle facce piene di parole, annoiate e intelligenti, scambiarsi due battute e trovarsi simpatici.
Significa entrare in un'ala dell'edificio assieme a qualcuno che ha un codice per attivare un'apertura, passare altre piccole prove, rispiegare ogni volta, ad ogni livello, di essere una pazza, e salire altre scale.
Prendersi sul serio significa guardare gli occhi divertiti di qualcuno in segreteria di redazione mentre non faccio il minimo sforzo per nascondere tutta l'emozione che ho.
Prendersi sul serio significa tenere in mano un post it su cui è scritto il nome e cognome di chi oggi pomeriggio avrà di fronte una pazza.
Prendersi sul serio significa ridiscendere tutti i piani e le scale e camminare veloce ridendo come un'idiota con quella strana sensazione di aver vinto non si sa bene che cosa.

E insomma, non ne sono ancora sicura ma mi pare di avere capito che prendersi sul serio significa non prendersi sul serio.
E trovare il coraggio, ad un certo punto, all'improvviso e senza una ragione apparente, di svoltare l'angolo. 


11.4.12

Cose belle

Cose belle mi fa pensare a quella disposizione tutta speciale che hanno certi venditori di mercatini alla periferia della società di urlare la bellezza dei loro prodotti. Poi vai a vedere ed è robaccia da quattro soldi. E però ti rimane quella loro spavalderia e faccia di culo nel dar forza alla loro robaccia. Sono artisti della robaccia. La guardi, non sai che farne, sai già che una volta a casa la butterai, ma, caspita, quel loro teatrino sulla millantata pregevole qualità merita un applauso e adesione incondizionata.
Questo per chiedervi di aderire incondizionatamente alla mia robaccia, ora che ve la urlo come cosa bella.

3.4.12

Come un'amazzone sull'onda

Io credo che dovremmo smetterla di usare questo caspita di pensiero positivo, o post moderno, o dello sviluppo, o quant'altro di robaccia simil, mmmm... non so, capitalista. Insomma questo modo di pensare sempre spinto in avanti, sempre spostando più in là gli obiettivi, sempre ridefinendo il limite, anzi superandolo continuamente, non mi sembra ci abbia sempre portato bene.
Avanti, avanti, avanti, andiam, andiam, andiam, ancora, ancora, ancora.
Non fermarsi mai. A tutti i costi.
Che poi, ma quanti son alti alla fine sti costi, no?
Questo genere di pensiero così schizzato in avanti mi fa pensare a quando lavoravo all'aereoporto vendendo carte di credito. La prima settimana cinque carte di credito andavano bene, due settimane dopo dieci andavano bene. Tutti ci arricchivamo. Guadagnavo benissimo, e figuriamoci se nella catena di montaggio della vendita quelli sopra di me non lo facevano, non ci guadagnavano, se io ci guadagnavo. Poi mi son fermata a dieci. Dieci. Una settimana prima dieci andava benissimo. Sette giorni dopo era diventato un numero di merda.
Cresci, cresci, cresci, aumenta, aumenta, aumenta.
Ma all'improvviso quale specie di prurito demoniaco t'è venuto se sette giorni fa ti arricchivi benissimo e ora non ti basta più? E quindi secondo te tra un mese dovrei vendere in quattro ore cento carte? E dove li trovo in una botta sola tutti sti idioti?
Io ero più che convinta, e lo sono ancora, che esiste solo una piccola percentuale di idioti, giusto quella che serve a confermare la regola che l'essere umano è un essere intelligente. Per cui, di conseguenza, nella vendita di ste carte di credito, ero più che convinta che dieci o venti, toh, delle mie carte più quelle dei miei colleghi avrebbero più che coperto giornalmente quella percentuale che serviva a sfamare le fauci dell'azienda.
E invece no.
Evidentemente il mio numero percentuale non corrispondeva al loro.