20.8.15

La guerra dei due cuori

Viviamo in una casetta graziosa, 80 metri quadrati tagliati male ma usati bene, un cane bassotto, la bicicletta, migliaia di foto solo per noi, un altro dentino caduto, il divano affollato.
Viviamo in una bolla. 
Appena usciti fuori, i piedi, i giochi, i discorsi diventano polverosi, l'aria grigia fumosa. 
Di lato alla nostra porta di casa, le famiglie della nostra generazione tirano avanti sopravvivendo alle loro macerie. Le risate che sentiamo provenire da lì sono piene di stizza, i gesti pieni di chissà quali rivendicazioni personali all'affronto subito.
Famiglie spezzate in due e nessun perdono.
I figli di queste ceneri giocano con nostra figlia. 
Ognuno di loro ha due vite, due case, due letti, due facce, due cuori, quelli di fuori, che si fanno guerra, si odiano. Che parlano a distanza, l'uno contro l'altro, senza mai incontrarsi, senza mai darsi del tu. È sempre l'altro lontano, da odiare e tenere lontano.
E allora fanno così anche i loro due cuori, quelli dentro, un cuore fatto in due per servire gli odi di quegli altri, quelli adulti, anche i loro non si incontrano mai, non si danno del tu, si tengono a distanza.
E si vede mentre vanno sopra le loro bici, i monopattini, giocare spezzati in due, portare i loro due cuori, due fardelli che non fanno mai pace.  
E avendo così tanti cuori mica che amano di più. Anzi. Mi sembra che quando usino un cuore, il bene si trovi nell'altro e usando allora l'altro l'amore non si trovi più lì. 
Mi sembra che per loro l'amore stia sempre al di là, nell'altro cuore, nell'altra casa, aspetti dall'altro lato della barricata. Come chi ha messo radici in due paesi e quando sta in uno anela al bene promesso dall'altro e viceversa, senza che il posto in cui è basti mai da rifugio. 
Questo loro bene che è ancora bambino quanto loro e pare giochi a nascondino aspettando di essere trovato da questi bimbi per lo più compagni di gioco delle consolle, delle wii, con le quali l'amore analogico non sa giocare e pur volendosi e cercandosi a vicenda non si trovano mai. 
L'amore non è mai qui, ma sempre una promessa spostata in là nel tempo e nello spazio, non adesso in questa piazzetta dove ci sono appena una manciata di bimbi ma il quadruplo dei cuori, una baraonda caotica fatta di inquietudine e di rimandi. 
E a vederli, non lo tollero questo pensiero che mi assale e di cui mi vergogno, che al numero esiguo di questi bambini sembra che la natura, che si esprime nell'abbondanza, sopperisca moltiplicandoli da dentro. Uno spirito diviso in parti è un vaso in frantumi che non trattiene nessuna abbondanza, nessun bene. 
Questo loro bene che fa come un palloncino d'acqua, che non è mai docile sotto le loro mani. Guizza e tutte le volte che lo acciuffano scivola ed esplode. E siccome son stanchi delle promesse, delle cose che si rompono, e hanno paura delle bombe, come tutti i figli delle guerre, che di quello che più li atterriscono alla fine ne fanno un'arma con cui attaccare e difendersi piuttosto che rimanerne vittime, giocano all'attacco preventivo. 
Scagliano quel palloncino a terra facendolo esplodere ancora prima di provare a tenerlo in mano.
E mai nessuno, nessuno che stia lì a raccoglierne i pezzi. 
Capita che a volte arrivino addosso a Sofia, la bambina, l'unica qui, dal cuore uno, un'unica casa, un'unica vita, un amore reperibile sempre, indiviso nello spazio, che non può giocare a nascondino perché non ci sono barricate dietro cui nascondersi. 
Per lei i palloncini pieni d'acqua non sono potenziali bombe da far esplodere e se a volte capita che gli sfuggano di mano semplicemente ride. 
Noi insomma ci si vede andare sorridenti nonostante le macerie attorno.
Facciamo che questa cenere a terra sia per noi una lavagna su cui disegnare con la bici, e le bombe d'acqua che arrivano addosso salvezza per questa calura, ché tanto è ancora estate e poi c'è il sole.
In inverno si vedrà.