5.4.13

A volte un cerchio


Sarebbe dovuta essere la serata memorabile, una specie di anniversario esistenziale nei riguardi del destino, di quando all'improvviso un punto fora il tempo convenzionale che fino ad un attimo prima avevamo vissuto per abitudine coercitiva, ci fa dentro dei ghirigori per una manciata di anni, lo rivolta da capo a fondo e poi ritorna al punto di partenza. 
Insomma, quell'idea del cerchio che si chiude, idea romantica, confortevole, e inspiegabilmente piena di quel significato che ad un certo punto della nostra vita vogliamo dare agli eventi.
Quel cerchio stava lì, ieri sera, al locale dove io e il Riccio ci siamo incontrati.
Di quando ci siamo visti senza parlare, senza parole, stando ritti l'uno davanti l'altro e sembrava che tutto, una storia ancora senza storia, fosse già stata scritta da qualche parte.
Quel senso del destino a cui non badi, cui non vuoi credere per ideologia o solo antipatia, finché non lo hai davanti in tutta la sua evidenza. E in un attimo, in quel punto che fora, sei chiamato a scegliere: dire sì, dire no, andare a conoscerla quella storia o non avere nessuna voglia, o nessuna forza di farlo.
Noi, cinque mesi dopo, avremmo aspettato Sofia.

Ieri al locale il Riccio suonava, come cinque anni fa.
Ed io avevo la maglia che amo tanto per quella sciocchezza a volte salvifica per cui con quella cosa addosso e solo quella sei davvero tu. Come cinque anni fa.
E chi ha in città un locale storico che bazzica per anni, che torna e ritorna, e si incastona perfettamente nelle storie della propria vita, sa cosa voglio dire.
Un locale che è una specie di porto, di zona franca, immobile e che non cambia mai o pochissimo e che negli anni, decenni, accoglie le trasformazioni di una persona, gli amori, epocali o di una notte, le amicizie, quelle radicate o per mero consumismo, le sbornie, le canne, le diete, le musiche, i tradimenti, i successi, le perdite, le nuove rughe, una vita intera insomma, centinaia di sfumature che nascono e sfumano e quel locale il solito vecchio testimone che non fa onda mai.
Ieri al locale il Riccio suonava, come cinque anni fa.
Ed io avevo la maglia come cinque anni fa.
E c'era Sofia.
E dopo cinque anni era ancora tutto là, il palco, il bancone, il nero dei muri, la porta, i tavoli, quella volta che sono andata via di casa e ho abitato proprio sopra il locale, tutte le mie storie.
Ma c'era Sofia.
Che ballava, salutava la gente, sorseggiava l'aranciata, rideva, ascoltava suonare, voleva cantare.
E poi ad un certo punto siamo state invitate, io e Sofia, ad uscire. Il primo odor di canna della serata mi ha spiegato il perché.
Perché quel locale è rimasto volutamente ancorato ad un tipico vissuto notturno, dove la zona fumatori è quella dei musicisti che fanno musica e dell'alcol a litri, dove facce adulte stanno in bilico sulla loro adolescenza con un rum in mano e l'emicrania dell'indomani mattina a lavoro.
Non è un posto per bambini, insomma.
Ce ne torniamo a casa, io e Sofia, con un certo senso di confino addosso, io con un cerchio ancora da chiudere e Sofia con la sua precoce attrazione per quelle facce adulte e il loro bilico.
Mi acquieto subito però. Che fretta c'ho?
Sofia ha quattro anni.
Al tempo delle sue onde, il locale sarà ancora là.




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