24.10.11

Giochiamo a fare i grandi

È di nuovo polemica quella sollevata da alcune associazioni di genitori in seguito all'uscita del nuovo modello Barbie. Stavolta alla gogna è salita la barbie stile rocker, tutta glitter, leggings leopardati e tatuaggi, colpevole di essere troppo provocante, di fare da cattivo esempio per le bambine e di incoraggiare il loro naturale desiderio di apparire più grandi.
Che non ci fossero barbie modello "Promessi sposi" e "Domenica in piazza San Pietro" lo sapevamo già.
Ma, devo dire, come ogni volta che mi trovo davanti a questo genere di questioni, mi sembra che le reazioni siano esagerate. Specie per un oggetto, tra i tanti, cui alla fin fine spetta a noi dare un peso. Quello giusto, si spera.

Stile rocker ribelle, tatuaggi e teschio-cuore compresi. A parte che più che uno style pericolosamente fascinoso e da voler imitare, quello di questa barbie sembra uno dei tanti fantasmagorici out-fit partoriti dalla mente di Simona Ventura. Con un tocco di Platinette. E se avesse un bottone per parlare direbbe n'ascella sì, n'ascella no.

Ma se per questo persino la nostra tanto benamata Puffetta, con quei tacchi alti e bianchi sparati sul blu non dovrebbe uscirsene meglio.
Anche a voler fare i conti con le nostre paure, desiderando per i nostri figli tutta la sobrietà possibile, di comportamento, di stile di vita, di scelte, guardando a quei tatuaggi che tanto offendono il senso del decoro di mamme e papà, mi viene in mente di tutte quelle volte che abbiamo colorato, pitturato, disegnato, imbrattato, truccato i corpi, dalla testa ai piedi, delle nostre bambole.
Quant'era bello, e liberatorio, e creativo, mettere il rossetto sulle unghia di cicciobello, o lo smalto sui capelli di una pigotta, un cuore sulla guancia di un bambolotto? L'abbiamo fatto tutti. E questo non ci ha mica impedito di diventare adulti sobri e lontani da certe eccentricità; la maggior parte di noi non porta sulla schiena dragoni e cuori, discutibili come no per'altro.
Non ho capito poi in che senso sarebbe un modello di ribellione. Insomma: mi sembra proprio vecchio il pregiudizio rocker = dannazione eterna. Chi di noi non ha a casa un "rocker"? Chi ascolta, chi lo fa. Io ce l'ho. E non mi sembra mi abbiate mai sentito lamentare che il Riccio beva vino a merenda e vesta leopardato.
Perché poi un carattere ribelle venga letto esclusivamente con accezione negativa, invece che vederlo come una possibilità dei nostri figli di non omologarsi a certi sciocchi modelli tipo vite insulse di principesse che fanno l'uncinetto salvate dai principi, rimane da discutere.
Ribelle, specie in questi tempi di massificazione, credo sia una parola difficile da usare.
Per quanto mi riguarda, oggi vorrei che mia figlia fosse una ribelle, ma di quella tosta. Vorrei che si ribellasse agli schemi rigidi e vacui, agli oggetti a tutti i costi, ai telefonini in prima media, ai jeans alla moda, che si ribellasse all'essere in generale alla moda pena l'esclusione dai gruppi di appartenenza, ai programmi scolastici che offrono poco e niente rispetto alla complessità di oggi, che si ribellasse a tutti gli spot, gli slang, i brand, i trend, i friend...
Ma è ovvio che sbaglio.
Tutte le volte che chiediamo ai nostri figli di essere quello che vorremmo loro fossero sbagliamo.
Così come sbagliamo quando in una barbie mettiamo dentro le nostre storie, le nostre paure, la visione amara e adulta del mondo. Penso che è così che, seppur indirettamente, condizioniamo i nostri figli a fare quello che non vorremmo facessero.
Se riuscissimo a guardare senza pregiudizi, ora vedremmo solo una bimba che gioca con una barbie e che non vede l'ora di toglierle quella ridicola parrucca rosa.


Metto il rossetto di mamma. Il problema per alcuni si pone nella fascia di età che va dall'infanzia all'adolescenza. Qualcuno dice che questa barbie indurrebbe le ragazzine a voler crescere più in fretta. In effetti per bimbi come Sofia, e poco più grandi, un fiore su un braccio è solo un fiore su un braccio, e non un segno di identificazione di una categoria sociale. Loro le spogliano le bambole, non ne imitano lo stile.
C'è da dire però che è inevitabile il loro voler diventare adulti. Iniziano a due anni a indossare le scarpe di mamma, a mettere il rossetto e impiastricciarsi tutte. E lo faranno sempre. Fino a che non lo saranno davvero. Grandi.
Nessun "tagliatele la teeeesta" a una barbie ci proteggerà dalla paura di vederle crescere. E quando succederà, avranno già da un pezzo abbandonato sugli scaffali le loro bambole. Nessuna Jem o Occhi di gatto strafiche con cui la nostra generazione è cresciuta ha generato sul serio le starlettes di oggi, di cui abbiamo paura.
A quel punto figure ben più losche di una barbie plastificata avranno fatto il loro lavoro.
La verità è che spetta solo a noi generare coscienze. Nessun ritiro dal mercato di pezzi di bambola potrà farlo al posto nostro.
E credo sia importante decidere come farlo. Penso che sia questo che conti.
C'è chi punta il dito, chi denuncia, chi grida allo scandalo, chi si scandalizza.
E c'è chi, come un De Andrè, è riuscito a fare del mestiere più scomodo al mondo, soprattutto oggi per noi, una delle canzoni d'amore più belle.



Certo sono considerazioni di una mamma la cui figlia ha due anni. Non dieci.
Vedremo.

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