18.12.11

Buona la prima. Buonissima.




1. Questa parte si chiama attesa.
Non si sa in effetti come potrebbe essere, cosa avverrà, come sarà. E' talmente un fatto nuovo che tutte le supposizioni fatte fino a qualche minuto prima lasciano il tempo che trovano, si sa. Il tempo dell'attesa. Quella che ti fa stare appoggiata in piedi al muro perché, quando non sai cosa sarà davanti, almeno il duro dietro la schiena è una certezza.
Davanti, dal tetto della stanza fino a terra, un telo blu arrangiato. Tutto attorno l'incanto della neve, delle foglie secche, del rosso, ovunque rosso. Ma su tutto alla fine comanda quel telo sgangherato, trascina la vista, nessuno rimane libero, di poggiare gli occhi su altro. L'attesa è su questo telo. 
Nel frattempo si sorride, di quei sorrisi sciocchi per guarnire il tempo sospeso usati da chi in effetti non sa come potrebbe essere, cosa avverrà, come sarà.

2. Questa parte si chiama bianco.
E poi arriva il bianco. Spengono le luci. Ci sono delle piccole torce di luce blu. Dovrebbero fare da scia, investire il campo della scena. Ma hanno poco da imporre su quel bianco. Il bianco sulle teste, bianco sulle magliette, sulla cartapesta avvolta in vita e batuffoli rotondi di cotone un po' ovunque. Sembrerebbe stucchevole o innocente come le illustrazioni di un libro di fiabe. 
In realtà è un bianco che da alla testa. 
Adesso sappiamo come sarà. 
L'attesa è finita. I sorrisi sciocchi pure, si sono fatti diversi. 
Adesso sappiamo che il bianco da alla testa. Ognuno di noi che ha atteso, adesso ha il suo bianco. E dopo aver visto il mio, il mio, mi sembra di non averne mai visto prima uno simile.
Mi stacco dal muro. Mi commuovo. Questo bianco da alla testa.

3. Questa parte si chiama sfida.
Lei piange. A tratti. Ma quando lo fa è un pianto profondo, silenzioso. Mi ha vista. Ci guardiamo. Dovrei a questo punto lasciare il muro, superare le tre file davanti, andare da lei. In ogni altra occasione l'avrei già fatto, lei lo sa. Ma adesso sto ferma, rimango lì a guardarla. E' un piccolo tradimento, lei lo sa. E poi nessuno si aspetta niente da lei, nessuno pretende qualcosa da un bimbo di due anni.
Eppure continua. 
Continua a sollevare in aria le braccia, a dondolare i batuffoli di cotone che le stanno in vita, a mandare bacini.
Mentre la guardo mi dico che questa è una delle nostre prime sfide, di quelle che a casa, nel nostro, niente e nessuno ci chiede di affrontare. Rimanere ognuno dalla nostra parte, nonostante i pochi metri che ci separano. Stare nello stesso piccolo spazio ed essere così fisicamente lontane.
In un momento io e lei abbiamo deciso che andava bene così. 
Nonostante quel pianto sordo in gola. Il suo. Il mio.

4. Questa parte si chiama applauso.
E questa sfida, di questa bimba piccolissima che ancora dopo mesi e mesi rimane l'unica a non essere stata capace ad affrontare il distacco, che si ribella ogni mattina, si nasconde, si fa rincorrere, sospende il fiato perché io non la lasci all'asilo, questa sfida, adesso, che la incolla dietro a quel telo blu meglio di tutti gli altri bimbi che oggi invece hanno messo da parte il loro coraggio quotidiano, merita un applauso.
Sono sempre stata il fanalino di coda nell'arte dell'applauso. Sono quella che aspetta. Il primo, il secondo, un certo numero folto di mani perché io mi inserisca. C'è una certa paura dietro questo indugiare. Sembrerebbe una forma di discrezione nel non disturbare, nell'aspettare i tempi giusti della rappresentazione. Ma credo sia una ben più grande paura: quella di essere scomoda, non pertinente, fuori luogo.
Adesso invece sono io la prima. Uno, due, tre volte. Tutte le volte, la prima. 
Applaudo forte, quando mi viene, quando non posso trattenermi. 
Come per quelle cose che ci sgorgano dentro, quei demoni che si impossessano e ci liberano.
Oggi, dopo anni di concerti, teatri, manifestazioni, discorsi, convegni, passati ad assecondare gli applausi di altri, oggi arriva il mio vero applauso. Per Sofia. Il mio demone, forse.

5. Questa parte si chiama scordare.
E ora che è finito tutto e lei mi sta in braccio, paonazza, confusa ed eccitata come lo sono io, vorrei aver fotografato tutto: il bianco, il telo blu, i batuffoli di cotone sulla cartapesta, le file adesso vuote, il rosso, il tavolo imbandito, la confusione a terra.
Ma ho dimenticato la scheda della fotocamera nel computer.

6. Questa parte si chiama battesimo.
Perché, sono certa, i battesimi avvengono in ogni luogo e situazione, in ogni momento. Accade un fatto, e dopo te ne vai in giro con la netta sensazione che qualcosa sia cambiato. Si respira in modo nuovo, si guarda, si assapora quello che viene con una forza mai avuta prima. Perché basta poco per rinascere, essere per l'ennesima volta persone nuove. 
Basta ad esempio la prima recita di Sofia.



2 commenti:

  1. Che emozione eh? Poi con quel vestitino da favola..A volte appena entrano i miei faccio fatica a respirare, poi per fortuna ti fanno anche ridere 'sti piccoletti e tutto si risolve in una risata con lacrimuccia. Confesso anche che a volte vorrei che fosse loro la parte dei protagonisti (ma finora nada, Andre anche quest'anno ha fatto la coda della cometa, niente San Giuseppe e manco uno dei pastorelli..) ma credo che non reggerei a tanta emozione! ;)

    P.s. Non so se è voluto, ma voglio credere che per 'sfida' tu abbia usato il mio suggerimento..:)

    m.

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  2. :)

    la gonnellina di cartapesta me l'hanno data. La conserverò religiosamente. E' fatta benissimo. :)

    no, Mami. i vostri suggerimenti arrivano al prossimo ;)

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