29.7.11

Oh-my-God! ovvero: L'universo mi ha parlato

Lo strumento della parola è qualcosa che indubitabilmente mi appartiene. Dico: storie, letture, parole crociate, griglie logiche, riviste, vocabolari di ogni specie, sinonimi e contrari, archetipi dell'inconscio, pensiero laterale, l'Eredità il pomeriggio su rai 1. Persino le etichette con i componenti chimici e biologico-nutritivi dietro detersivi e pacchi di biscotti, ché un giorno qualcuno mi disse che anche leggere i cartoni del latte faceva cultura. 
La parola per me sottende il mondo. In principio fu il verbo credo di essere capace di concepirlo più di quanto il mio dubbio cosmico figlio di quest'era post-moderna mediatica ed effimera, e tanto più mediatica quanto più effimera, ché la sostanza non ha bisogno di essere pubblicizzata, voglia ammettere.
Io ci sguazzo nella parola e in tutte le forme che prende. Così come lo fa con l'acqua il nuotatore, gli sci lo sciatore, il coso Rocco Siffredi.
Per questo non riuscivo a capacitarmi del fatto che in Wired, la rivista che leggo ogni mattina, risalire al nome dell'articolista dietro ai pezzi era per me un'impresa titanica.
Proprio non ci riuscivo. Parole e idee anonime. Terribile. Come partire per una località e non poterne sapere i nomi delle vie, dei quartieri, della località stessa. Un unico blocco senza coordinate e punti di riferimento. L'uomo newageano direbbe grande esperienza di libertà; io, donna moderna nevrotica, che ho ancora bisogno delle mie certezze, direi l'Infernoooo (specie se non riuscissi a trovare quel localino di cui la Vivi mi ha parlato così tanto bene: "si trova lì: tra l'albero di nespolo e il tombino in basso a destra") 
Ad ogni modo, dicevo: Wired e, per la mia vista ottusa, l'assenza dei nomi degli articolisti.
Sono andata avanti così per due anni, leggendolo e sentendomi un'idiota.
Ma stamattina è accaduto qualcosa. La svolta. 
C'è questa rivista di Wired vecchia di secoli. Mi gira e mi rigira da settimane sotto al naso. E io la leggo. Ma a furia di leggerla, se proprio devo, da giorni non faccio altro che scegliermi l'articolo da leggere: quello della maestrina che lotta per l'alfabetizzazione dei bimbi in Africa. Ormai non leggo più il pezzo. Quello che guardo, ogni mattina da settimane, è la foto della donna. Mi piace quel suo modo lieve di guardare. E' una donna serena, realizzata, leggera. Tutto quello che non sono io. 
La ammiro da settimane ogni mattina come farebbe una quindicenne con il poster di Jennifer Lopez e a suon di Get right cerca di far del suo culetto pallido e smorto uno bello sodo e latino americano. 
Io faccio lo stesso, solo in un modo poco più sofisticato.
Stamattina, prima di arrivare alla foto, leggo di ingegneri e universitari e pensatori che lavorano per far grande sto cavolo di mondo. E io mi chiedo come caspita sono arrivata ad infognarmi così, tra un parchetto il pomeriggio e una litigata con mia madre ogni santo giorno della mia vita tutta uguale.
Ad un certo punto dai meandri sperduti della mia testa, mentre arrivo alla foto della maestrina e la guardo, mi rimbomba una voce che tuona tipo Dio quando sgama i due consorti dietro il cespuglio e comincia a tuonare: Questa è la donna che vorrei essere. Mentre mi vibra sta voce mi cade l'occhio. Dopo due anni di buio mi cade l'occhio sul primo nome di un articolista di Wired: Barbara Rivoli.
Barbara Rivoli.
E' la giornalista che qualche mese fa mi ha citata in un suo articolo su Stile.it e che mi ha mandato un'email carinissima.
No, dico, lo vedete il nesso?
Oh, io sì che l'ho visto.
Cioè: mi dico che sono diventata una merda, che mi sono infognata, che vorrei essere...., che vorrei fare...., in due anni che leggo Wired non ho mai visto mai un nome di un giornalista sulla rivista, guardo per settimana quella foto di quel pezzo e che succede? Sento quella voce e leggo che l'articolo è di Barbara Rivoli. 
Mica cazzi.
Ho sentito i pianeti allinearsi, la voce del cosmo vibrare, l'energia dell'universo illuminare, Alleluja Alleluja cantare.
Poi mi sono calmata.
Va bè, è una coincidenza. Però...
Dal buio della mia testa mi pare sia una strada.



L'Universo ha così parlato. La seduta è aggiornata.
Non sono ancora sicura di cosa mi abbia detto.
Certo è che adesso so dove stanno messi nomi e cognomi dei giornalisti su Wired.


24.7.11

Come diventare un sacco di patate

Prendete un infante.
Fatelo crescere nel sacro fuoco della maternità esasperata che non concede nient'altro che non se stessa a se stessa.
Camuffate l'insana esasperazione sotto ideali di infanzia protetta, sacra, da tutelare con le unghia.
A chi preventivamente vi dirà che non porterà nulla di buono questa vostra iper attenzione e presenza e abbondanza di cure materne, zittitelo con lo sguardo accusatore e ditegli che se il mondo non funziona è per questo atteggiamento menefreghista nei confronti delle esigenze dei più piccoli. 
Fatevi chiamare Madre Teresa.
Ecco, siete a buon punto. L'infante a quel punto vi riterrà la Madonna e non potrà più fare a meno delle visioni mistiche a cui è abituato stando con voi. Non vorrà nient'altro: libri illustrati, storie, giochi, colori, pupazzi, palle. Niente sarà degno della sua attenzione se accanto non ci siete voi. 
Siete messi bene: vi trovate nella fase precedente a quella del sacco di patate. Siete dei funghi allucinogeni. 
Fate la prova del nove: cercate di distrarlo da voi con altre figure di riferimento, anche le più importanti, o le più accattivanti per lui, e si distrarrà, per 30 secondi. Poi vi pretenderà con ancora più forza e quei 30 secondi vi costeranno una cistite per protratta trattenuta di urina; a meno che, s'intende, non facciate del gabinetto un tandem.
E non vi preoccupate se a volte vi verrà uno specie di guizzo quasi umano.
Non vi preoccupate.
Non vi preoccupate se avrete voglia di mettere in ordine le vostre cose, la casa, gli armadi, la libreria: il tradimento si paga e per il fatto di aver trascorso del tempo in altro modo che non stare con lui, l'infante in 10 minuti ve la farà pagare rimettendo tutto fuori posto, sporcando, infuriando contro quello che avevate nettato in 3 ore. Così lentamente ma inesorabilmente vi metterete in testa che non ha senso e mollerete la balzana idea di avere una casa dignitosa.
Non vi preoccupate se vi verrà voglia di riprendere a leggere, o dipingere, o scrivere, o..., magari la sera, magari quando dorme. Le dodici ore passate in questo modo unidirezionale, con i baby-paraocchi sul resto del mondo, ogni giorno per mesi e mesi e mesi, vi logoreranno al pari di un operaio cinese e alla sera persino leggere i consigli su come affrontare la sindrome premestruale sull'involucro degli assorbenti vi verrà duro.
E infine se sulla scia dell'ormone post parto avete aperto un blog sul vostro amato pargolo ma ad un certo punto vi verrà voglia d'affrancarvi e aprirne un altro su, che ne so, le pannocchie piemontesi o il turchese sull'abbronzatura, non vi preoccupate, la vostra curiosità verso nuovi lidi si spegnerà presto: la vostra vita è un unico soliloquio monotematico sulla questione infante, di che altro potreste parlare?


Et voilà. Il gioco è fatto.
Complimenti! Siete ufficialmente dei sacchi di patate.
Dopo due anni non sarete ancora uscite con una amica o con il vostro compagno o con qualcuno che ascolti altro da Cristina D'Avena; non avrete ancora fatto un sano pomeriggio di shopping che non comprenda Chupa Chups, Focus Pico e palle pazze...
...
...
...dopo due anni non saprete neanche allungare la lista delle cose da poter fare senza l'infante. 

Dopo due anni, nell'arco delle settimane, vi saranno concessi soltanto 5 minuti magri. Magari per scrivere uno stupido post su come diventare un sacco di patate.

23.7.11

Metti un coniglio in spiaggia

no, va bè, ma ti sei mangiata il cervello?
ti prego smettila!
adesso smettila!
sarà un'insolazione. ecco, vedi a non seguire le precauzioni di cui parlano tutti i tg quando non sanno più come tappare i buchi dell'informazione? saranno pure buchi ma se li avessi seguiti ora non saresti qui a fare il coniglio con l'insolazione.
dio!, messa qui a fissare catatonica come con i fuochi d'artificio o come i conigli quando vengono abbagliati. fermi, ritti, inebediti, catatonici.
oddio, sono catatonica.
dai, basta!, concentrati, fissa un punto, il mare, l'orizzonte, l'Etna che impera, tua figlia che ti chiama disperata da venti minuti, una signora che ti guarda in cagnesco perché è da venti minuti che ignori tua figlia, tua madre che fa la Don Chichotte de la Playa per estirpare dagli anfratti più reconditi di tua figlia fino all'ultimo granello di questa cattiva!, cattiva spiaggia! ed è per questo che tua figlia ti chiama da venti minuti sperando che la salvi dalle manie ossessivo-compulsive di quell'igienista paranoica di sua nonna.
dai, datti un contegno, riprenditi la tua vita, fai la mamma assennata trentenne e smettila di conigliare.

Veronica è a uno di quei lidi formato famiglia con ombrelloni, lettini, pinne fucili ed occhiali.
E un bagnino appanzato sessantenne che gira spocchioso tra i secchielli e le creme con un che di io sono l'imperatore di queste terre tamarre.
Il lido formato famiglia offre tutti i comfort che rendono interessante il soggiorno qui a tamarraland: campo di bocce, di racchette, di beach-volley, karaoke e fitness.
Fitness. Su un palcoscenico da villaggio vacanza.
Culi, flaccidumi vari, ma anche muscoli ovunque, sudori, esercizi imbarazzanti del corpo, musica techno sparata col cannone, un radio dj che commenta col microfono, e un istruttore, anch'esso munito di microfono, che tiene il tempo nel modo più ridicolo del mondo e une du tr quattr cinc see seet ott novw diech ma che, non si capisce come, riesce ad essere cretino e figo insieme.
E tutta la scena è così: ridicola e figa assieme.
Veronica non riesce proprio a fare a meno di starsene lì, ciondolante, a guardare i culi, battere col piede la techno, dirsi coniglia catatonica e seguire a mente e une du tr quattr cinc see seet ott novw diech.  


Veronica pensa che la clausura forzata di questi ultimi due anni cominci a dare i suoi effetti. 
E si rende benissimo conto che ha due problemi.
Uno è che vorrebbe con tutta se stessa essere là ma proprio non può perché c'ha una figlia da salvare da una delle innumerevoli quarantene igieniste inflitte dalla nonna parassito-virale-irrito-paranoica.
Due è che vorrebbe con tutta se stessa essere là.

22.7.11

...that is the question

Avete presente lo spot di quelli che tornati da una famosa crociera sono in preda a depressione e crisi d'astinenza? L'aria è mesta, i colori sono annebbiati e tutto è tristemente fermo e silenzioso. Avete presente?

Ecco, direi che è stato così qualche giorno fa quando io e Sofia siamo tornate.
Siamo tornate ad una realtà del tutto contraria a quella del paesello del Riccio.
Perché se dovessi riassumere in poche parole quello che significa stare lì dovrei usare parole chiave come confusione, rumori, mancanza assoluta di ordine e di organizzazione, arte dell'improvvisazione e di adattamento, ritmi circadiani esplosi, disordine di ogni qualsiasi attività e appunto, ripeto, sovrana su tutto l'improvvisazione. Perché quando non c'è un piano, un copione già scritto, lo scandire misurato del vivere, qualcosa devi pur farla, devi pur spuntarla e allora improvvisi.
Il che è incontrastata, forsennata, meravigliosa febbrile libertà.
Io credo che sia il frutto delle distanze ravvicinate. 
Voglio dire: in una grande città è difficile cogliere l'attimo.

19.7.11

Abbiamo gli occhi rotondi e nocciola

Quando qualcuno è felice si vede.
Si vede.
Ripeto: si vede.
E' qualcosa di non bene identificato a cui non si può dare né nome né forma. Non è neanche un sorriso in bocca, ché ce lo sappiamo stampare tutti un bel sorriso e via a prendere per i fondelli il mondo.
Chi è felice non fa nulla di diverso da quello che faceva prima di non esserlo. Voglio dire: non si appende ai lampadari, non comincia a parlare l'eschimese.
No, chi è felice porta addosso quella cosa che si vede, dentro e tutt'intorno, che incolla ad uno ad uno i pori della pelle, che ammortizza gli urti del corpo, che fa morbida la camminata e le forme del viso.
E poi gli occhi.
Lo vedo il Riccio: ha finalmente quei gli occhi lì, quelli tutti pieni, rotondi e nocciola, quelli che non cercano più punti a cui appigliarsi ma stanno fermi perché ora è tutto, non manca più niente, sì insomma quegli occhi lì.
Sei mesi fa il Riccio è tornato per lavoro nel paese da cui anni prima è scappato per andare in cerca della propria vita.
Ma alla fine si ritorna sempre. E il ritorno ha sempre un po' il sapore della beffa.
Il Riccio ha trovato la sua vita e per mantenerla l'ha lasciata in città ed è dovuto tornare a tutto quello da cui è scappato.
E ora siamo tutti e tre qui. In questo paese quanto più lontano da tutte le nostre aspettative.
Ma ancor più lontano da tutte le nostre aspettative c'è che qui, in questi giorni, abbiamo tutti e tre gli occhi che non cercano più.

8.7.11

La lingua e il Diavolo

Un anno fa Sofia era un genio. Davvero. Un genio. 
Della lingua, utilizzo e pronuncia.
Non camminava ancora, anzi, sembrava essere destinata a fare la riproduzione in carne e ossa della statuetta del Buddha e nient'altro. La sua capacità motoria era pari a quella della majonese dentro al barattolo. E io a volte ho temuto di doverla spolverare per sempre in mezzo agli altri ninnoli di casa.
Ma parlava. Dio se parlava. Pronuncia perfetta di almeno duecento parole. Ed eravamo tutti impressionati di come quella cosa immobile fosse così presente e pertinente nella comunicazione.
Adesso, invece, avendo scoperto le gioie del movimento libero e forsennato del corpo, mi sembra che quella genialità si sia ridimensionata. E' come se le sue capacità siano state messe sui piatti di una bilancia per essere equilibrate.
Naturalmente quello che usa adesso è un linguaggio più preciso e squisitamente arricchito: a solitari sostantivi ha aggiunto verbi e coniugazioni, infinito, gerundio e participio passato, e moltissimi avverbi.
Ma...è normale. E' il linguaggio di una bimba di due anni.
Stavolta con errori di pronuncia. Primo su tutto il comune spagnoleggiare le parole tipo paja, caballo, trobalo.
E poi: Opia per Sofia, aniamo per andiamo, maniare per mangiare e lilì (pausa) salata per insalata.
E quel suo inarrestabile sofianese fatto di parole vicine all'aramaico mentre finge di conversare al telefono o tiene in mano Barbie e una mia infradito.
Insomma, cose così. Normali.


Ora, in mezzo a tutta questa normalità quello che penso è che ci sia sicuramente qualcosa di diabolico se, per quell'unica volta che mi esce una tra le più impossibili delle imprecazioni, Sofia mi ascolti, rimanga un po' in silenzio e poi ripeta perfettamente e senza intoppi scacamento di coglioni.

6.7.11

Lettera ad Anonimo

tu che la sera mordicchi strani semi, bevi tisane, ascolti la radio su una sedia a dondolo e lavori i ferri, adoro dirti 'vecchia' pur sapendo quanto tu sia sexy
che hai mille interessi, mille piccoli piaceri da sperimentare, uno su tutti stare sveglia le notti a fare bouillottes per un'Italia intera
che quando la sera sei stanca ti viene il mal di testa e poi scrivi omettendo quantità spropositate di vocali e consonanti e mi chiedi scusa
che parli poco, come se avessi un nodo, ma quando stiamo assieme sei un fiume di racconti e punti di vista e sensazioni ed emozioni e ora so cosa prepari per le cene speciali, quali cause ecologiste sposi e quali sono gli esercizi da fare per pronunciare bene certe consonanti
che nonostante io abbia sempre rifuggito come l'odore degli escrementi le storie da tabloid, con te si fa notte tarda parlando anche di sciocchezze
che come tutti hai qualche segreto, piccolo grande segreto del cuore, e io, proprio io, li conosco
che sei sofisticata senza mai abusare, semplice come la seta
che tutte le volte che ho di fronte la frutta mi viene in mente quando per un tuo pranzo hai preparato due pesche e lo yogurt perché non avevi tempo per altro e l'ho trovato molto eroico
che sulle pareti ti piace il grigio e non usi lo smalto e guidi malissimo
che dici di dover perdere qualche chilo e adesso la sera devi rinunciare al piacere della tazza di latte
ecco, che quindi nel mio immaginario oltre al fatto che mordicchi strani semi, bevi tisane, ascolti la radio su una sedia a dondolo, lavori i ferri e fai bouillottes, si aggiunge che bevi il latte caldo, ma continui ad essere incredibilmente sexy
che ti porti addosso migliaia di piccole paure ma che di fronte a quello che vuoi non ti risparmi affatto, tenace e dritta come le rotaie del treno, e che se non fosse stato per te oggi non saremmo qui
che siamo come vecchie buone amiche che si offrono il meglio parlando del loro peggio, non camuffandolo sotto fantasie edulcorate
che vorrei conoscere come muovi le mani, come ti aggiusti i capelli e come indossi quella tua fissa che è lo scaldacuore, ma poi lo so che è solo una fissa da mania del cucito visto che, ogni volta che mi devi raccontare che ne hai preparato uno, nemmeno ricordi bene come si chiama e la sera anche di inverno in genere stai vestita leggera perché senti sempre caldo
e non ci siamo mai viste e ho dovuto risalire al tuo viso ricomponendo dei puzzle di foto
che da poco meno di un anno le tue cose sono anche un po' le mie e la donna che sono oggi è fatta anche un po' di te, in questa relazione sconsiderata fatta di sole parole
che a volte mi fai ridere a crepapelle e odio l'emoticon che sono costretta ad usare
tu che da quando ti conosco non ci siamo più lasciate e che ti porto nelle mie faccende di ogni giorno
che specie nei pomeriggi ti vorrei qui a condividere tazze, teglie, taralli e fettucce colorate
ma che centinaia di chilometri di lontananza non ci hanno impedito di volerci bene senza motivo

grazie,
perché la mia cassetta delle lettere non è mai stata tanto bella prima di te