20.5.12

Italia, mea culpa

L'Italia sta implodendo, o esplodendo, come più vi piace.
Il succo è che L'Italia sta morendo, sì.

Facciamo allora che additiamo questo mostro incorporeo che è la politica, il potere, le lobbies, i meccanismi e le dietrologie da complotti, e poi, visto che siamo gente pratica e moderna, e le incorporeità non ci piacciono ormai un granché, ché è finita già da un pezzo l'epoca del Romanticismo, gli diamo un nome, il primo che viene, anzi quello che è più in vista e va di moda, ché così non solo non facciamo magre figure ma non dobbiamo neanche sforzarci se non siamo dotati di grandi intuizioni creative. Ora Berlusconi, poi Monti, poi Bossi, poi Grillo, poi che ne so Pappa e Ciccia, e così fino alla fine delle liste in voga del momento con il beneplacito del copia e incolla da parte dei media.
I più tra noi in questo modo si soddisfano. Hanno un bel capro fresco di stampa e di fronte ad un piatto di amatriciana soddisfano pancia e mal vivere, facendo anche sfoggio di buona cultura generale e contemporanea.
Oppure possiamo fare come quelli, dall'altro lato dell'amatriciana, che sono più intelligenti forse, più intransigenti, più acculturati, più ambiziosi, che non se ne fanno niente dei nomi di turno, non mangiano amatriciana forse, non si accontentano di additare il politico turnista e gli vien da ridere quando qualche cittadino si alza da tavola e si organizza per manifestare il dissenso in modo pacifico. Possiamo fare che quando un paese sta andando a puttane c'è bisogno di violenza e allora ci mettiamo a sputare ai poliziotti, lanciamo bottiglie, facciamo casino, il verso delle pecore ai cittadini moderati, facciamo sit-in quando siamo più tranquilli, ma il punto è che benché più passionali, in termini di partecipazione, più intelligenti, più acculturati, più disincantati, ci muoviamo in tal senso perché ci manca il concetto di paradosso, laddove l'intento è di combattere la violenza del sistema, che si impone con violenza, attraverso la violenza.

Dove ci collochiamo allora davvero tutti noi, in questo triangolo fatto da politici, amatricianisti e paradossisti?

Ci collochiamo dove compete l'umano.
Dove la politica, quella vera, quella umana (abbiate pazienza, ma è la parola chiave e verrà ripetuta), la politica del bene vivere la si fa ogni giorno, ciascuno di noi, anche se formalmente sembra che ne stiamo ai margini.
La facciamo noi quando decidiamo o no di buttare una carta in strada. Quando scegliamo o no di scavalcare una fila, in strada o alla posta o ovunque. Quando scegliamo se salutare o ignorare. Quando scegliamo se fare lo scontrino o evitare. Quando scegliamo di tirare lo sciacquone di un bagno pubblico o di lasciarlo marcire. Facciamo politica quando lasciamo il nostro posto in autobus, quando non parcheggiamo dove è inumano parcheggiare, quando all'arrivo dell'ambulanza ci fermiamo sul ciglio, quando spegniamo i telefonini a teatro, quando arriviamo puntuali ad un appuntamento, quando non attiviamo i tergicristalli sulle mani degli extracomunitari, quando chiediamo scusa anche se siamo in una posizione di potere, e quando in chi nella gerarchia si trova al di sopra non vediamo necessariamente un despota ma una persona che se l'è guadagnato di diritto, perché di diritto vuol dire che anche noi ci arriveremo. Facciamo politica quando siamo grati e ringraziamo la nostra collaboratrice domestica perché la pulizia è a partire dal suo lavoro. Quando non scegliamo di mettere davanti alla tv i nostri figli perché non disturbino troppo. Facciamo politica quando scegliamo di non denunciare all'istante il piccolo torto perché un nostro fantomatico diritto è stato leso. Civiltà vuol dire a volte tollerare il torto subito: significa che dietro c'è una visione umana delle azioni. Facciamo politica quando non diamo la frutta piena di antibiotici ad una bimba di tre anni solo per vendere roba. Facciamo politica quando teniamo aperta la porta a chi sta arrivando dopo. Facciamo politica quando in ogni piccola idea riusciamo a vedere una risorsa, ma non solo in termini di guadagno. Facciamo politica quando restituiamo i soldi, fossero anche dieci centesimi, che non ci appartengono. Quando lasciamo passare un pedone anche se un semaforo non ci costringe a fermarci. Quando scegliamo di lavorare per quell'azienda con la responsabilità di farla crescere e non per avere lo stipendio salva-culo. E al contrario quando scegliamo di vedere quella persona come una crescita per la nostra azienda e non come un fastidio da dover remunerare ogni mese. Quando spegniamo le luci, il motore, chiudiamo il rubinetto, facciamo la differenziata, raccogliamo il pomodoro che ci è caduto al bar.

Vi sembra una lista utopica o prolissa o mediocre o coercitiva?
Allora c'è un problema, perché i più grandi stati, quelli più civili, quelli che ci sembrano lontani e inarrivabili, basano su questa minuzia la loro grandezza.
E sì: esistono.

E potrei stare ore ad elencare tutti gli atti che siamo chiamati ad esplicitare, modesti come solo il senso umano sa essere, perché le cose funzionino.
Atti che manifestano intelligenza sociale, umanità, senso del dovere reciproco al diritto. Intelligenza soprattutto, lume. Atti di persone che sentono di avere responsabilità, come quando in casa si evitano parolacce perché nostro figlio non le impari.

Ma lo abbiamo capito o no che siamo tutti parlamentari, in ogni momento delle nostre vite?
Il pescatore che sente la responsabilità di quello che pesca, è un parlamentare.
Il fruttivendolo che sceglie la provenienza di quello che vende, è un parlamentare.
Un impiegato comunale che non passa le ore a far shopping ma offre i suoi servizi, è un parlamentare.
Il genitore che compra i gessetti per la classe senza lagnarsi, è un parlamentare.
Il datore di lavoro che non evita di pagare i contributi del dipendente, è un parlamentare.
Il dipendente che onora il coraggio del datore di lavoro con l'impegno, è un parlamentare.
Chi ha timore di perdere il frutto dell'intelligenza di una donna che entra in maternità, piuttosto che quattro spiccioli, è un parlamentare.
Chi non ostenta status e ricchezze, è un parlamentare.
Chi non ha paura di essere giudicato, offeso, ed esprime le proprie idee senza soffocare nell'aut aut quelle degli altri, è un parlamentare.
Chi fa la differenziata senza imputare a ipotetici disservizi la colpa del suo eventuale disimpegno nei confronti dell'ambiente, è un parlamentare.
Chi lascia pulito un bagno pubblico pensando alle mani prossime che lo toccheranno, è un parlamentare.
Chi è giusto perché è giusto e non perché sente la pressione della legge, è un parlamentare.
Chi lavora per lavorare e non per arricchirsi, è un parlamentare.
Chi non usa potere, pur avendocelo, fosse anche una maestra delle elementari, è un parlamentare.
Chi ha vergogna di sprecare di fronte alle indigenze, è un parlamentare.

L'umanità governa.
E chi non è tutto quello di cui sopra è l'uomo politico di oggi, ovvero noi di oggi.


Si dice sospirando, come discussioni da bar, che se oggi in Italia il popolo non è sovrano è perché se l'è meritato.
Ma la verità è che il popolo è sovrano eccome e quello che ci governa oggi, e che additiamo come colpevole, è quello che siamo noi, e ce lo siamo meritato.
Se l'Italia è violenta, toglie diritti a innocenti, li toglie a tutti, non accoglie, non protegge, non è mamma, è perché tutti noi non siamo "genitori" responsabili. Accampiamo diritti, come adolescenti.
Se l'Italia sta morendo è colpa di tutti noi che pensiamo o al piatto d'amatriciana o ai grandi atti, alle grandi rivoluzioni, a far crollare i governi, ad additare il potere, e poi ridarlo tale e quale ad un Peppe Grillo di turno.
Facciamo solo di spodestare per poi risederci sugli stessi seggi unti.

Ma cosa crediamo che sia quel motivetto che ci piace tanto e che fa: "libertà è partecipazione", che lo usiamo come sfoggio culturale ma che non applichiamo mai?

Gente, 
il Demiurgo che stiamo cercando, invocando, piangendo, il Demiurgo a cui stiamo affidando la nostra salvezza, è già qui, a casa nostra, nelle nostre strade, nelle nostre scuole, nei nostri uffici, ai mercati, tra le bancarelle.
Siamo noi.


E' colpa mia, Italia.
Colpa mia, Melissa.

2 commenti:

  1. mi hai fatto venire i brividi.
    per quanto è vero.
    per quanto è triste.

    per quanto sei brava.

    v.

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