27.4.14

Concime per il gelsomino

Cinque anni fa prendevamo casa, compravamo mobili e accessori, discutevamo su quelli che la gente mediocre chiama con vaghezza e timore progetti ma che per noi erano ovvietà, davamo battesimo ad ogni piccola modifica di casa facendoci su l'amore, eravamo ricercatori certosini di quell'oro che nel tempo sarebbe stato cifra e pelle tatuata di casa nostra: gamberoni, biscotti, carni, sughi, cioccolate, crepes, vini, libri, tende bianche di velo e di lino, calzini dimenticati in fondo al cesto della biancheria, filavamo lenti la maglia intricata dell'odore di casa e aspettavamo così, senza fretta, con il senso del tempo già compiuto, Sofia. 
Ma non è mai compiuto il tempo della maternità fino all'ultimo istante. Si arriva con quell'amore acerbo per gelsomini profumati e cani indifesi. Fino a quel momento la maternità è un senso di autocompiacimento e di fiducia per questa bontà generale e vaga nei confronti del mondo, tiepido e inesploso come due tettine abbozzate di una preadolescente. È solo nell'ultimo definitivo istante, fatto di sangue, umori, tocco e pelle nuova, che la maternità arriva senza corone di gelsomini e mugolii di cani, né vaga di bontà. La maternità esplode di bellezza a fiotti di affanno, dolore, sudore e rughe e si porta addosso due tettone giganti svuotate di latte e di smagliature.
Ma questo sarebbe arrivato dopo.
Nel frattempo, aspettando Sofia, piantammo nel giardinetto due gelsomini alti di un anno. Ci piaceva accoglierla nell'odore che avevamo costruito dentro e quello di miele del gelsomino fuori. 
Ma in questi cinque anni il miele è stato sempre poco e i due gelsomini son rimasti alti allo stesso modo.
Abbiamo innaffiato, dissodato, tolto le foglie secche, concimato con gli scarti del melograno accanto, ma niente. I gelsomini non sono mai esplosi. Nemmeno sotto ordine perentorio della primavera. Sono sempre rimasti in bilico, tra la rinuncia e la fioritura, in perenne lotta sul da farsi. Siamo sempre stati convinti che dopo ogni inverno li avremmo dovuti restituire al melograno come pagamento e nuovo concime.
E invece sono ancora lì.
Sopravvissuti persino alla furia del cane, un cucciolo di mesi gigante e stercaiolo al pari di una mucca. Ha deciso che i bisogni vanno fatti lì, dove mangia e dorme, tutt'intorno ai gelsomini. Mesi e mesi di vangatura del terreno hanno portato ad un tanfo indelebile, che si fa feroce quando piove e quando fa sole forte. Lo sterco mischiato al terreno è una poltiglia indistinguibile marrone che pestiamo e portiamo dentro casa. 
Lavoro tutto il giorno, non mi ricordo più del profumo di mia figlia, torno spezzata senza nessuna voglia di giocare e men che meno di salvare casa dagli intestini sciolti del cane. Il senso di colpa per quello che non sono mi attanaglia, quelle che mi sembravano una volta ovvietà adesso sono i progetti lontanissimi e di difficile fattibilità di una persona mediocre, i mobili si son scheggiati, graffiati, impolverati, il lino delle tende si è raggrinzito, il tempo è uno schizofrenico che non mi da tregua, e gli odori di casa son diventati la firma di un cane che defeca di fronte le finestre di casa ormai sempre chiuse.

Però per la prima volta i gelsomini sono rigogliosi e in fiore.

2 commenti:

  1. Capita a tutti, ma poi all'improvviso quei gelsomini cominciano a crescere, il cane a fare quello che deve fare dove lo deve fare, il profumo dei fiori si sente in giro e il sole ricomincia a splendere! Ti abbraccio e stringi ancora i denti.

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