23.1.11

L'impresa eccezionale

Silenzio, vero?
Nessuna parola, nessun suono, nessuna immagine. Pare tutto fermo qui.
Pare.

Vi porto dietro le quinte.



Sono giorni di grande rimescolamento di carte.
Potrebbe sembrarvi una scena da "tutti attorno ad un tavolo in tempi di festa", dove il rimescolamento farebbe da parentesi d'aria al gioco, da defaticamento dopo le strategie, una sigaretta, un caffè, due risate, quella frivola spensieratezza che prelude al gioco, insomma un piacevole momento di transizione e di ridefinizione dei ruoli.

La verità è che qui invece si tratta, per quanto mi riguarda, di ridefinire le coordinate che mi fanno.
Pare semplice, non è vero? A dirlo, a pensarlo, a scriverlo, a leggerlo pure, magari.

E invece vallo a cambiare di colpo un preciso punto di vista sul mondo, la finestra attraverso cui ti affacci a guardare la sua rappresentazione, lo stile che usi per definire la realtà e viverla, che poi è la forma di cui si veste il nocciolo del tuo essere.
Vai a cambiare dunque di botto quello che sei, quel radicamento dell'anima radicato Dio solo sa dove.
E' un'impresa immane.
Come per uno sportivo diventare un fumatore incallito.
Specie se non sei da sola ma tra le gonne ti porti uno scricciolo a cui devi garantire continuità, morbidezza dei comportamenti, per nulla strappi alla quotidianità di cui si alimenta.
Se fossi sola, quindi, sarebbe una di quelle imprese tutto pepe ed eccitazione, che ti vedono amazzone dell'esistenza, valorosa combattente dai denti e tacchi aguzzi, seni al vento e cavalli domati.
Adesso invece è il trauma per eccellenza.
Per me, che vai e destrutturare una donna strutturata in questo modo.
Per Sofia, che da quando è al mondo vive di questa struttura che io le ho così generosamente e senza freni di sorta offerto e che adesso le devo togliere anche piuttosto violentemente.
Farla soffrire per non farla soffrire più.
Vi rendete conto?

Continuo?
Sì?

Merda.
Mi dispiace, ho provato a cercare sinonimi più equilibrati, più gentili dal punto di vista dello stile, meno aggressivi. Ma in questo rimescolamento delle carte entra in gioco anche il fatto di non portare più il linguaggio dentro i labirinti della speculazione teoretica di cui faccio abbondantemente uso.    

Per cui merda è il solo vero nome di quello che mi tocca immediatamente destrutturare.

E sì che da quando ho memoria delle mie primissime forme di autocoscienza, quanto mi piaceva rotolarmi in questo pantano marrone che gli altri incontrandomi chiamavano sospirando "riflessione" "maturità".
Quanto erano belle queste parole!, specie nella primitiva acquisizione del linguaggio mia e di tutti quelli che la usavano a mio appannaggio: allora non capivamo ancora bene le implicazioni legate a queste parole, che mi venivano dette con la sola precisa volontà di conferirmi uno stato privilegiato, di specialità.
Quanto mi piaceva essere speciale.
Allora avrei potuto salvarmi, dire: "No, mi dispiace, non sono matura e riflessiva, gioco solo a pallavolo, mangio la pizza, mi piacciono i cartoni animati." Oppure: "No, mi dispiace, non sono speciale, sono normale: rutto quanto voi".
Oggi lo sarei, una persona normale, che non vuol dire altro che una testa piantata a terra senza ricerche pindariche di sorta, senza retropensieri infilati in qualsiasi virgola di questo mondo.
E invece ho continuato, lavorando su queste due parole, strutturando la mia persona intorno a tutto quello che con loro si sposava bene. Col tempo, con la dimestichezza, ho raggiunto vette insondabili di riflessione e di maturità, senza mai accorgermi di quanto fossero fini a se stesse, o di quanto facessero da ostacolo al cammino limpido e dritto di una vita.

L'esperienza che io e Sofia stiamo facendo in questi giorni al nido fortunatamente sta facendo crollare questa impalcatura che a dirla tutta già da un po' non funzionava, ancora prima di Sofia, ancora di più con l'arrivo di Sofia.

Tutto è messo in discussione.
La mia maternità.
Il mio essere donna.
E il fatto che abbia aspettato un inserimento al nido per farlo già parla da sé.


Una persona normale.


Perché Sofia soffre. E a continuare così lo farà ancora.
Per colpa di questa mia matura e meravigliosa attitudine alla riflessione.

Mi tocca spiegarmi meglio.





Continua

3 commenti:

  1. veronica, credo di non aver capito un accidente di quello che hai scritto, ma a mio parere sono le persone normali a non avere "una testa piantata a terra senza ricerche pindariche di sorta, senza retropensieri infilati in qualsiasi virgola di questo mondo.".

    le altre sono persone senza anima.

    sono d'accordo con te, poi, che a tanto analizzare e pensare si può introdurre un po' di leggerezza, per quanto insostenibile, come già qualcuno ci spiegava...

    ti mando una pennellata di bianco.
    e un bicchiere di birra fredda.
    a.

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  2. e appunto le persone normali non ce le hanno: io abbondantemente sì. e adesso mi costringo ad esserlo. normale dico. ci provo.
    mi sa che quando smetterò di scrivere così e mi cimenterò nella cottura a vapore di pannocchie avrò raggiunto l'obiettivo.
    bianco, birra e bagno caldo caldo.
    grazie A. bella.

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  3. dopo le prime battute, il mento si è accasciato su una mano e ho pensato: uh mamma, qui la cosa si fa seria.
    capisco il mettersi in discussione, l'aspirazione a essere una persona normale... mhhhh... che hai tu di anormale? a parte qualche circuito neuronale troppo diramato?!

    e io ti mando una pennellata di grigio!

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