22.7.11

...that is the question

Avete presente lo spot di quelli che tornati da una famosa crociera sono in preda a depressione e crisi d'astinenza? L'aria è mesta, i colori sono annebbiati e tutto è tristemente fermo e silenzioso. Avete presente?

Ecco, direi che è stato così qualche giorno fa quando io e Sofia siamo tornate.
Siamo tornate ad una realtà del tutto contraria a quella del paesello del Riccio.
Perché se dovessi riassumere in poche parole quello che significa stare lì dovrei usare parole chiave come confusione, rumori, mancanza assoluta di ordine e di organizzazione, arte dell'improvvisazione e di adattamento, ritmi circadiani esplosi, disordine di ogni qualsiasi attività e appunto, ripeto, sovrana su tutto l'improvvisazione. Perché quando non c'è un piano, un copione già scritto, lo scandire misurato del vivere, qualcosa devi pur farla, devi pur spuntarla e allora improvvisi.
Il che è incontrastata, forsennata, meravigliosa febbrile libertà.
Io credo che sia il frutto delle distanze ravvicinate. 
Voglio dire: in una grande città è difficile cogliere l'attimo.
Se pensi ad una qualsiasi cosa da fare, tra te e quella cosa ci sono chilometri di traffico e di mancanza di parcheggio e di tempo passato in macchina e il cambio di Sofia e la borsa equipaggiata e il passeggino o, se lo hai lasciato a casa, centinaia di metri a piedi con 16 chili semoventi e irritati addosso. E alla fine non è detto che quella cosa da fare ne valga la pena. Perciò fare ritorno a casa con chilometri di traffico e la multa sul parabrezza e il tempo passato in macchina e la borsa equipaggiata e il passeggino o, se lo hai lasciato a casa, centinaia di metri a piedi con 16 chili semoventi e irritati addosso. 
Insomma anche solo andare a mangiare un gelato in città diventa una partita a scacchi, la somma di mosse strategiche ben assestate per venirne a capo.

Al paese del Riccio invece ogni vostro desiderio è un ordine
Non devi pensare, organizzare, fare strategie. Qui pensi una cosa e in trenta secondi la fai. Ti appoggi a un ramo volante e sei arrivato. Tutto è a portata di mano. Passa qualcuno e ti da un passaggio. Non ti prepari. Qui cogli l'attimo. Perché è davvero questione di attimi.

E poi qui l'occhio gode.



Si vive per strada perché qui la strada non è un mostro impersonale che ti fagocita ma è a misura di uomo. Ti fornisce tutto ciò di cui hai bisogno. E' un mercato di esperienze e di attività dove tu realizzi quello che hai da realizzare. La strada di paese è efficace. Non ti fa smarrire. Quello che cerchi trovi.
Ed è per questo che in strada si instaurano i rapporti. Perché sono tutti lì a vivere la strada. 
In città rimani chiuso nel tuo bunker perché la strada non agevola ma è barriera. Ti conduce alla meta ma è barriera e non vedi l'ora di percorrerla tutta e arrivare.
Al paese del Riccio la meta è già tutta in strada, perciò si gode di viaggio e destinazione. E' tutto lì. 
Robe, burocrazie, cibo e persone. Persone vere. Che non sembrano impossessate da quella smania che ti fa dire un ciao biascicato e via, come se si portasse addosso il morbo della peste l'uno contro l'altro. Ciao e scappare. Come va? e scappare. Tutto bene? 
Neanche sentire le risposte e scappare. 
Al paese del Riccio si rimane. Anche per ore. Si condivide il tempo. Non si fugge verso altro. 
E questo è una ricchezza.
Ho visto Sofia felice in strada.
E questo è una ricchezza.
Ho parlato pomeriggi interi con una deliziosa quasi novantenne, sedute sul ciglio di casa sua.
E questa è una ricchezza.

Siamo tornate in città e qualcuno ha biascicato qualcosa che non ricordo, mia madre ha fatto i convenevoli del caso per cinque minuti e poi è tornata alle sue parole crociate. Io e Sofia dentro al nostro puzzolente bunker. 
E questo non è ricchezza.


Ma.
La città è cultura. La città offre tutti i servizi di cui hai bisogno. La città ti da tutte le opportunità.
La città è il carnevale multiforme di esperienze.
Ed è difficile dirle di no.
Specie per un anonimo paesino.

Perciò,
restare o andare: questo è il problema.



(ma il carnevale non è una settimana all'anno?)

3 commenti:

  1. Hai sollevato il mio problema. Quanto sarà provinciale e privo di stimoli lavorare (oltre che vivere, ma vivere è stata la scelta giusta) in un paese? Fino a un mese fa lavoravo a Piazza di Spagna. Avevo tutto a portata di mano. Vedevo la Roma più interessante e affascinante ogni mattina, ogni pomeriggio e ogni tramonto. Parlavo inglese ogni giorno perché quello è territorio di turisti. Vedevo donne bellissime con vestiti bellissimi e uomini supereleganti e atteggiati e anche se mi sembrava molto ridicolo, il tutto, mi piaceva. E avevo mille stimoli.
    Ma zero tempo per fare quello che mi piaceva e zero voglia poi di tornare a Roma per qualcosa che non fosse il lavoro, solo i concerti riuscivo a ritrascinarmi in città.
    Perché in paese io sto una favola e tutti i miei amici sono qui, alla distanza giusta se ho finito le uova o il burro.

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  2. io senza la grande città non posso stare. perchè c'è a colpo sicuro l'ospedale, soprattutto..però se potessi, farei fagotto e me ne andrei, in un'aria migliore, con tanto ossigeno non solo per cuore e polmoni ma anche per la mente! lontano da frenesie, false apparenze e falsi miti! buon finesettimana!

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  3. Ale, è curioso...
    uova e burro sono le parole che mi sono girate in testa per tutto il tempo che scrivevo il post
    chissà: forse sono archetipi legati al "buon selvaggio"

    Leuco,
    la mancanza di ospedali è uno tra i motivi che non mi fanno scegliere per il sì
    per quanto riguarda le false apparenze, beh lì il paese ne è pieno più che qui in città
    penso che proprio perché la città è un teatrino noi attori siamo più abili a smascherare le operette, siamo più smaliziati
    vedremo...

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