9.3.12

Guarda la nera

E poi però a volte mi prende la paura. Quella bieca nera che trova risorse per se stessa un po' ovunque, nelle cose lasciate incomplete, nei giochi a terra da spolverare, nella puzza delle cicche, le calze noiose di notte a terra, l'aria acida di freddo dagli spiragli della porta. Se la trova, la risorsa, persino sui giubbotti informi lasciati sulla sedia appena tornati da fuori, ché il fuori pare non sia servito a risparmiarli, i resti di ieri sulla tovaglia. La nera copre le rughe dei muri, il piede della cassapanca sbeccato per chissà quale urto, lo sbecco a segno dell'involontarietà dei gesti, ma anche sui buchi del piano in arte povera, l'intenzionalità dei quali pare comunque non serva ad allontanarla. La paura vive sui buchi.
E si attacca alle forme che mi girano intorno. E' così che se la cava di essere evitata, ché lo sa che sono una che non chiude gli occhi.

La paura è un paradosso sulla mia persona: lei trova risorse per se stessa ogni qualvolta mi sembra di non trovarne più per me. 

E se.
E se adesso le dico che tutte quelle sue risorse, persino i buchi, sono poi le stesse mie e ci faccio quello che voglio, persino con i buchi?
E se adesso le tolgo ogni cosa, raccolgo i giochi da terra, ci gioco, ci riprovo col giubbotto, lo metto e vado fuori; e se allo sbecco smetto di dargli il nome di errore e comincio a chiamarlo storia, solo una storia?
Io dico che così la fotto. La sbecco.

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