6.2.12

Mss Tambourine e il reportage fallito di una blogger di emme

Mentre cerco di incastrare bene i tempi tra Sofia e la realizzazione di Mosca blu ( in pillole spiegato il "forse"), oggi avrei voluto star qui a riportare gli eventi di ieri di quel fenomeno nazionalpopolare qual è la ricorrenza di S. Agata. 
Terza per grandezza in tutto il mondo, un milione e più di visitatori arrivati da ogni parte del globo, ventiquattro ore di processione senza sosta. Insomma, ci sarebbero stati tutti i numeri per farlo. 
L'uso del condizionale è direttamente proporzionale alla natura del mio essere blogger. 
Non so se la cronaca catanese oggi lo abbia riportato. Ma se magari a qualcuno di voi stamattina è capitato di leggere di una giovane donna avvistata ieri a Catania mentre sbraitava "bloggerdimmmeeeerda" in preda ad uno stato confusionale, ecco, quella giovane donna sarei io.

Ho dimenticato la macchina fotografica.
Ma come si fa?
Come si fa mentre siamo sotto una luminaria grande venti metri per venti, mi dico, la più grande e imponente che abbia mai visto e Sofia la appella come "piccolo, piccolo, vuole mamma pove'ino" per non so quale stramba associazione di idee tipico dei duenni.
Come si fa mentre c'è un milione di gente, un milione davvero, e, in mezzo a quella fiumana che a descriverlo è impossibile, a S. Agata avviene che improvvisamente qualcuno invochi il silenzio "shhhhh shhhhhh" e quella fiumana, un milione di gente, credetemi davvero, contati sulla carta un milione e più di gente, all'improvviso tutti in silenzio. Ma potete pensarlo il silenzio di un milione di persone? Ce la fate? Non si sente volare una mosca. Qualche voce flebile, in lontananza, ma non vale, si perde di fronte a quel milione di silenzi. 
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 secondi. Forse quindici. Un silenzio maestoso. Epocale. Lunghissimo.
E poi lo scroscio dell'applauso liberatorio del milione di gente. Da commuovere le pietre. E i ceri.
Quintali e quintali di ceri, omaggio simbolo della festa: piccoli, medi, grandi, ma soprattutto grandissimi. Ogni cero pesa sessantacinque o settantacinque chili. Il fatto è di portarlo per tutta la città da soli, al massimo un amico che ti tiene la schiena a mo' di conforto, il fatto è che si riesce a portarlo per un metro forse due. E ti fai tutta la città, in lungo e in largo, macinando i metri a poco a poco.




Come si fa, mentre vorrei documentarla la devozione di questi ragazzi, di più giovani, che, per la maggior parte di loro, domani torneranno a combinarne qualcuna, devozione sincera, credetemi, da costringerli a inginocchiarsi a terra ogni dieci minuti, a togliersi la voce cantando per la santa, per ventiquattro ore a portare una specie di uomo di cera sulla spalla, a farsi bruciare le mani dal fuoco per tagliare di torno alla fiamma la cera, quella devozione che gli impone di vestire "il sacco", uno specie di grembiulino trasparente di cotone e nient'altro sotto i gradi, cinque, vicini ai giorni della merla, ché anche qui a Catania si fanno sentire, dicevo, avrei voluto documentarla quella devozione dolce e sacrificale di questi giovani che domani, per lo più di loro, torneranno a combinarne una.


Ma poi, anche se avessi avuto con me la macchina fotografica sarebbe stato difficile entrare bene in quest'aria quando bisognava rincorrere Sofia, portarla in braccio, allontanarla dalle pozzanghere, allontanarla dal suo unico obiettivo.




E stare sotto una pensilina per trenta minuti, al gelo totale con Sofia che assordava battendo sul suo tamburino comprato nuovo di zecca, mentre aspettavamo che scampasse. E poi comprare un ombrello da un venditore di ombrelli, avere il tempo di aprirlo e bestemmiare un secondo dopo perché improvvisamente non serviva più.
S. Agata è anche questo.

Queste due foto smilze e fuori fuoco?
A mezzanotte, tra una pozzanghera, la segatura bagnata tutta a terra e fino in testa perché per la cera qualche anno fa ci è scappato il morto; e poi un tamburino, il gelo, e una piazza strategica ad aspettare l'arrivo dei fuochi d'artificio più maestosi che esistano, che poi sarebbero arrivati alle tre di notte e che quindi non avremmo visto, ho trovato in borsa la macchina fotografica.
Ho fatto ste due foto e si è spenta.
Blogger di emme.

5 commenti:

  1. 'La villa'. Così mia nonna chiamava le luminarie al nostro paesino giù in Puglia (grazie a Dio San Pietro si festeggia il 29 giugno, niente gelo..). Quanti ricordi.
    Dai su, niente foto come le volevi fare tu, ma il tuo racconto rende lo stesso, forse di più delle foto.
    m.

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  2. :)
    e comunque vorrei aggiungere che anche una lista della spesa avrebbe raccontato meglio di ste foto

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  3. A me, che sono rimasta bambina e profondamente pugliese dentro, hanno detto molto.

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