17.3.12

Gattacce di primavera

Se qualcuno dovesse chiedermi a quale personaggio mi potrei riferire dovendo parlare di me stessa, ecco, credo che non farei fatica ad identificarmi in Mary Fisher di She-Devil. 
Alla fine del film, però. 
Cioè, quando lei, delusa dall'amante, la famiglia del di lei amante, la moglie indemoniata, i casini, i rosa, i pouf, le pagliettes, la vita meringata che si costruisce e di cui scrive, ecco, dicevo, alla fine, presa dal disgusto per lo zucchero che impera nella sua vita e le ha reso solo una carie, lei alla fine sceglie di diventare nera.
Nera. Genere scrittrice maledetta. Genere continuo, profondo, proficuo ma fastidioso rantolo. Genere o rantolo o morte. Va bene, non vi sto qui a descrivere il colore e il tono dei "maledetti" ché sappiamo bene tutti.
Comunque sì, io sarei così. Non saprei bene dire quando è avvenuta la scelta, quand'è che ho vestito i panni della lady maledetta invece di quelli pastello, o giamaicani, o donna delle Fiandre o fluo di questi ultimi sgargianti tempi moderni. 
Forse quando, meno di dieci anni, regalo di una Pasqua, su un castello di cartone il cui interno aveva contenuto un nuovo di Pasqua della nota azienda di uova-ovetti-ovoni, invece che la storia di una principessa da salvare con l'ammore, inscenavo una psico tragedia familiare tra puffetta e Barbie. 
O forse quando nei miei pomeriggi di bimba libera, invece che scendere giù a giocare ad un, due, tre, stella!, preferivo ragionare sul principio cosmico dell'esistenza.

E direi, però, che oggi riesco a fare viaggi al contrario. Nel senso che a volte tiro fuori dalla manica la carta della meringa, dell'un, due, tre, stella!, ché non ci giocavo da bambina ma forse, mi dico, già allora sono stata abbastanza previdente da conservarmi la carta pensando che quella carta, quel gioco, un giorno mi sarebbe servito.
Così, non so bene se perché stanca del nero, del rantolo, ma mi dicono semplicemente perché ispirata dalla primavera, io oggi esco tutta la Mary Fisher versione meringa style che c'è in me. 
E dal nero che vesto quotidianamente spuntano frivolezze inimmaginabili, che nemmeno a quindici anni. 

Me ne vado in giro con questa specie di leggerezza nel corpo, zompettando come una ragazzina senza pensieri, nonostante i dieci chili e i dieci casini in più; i capelli freschi di corto che si prestano. E gli orecchini, unici miei istigatori del senso del feticcio, pure.


Che poi non mi saprei spiegare bene se tendo al dark (epperò che brutta sta parola, inventiamocene un'altra) perché è una specie di inchiostro nero indelebile inscritto nel dna delle donne della mia vita che mi è stato tramandato, o, al contrario, essendolo io per natura, tutte le donne di cui mi circondo, mi restituiscono nell'immagine questo modo di essere.
Perché, io assieme alla mia amica di sempre, ci vedreste passeggiare per strada in modalità noir (dal basso: scarpe, pantaloni, magliettina, matita sugli occhi) e da quel nero uscire improvvisamente di schianto gli orecchini più incredibili che possiate concepire.
Come quegli uomini, a mio parere incredibilmente sexy, che vestono l'abito di tutto punto ma non appena abbassati gli occhi gli trovi ai piedi scarpe da ginnastica giallo o verde o rosso fluo. Sappiate che ho un debole per queste scelte stilistiche: appartengono agli uomini che nonostante abbiano tutto sotto controllo lasciano aperte certe squisite parentesi sapendo benissimo che solo lasciando aperte nelle loro vite certe squisite e altisonanti parentesi riescono ad avere poi tutto sotto controllo.





Ed è una vita che io e la mia amica giochiamo a chi porta gli orecchini più belli, più buffi, più strani, più "oggi io sono questa". Dai primi orribili cerchi enormi alla Olivia Newton John in Grease della nostra adolescenza fino alle chicche di questi ultimi anni: note musicali, civette, tacchi, gatti, cactus, uncinetto a mano con le pietre (i miei con il filo verde bottiglia e le pietre nere che più belli non si può). 
Che se non li mettiamo siamo normalmente "nere". Ma se scegliamo di indossarli, cavolo!, qualcosa sta girando nel verso giusto, qualcosa ci sta rendendo felici.
Una vita che io e la mia amica ci guardiamo gli orecchini e capiamo tutto.





E insomma questa primavera, al di sopra di ogni sospetto, va così: va che mi vesto di primavera. Sotto ogni aspetto.
Va che mi metto gli orecchini, i miei colori, le mie scarpe da uomo fluo.
Va che mi sento leggera da potermi permettere di salire sopra a certe scatole senza per forza danneggiare.
Va che mi permetto di starmene distesa al sole senza poi tanti sensi di colpa.


E le signorine qui sopra, che si sposano benissimo con certe mie nuove passioni grafiche di questo momento, e con questo mio modo di stare rotonda, serena, leggera, non sono, ahimè, frutto della mia arte. Sono il risultato del progetto di una donna che, ci tengo a dirlo, quindici anni fa, quando la conobbi, pur avendoli superati, dimostrava diciott'anni. E ancora oggi, quindici anni dopo, porta sempre diciott'anni.
Avrà fatto qualche patto. Non lo so.
Quello di fare me e la mia amica di sempre accolite dei suoi orecchini, e di costruirci tutto attorno i pesi che mettiamo di volta in volta nelle nostre vite, quello di sicuro.


Ciao V. e V.
V.

2 commenti:

  1. ehi, che bella folata di aria frizzantina!
    vado a vedermi il sito
    baci

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  2. ciao bella. Buon aria frizzantina anche a te ;)

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