16.11.12

In questi giorni il mio bisogno è quello di confrontarmi con donne che rispondono tutte ad un unico specifico profilo: 24 ore e tailleur con spilletta caramella mou appiccicata. 
Insomma, la donna lavoratrice e mamma.
Lo faccio attraverso la visione di una filmografia e una lettura di libri e riviste specifice naturalmente, dove però la genitorialità incasinata dal ritmo lavorativo serrato è per me un fattore marginale al momento. Mi fa talmente paura e aggiungerebbe casini non costruttivi al fine che perseguo che non me ne curo e passo. Al momento.
Quello che mi interessa è piuttosto conoscere il modo in cui queste donne abbiano trovato in sè quella forza, la grinta, il coraggio e insieme quella leggerezza, come fosse una seduta dal parrucchiere, dell'essere imprenditrici. Cerco di capire com'è fatto quel momento in cui dicono sì, lo faccio; sì, non ho paura.
Sì. Quella cosa straordinaria della vita dopo la quale indietro non ci puoi tornare più.



È una cosa idiota, forse, quello che faccio, che non mi darà certo ciò di cui ho bisogno. Ma lo faccio.
E se non altro mi da un qualche sollievo visto che in genere quando finisce il film inizia il lacrimone patetico mio.
Scopro da poco di essere una wanna be impenitente. Ma va bene: è uno specie di schiaffo al mio orgoglio personale, che ho potuto tenere vivo finché son rimasta con la testa sui libri di filosofia e le mie fantasie, cioè finché non mi sono confrontata sul serio col mondo. Con persone di valore, di impegno, di ingegno, chilometri lontani e migliori di me.
Sono una wanna be perché voglio fare quei chilometri, essere migliore.

In verità un giorno all'improvviso io il mio sì l'ho detto. E c'ho creduto per un po', poi no, poi sì, poi di nuovo no, e poi un'altra volta sì.
Finché sono arrivata qui.
Ad avere, tra due settimane, uno degli appuntamenti più importanti della mia vita, di quelli che possono cambiarti la vita o, peggio, no. Per lo meno, in questo piccolo momento della mia vita, è così.



Nel frattempo:
continuo a rispondere agli annunci di lavoro che mi si presentano (e come spirito goliardico del karma sadico vuole, in questo periodo ho un boom di richieste);
scrivo le email che mi lasciano al telefono, in fogli bianchi con la matita bianca che è la prima sotto mano, per far prima e far credere che son efficiente (che dai dettagli si capisce...); 
studio per definire il progetto;
studio perché la presentazione del mio progetto non includa i miei attuali bug nella capacità di espressione lesa da troppi ritornelli, stornelli, lavoretti pucci-pucci, peppa pig & co., così tenerelli ma corrosivi più dei quartini sotto lingua;
guardo film;
e piango;
faccio torte, muffins, biscotti, crostate, in modo compulsivo;
mentre non faccio altro che pensare al mio progetto dico ancora sì, no, sì, no, sì, no, sì...;
litigo col Riccio, poi ci faccio l'amore, poi ci litigo di nuovo...;
trascuro Sofia ed è solo l'inizio;
sono un casino;
c'ho le farfalle allo stomaco e mi caco un po'.


2 commenti:

  1. dai v. che ce la fai!
    pensa che io sono andata in paranoia totale per molto meno, per un progetto molto più piccolo (te lo racconterò a progetto ultimato, perché sono scaramantica, lo sai no?)
    ;)
    p.s. avere le farfalle allo stomaco è essere vivi

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    1. :) grazie, Mami, mi rincuori.
      E sì, lo so, mi sento viva.

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