Proprio io, che ho scoperto Msn solo un paio d'anni fa, che so di Facebook per detto e non per fatto, che leggo le e-mail una volta al mese, Twitter rimane ancora solo un'icona muta su molti blog e non sono del tutto convinta di aver compreso bene il meccanismo RSS.
Proprio io, che immaginavo internet luogo di perdizione del tempo, un'osteria dove i beoni iniziano la mattina a trincare vino e per tutto il giorno, seduti nei loro affari liquidi, cercano di smaltire la lucidità sonnecchiando. O tutt'al più la pensavo come una trattoria di quint'ordine dove, se ti va bene, la pasta cotta, ricotta e scotta ti viene servita intiepidita dal microonde.
Insomma, un modo per maneggiare male il tempo, servito nel detto e ridetto dozzinale e generalista.
Proprio io, dicevo, qui ed ora, seduta di fronte ad internet, nel mio blog, a parlar di internet, inizio dal blog che curo. Appunto.
Ho trascorso 10 anni della mia vita in completa assenza di parole. Scritte. Non so per quale motivo. Sono stata sportiva in ritiro forzato, musicista a prestazione di cover, chef nella mensa operaia: tratteggiavo schizzi evanescenti su pezzi di carta scovati alla buona che regolarmente si smarrivano sui fondi delle borse, dei cassetti della scrivania, della macchina, della spazzatura. Direi quasi metodicamente abbandonati alla casualità del caos, stavano ovunque tranne dove sarebbero dovuti realmente stare: in una raccolta organizzata di ciò che mi rappresentava. E' così che ho perso, irrimediabilmente, fotografie di ciò che ero e che vivevo, slanci a volte anche appassionati di idee che in divenire sarebbero potuti essere progetti concreti. Perché se non si tiene, non si raccoglie, non si custodisce, non si fissa, ogni cosa è destinata a perdersi.
Marcela Serrano ne "Il tempo di Blanca" conclude con una sequenza di parole farneticanti, alla rinfusa, perdute nella testa dell'eroina colpita da afasia.
Di afasia in un certo senso si è ammalato il mio scrivere.
Di afasia sta guarendo grazie al blog.
Che è terreno privato e terreno pubblico. Stanza intima e luogo di confronto. Incontro con sé e incontro con gli altri.
Penso ancora ad una certa forma di esibizionismo/voyeurismo, ma nel modo più moderato e sociale del concetto, nel senso di "se tu mi guardi testimoni la mia presenza" e insieme "se io ti guardo, ti comprendo e mi comprendo". Insomma, comunicazione e confronto.
Internet è anche questo.
Ai social network preferisco ancora il social dinner party a casa mia, ché se ho voglia di quattro chiacchiere pretendo occhi, "Peermeesso?" "Entraate", articolazioni delle mani, padelle e un piatto di carbonara.
E ritengo che non sempre le informazioni cercate siano coerenti con la esaustività degli argomenti. Ma è anche vero che un paio di 30 e lode li ho guadagnati studiando su internet, cercando e trovando.
Perché internet è la rete del pescatore, colma di gamberoni rossi e qualche vecchio scarpone.
Ci sono rivoluzioni in atto su internet: la liberazione da vecchi dogmi da parte di popolazioni in evoluzione; c'è, una per tutti, Yoani Sànchez che, sotto il peso di un regime autoritario che tiene sotto scacco la velocità di acquisizione del sapere attraverso connessioni internet a 56k, si batte per la liberalizzazione di internet come strumento di trasmissione e diffusione della cultura; sotto l'inibizione del dibattito politico voluta alle regionali di qualche settimana fa, c'è stato l'approdo in rete di un qualcosa di organizzato (difficile da definire visto la novità dell'evento) che protestando ha eluso il mutismo forzato delle televisioni a 56k. E poi c'è la costante denuncia alle aberrazioni disumane di ogni genere, ci sono pagine di grande poesia, di grande impatto emotivo, e manuali d'istruzioni per ogni disegno o progetto che si abbia voglia di realizzare, testimonianze, indicazioni, spunti, miliardi di punti di vista, in su, in giù, per ogni punto dello spazio di cui si può avere un'opinione, e scontri, ammissioni di colpa, discolpa, e gamberoni rossi.
E vecchi scarponi, certo.
E' così che anche su internet si affaccia l'esercizio del libero arbitrio.
Ogni istante siamo chiamati ad assumere dalla vita sostanze di qualsiasi genere, che ci cambiano, ci plasmano, entrano nel dna della nostra coscienza e ci fanno nuovi, o vecchi, ma mai uguali. Siamo quello che viviamo, che decidiamo di vivere. E il libero arbitrio è questa scelta, la direzione determinante che ci muove verso l'oggetto, la sostanza che vogliamo dia forma alla persona che vorremmo essere. E una volta esercitato il libero arbitrio, entra in gioco la coscienza critica, il separare la pula dal grano, o viceversa, la plastica dall'alimento, o viceversa, il bene dal male, o viceversa, i gamberoni rossi dai vecchi scarponi, o viceversa.
Si fa in strada, in ufficio, a scuola, a casa, al bar, in noi, con gli altri, ovunque e sempre.
E se internet mi pare sia la letteratura di questa vita, si fa anche qui. Si deve fare anche qui.
Nonostante pensi ad internet come ad una potenzialità ancora acerba, un Mozart in maturazione, è per questi motivi, e per qualcos'altro, che ho sottoscritto la mia adesione al progetto "Internet for peace".
Naturalmente su:
www.internetforpeace.org
Proprio io, che immaginavo internet luogo di perdizione del tempo, un'osteria dove i beoni iniziano la mattina a trincare vino e per tutto il giorno, seduti nei loro affari liquidi, cercano di smaltire la lucidità sonnecchiando. O tutt'al più la pensavo come una trattoria di quint'ordine dove, se ti va bene, la pasta cotta, ricotta e scotta ti viene servita intiepidita dal microonde.
Insomma, un modo per maneggiare male il tempo, servito nel detto e ridetto dozzinale e generalista.
Proprio io, dicevo, qui ed ora, seduta di fronte ad internet, nel mio blog, a parlar di internet, inizio dal blog che curo. Appunto.
Ho trascorso 10 anni della mia vita in completa assenza di parole. Scritte. Non so per quale motivo. Sono stata sportiva in ritiro forzato, musicista a prestazione di cover, chef nella mensa operaia: tratteggiavo schizzi evanescenti su pezzi di carta scovati alla buona che regolarmente si smarrivano sui fondi delle borse, dei cassetti della scrivania, della macchina, della spazzatura. Direi quasi metodicamente abbandonati alla casualità del caos, stavano ovunque tranne dove sarebbero dovuti realmente stare: in una raccolta organizzata di ciò che mi rappresentava. E' così che ho perso, irrimediabilmente, fotografie di ciò che ero e che vivevo, slanci a volte anche appassionati di idee che in divenire sarebbero potuti essere progetti concreti. Perché se non si tiene, non si raccoglie, non si custodisce, non si fissa, ogni cosa è destinata a perdersi.
Marcela Serrano ne "Il tempo di Blanca" conclude con una sequenza di parole farneticanti, alla rinfusa, perdute nella testa dell'eroina colpita da afasia.
Di afasia in un certo senso si è ammalato il mio scrivere.
Di afasia sta guarendo grazie al blog.
Che è terreno privato e terreno pubblico. Stanza intima e luogo di confronto. Incontro con sé e incontro con gli altri.
Soltanto qualche mese fa, avrei pensato con tutta la forza delle mie convinzioni che scrivere di sé su internet fosse una forma sofisticata di esibizionismo, che desse nutrimento al voyeurismo imperante di questi tempi moderni, fatti a volte di vuoti di fame da colmare con la vista. Che questi scritti fossero per lo più marionette di cartapesta manovrate su un palcoscenico da riempire per il piacere di sguardi indiscreti. Che sotto la pressione di anonimi spettatori le parole e le esperienze intime non potessero sgorgare libere, manipolate dalle possibili reazioni degli osservatori piuttosto che dalla spontaneità e dalla spinta creativa degli autori.
Così come opera la pubblicità di un prodotto sui fruitori. Pubblicità vanesia di se stessi.
Ma di fronte all'esperienza anche le convinzioni più dure si ammorbidiscono.
Penso ancora ad una certa forma di esibizionismo/voyeurismo, ma nel modo più moderato e sociale del concetto, nel senso di "se tu mi guardi testimoni la mia presenza" e insieme "se io ti guardo, ti comprendo e mi comprendo". Insomma, comunicazione e confronto.
Internet è anche questo.
Ai social network preferisco ancora il social dinner party a casa mia, ché se ho voglia di quattro chiacchiere pretendo occhi, "Peermeesso?" "Entraate", articolazioni delle mani, padelle e un piatto di carbonara.
E ritengo che non sempre le informazioni cercate siano coerenti con la esaustività degli argomenti. Ma è anche vero che un paio di 30 e lode li ho guadagnati studiando su internet, cercando e trovando.
Perché internet è la rete del pescatore, colma di gamberoni rossi e qualche vecchio scarpone.
Ci sono rivoluzioni in atto su internet: la liberazione da vecchi dogmi da parte di popolazioni in evoluzione; c'è, una per tutti, Yoani Sànchez che, sotto il peso di un regime autoritario che tiene sotto scacco la velocità di acquisizione del sapere attraverso connessioni internet a 56k, si batte per la liberalizzazione di internet come strumento di trasmissione e diffusione della cultura; sotto l'inibizione del dibattito politico voluta alle regionali di qualche settimana fa, c'è stato l'approdo in rete di un qualcosa di organizzato (difficile da definire visto la novità dell'evento) che protestando ha eluso il mutismo forzato delle televisioni a 56k. E poi c'è la costante denuncia alle aberrazioni disumane di ogni genere, ci sono pagine di grande poesia, di grande impatto emotivo, e manuali d'istruzioni per ogni disegno o progetto che si abbia voglia di realizzare, testimonianze, indicazioni, spunti, miliardi di punti di vista, in su, in giù, per ogni punto dello spazio di cui si può avere un'opinione, e scontri, ammissioni di colpa, discolpa, e gamberoni rossi.
E vecchi scarponi, certo.
E' così che anche su internet si affaccia l'esercizio del libero arbitrio.
Ogni istante siamo chiamati ad assumere dalla vita sostanze di qualsiasi genere, che ci cambiano, ci plasmano, entrano nel dna della nostra coscienza e ci fanno nuovi, o vecchi, ma mai uguali. Siamo quello che viviamo, che decidiamo di vivere. E il libero arbitrio è questa scelta, la direzione determinante che ci muove verso l'oggetto, la sostanza che vogliamo dia forma alla persona che vorremmo essere. E una volta esercitato il libero arbitrio, entra in gioco la coscienza critica, il separare la pula dal grano, o viceversa, la plastica dall'alimento, o viceversa, il bene dal male, o viceversa, i gamberoni rossi dai vecchi scarponi, o viceversa.
Si fa in strada, in ufficio, a scuola, a casa, al bar, in noi, con gli altri, ovunque e sempre.
E se internet mi pare sia la letteratura di questa vita, si fa anche qui. Si deve fare anche qui.
Nonostante pensi ad internet come ad una potenzialità ancora acerba, un Mozart in maturazione, è per questi motivi, e per qualcos'altro, che ho sottoscritto la mia adesione al progetto "Internet for peace".
Naturalmente su:
www.internetforpeace.org
leggo solo ora questo; in attesa di quel piatto di carbonara, delle chiacchiere a quattr'occhi e mille voci (che quando cerco di parlare c'ho tutto il coro dei nani al seguito) che un giorno ci sarà, spero, davvero, da voi o da noi o a metà strada...se ti viene voglia, io a. e marta ci siamo su quel social network dove puoi aprire la porta solo a chi vuoi tu..perché a volte la quotidianità è raccontata e raccolta più in una frase o in una foto che in un racconto intero. Pensaci. :)
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