22.6.10

Amabile clown.

Li guardo, quello scricciolo bellissimo che fa tremare il labbro a comando mentre ti guarda angosciata come se fosse l'ultima volta che si starà assieme, e il Riccio, l'uomo dalla voce del vento, che ha cantato tutto quello che aveva da raccontarmi seduto sul velluto delle corde basse, che suona il basso e canta il vento, suona il basso e muove ogni gesto secondo un preciso ritmo, suona il basso e parla dando alle cose la grazia del suo sussurrarle.
Li guardo, tutt'e due affaccendati, lo scricciolo a disperarsi, il Riccio a spegnere la sua disperazione. Con ogni mezzo, tutt'e due. Lei, una girandola di crescendo di lacrime, occhi pesti e stropicciati, smorfie di dolore e "...amo'e..." su di me, lui, tentativi poco convincenti di stemperamento della crisi con canzoncine sciocche, balletti del corpo nervosi, smorfie ridicole, a tratti efficaci, su di lei.
Li guardo, mentre sono a un palmo dalle loro fatiche, e penso a quanto sia miracoloso e devastante ad un tempo l'entrata in scena di un lattante sulla personalità di un adulto. L'inconsapevolezza del suo vivere riesce a scardinare il più collaudato, non tanto per valore quanto per durata di tempo, tra gli abiti di un uomo, nonostante il lungo lavorìo del taglia e cuci. 

Lo vedo, sul Riccio, quel piccolo dolore, che appartiene tutto all'essere genitore, di quando si prova a far qualcosa ed è un buco nell'acqua, quell'andare all'infuori di se stesso per uno scricciolo ululante, quel calarsi al di sotto del suo far musica su ogni cosa, nuotare in acque che non gli appartengono e risalire a galla con ancora addosso i vestiti da clown.

Lo scricciolo, in braccio a me, già ride.
Il Riccio torna a suonare le sue corde basse. Ancora tutto bagnato.
   


Nessun commento:

Posta un commento