18.9.12

Menù a base di verde. Spegnete i condizionatori, ché se no i piatti si freddano.


Conoscete la storia del condizionatore acceso?
E no! che non la conoscete. Perché me la son inventata io in quella drammatica ultima ora di fine lunghissima storia d'amore col preciso intento di fare quell'unica cosa pietosa che è documento scritto e riscritto nel codice della dignità che per nessunissimo motivo s'ha da fare, nessunissimo, ma che alla fine noi tutti appartenenti alla grande stirpe eroica e prestigiosa dei cuori infranti ci ostiniamo a fare, ovvero salvare l'insalvabile. 
I battenti si stavano per chiudere, l'ora stava per scoccare, io non sapevo più dove andare a parare, e lì, con la testa impazzita, ad un tratto balenandomi l'immagine della sua stanza dove eravamo stati fino a due ore prima, ghiaccio polare che per staccare le mutande dal letto dovevi usare altro liquido di scongelamento, mi son inventata 'sta storia.
E niente, è la storia di questo condizionatore che fa un rumore infernale, sarà che è troppo usato, sarà che bisogna cambiare il liquido di raffreddamento, sarà che per forza devi arrivare alla temperatura che le mutande ti diventano di gesso e al momento del bisogno te le levi con un colpo di martello, comunque fa questo rumore assordante. Tu magari vorresti abbandonarti ad una pennica di fine pranzo siculo, dove la lasagna è servita come antipasto e lo zabaione come vivanda rinfrescante di passaggio tra un pasto e l'altro a mo' di sorbetto al limone.
Ma, nonostante la digestione sia appena iniziata e finirà solo tra due giorni, proprio non te la puoi fare 'sta santa pennica. Il rumore è fastidioso più di quello delle troniste della De Filippi.
E poi succede qualcosa.
All'improvviso.
Non l'hai voluto tu. Non hai fatto training autogeno per eliminare il mondo circostante.
E non è nemmeno un improvviso deficit uditivo.
E' che proprio non lo senti più. Il rumore del condizionatore non lo senti più.
I decibel dell'apparato son gli stessi ma è come se all'improvviso tutto si fosse ovattato.

Ti sei abituato.

L'abitudine, Signori, è la nostra mano santa. Ci aiuta a compiere sforzi titanici con una facilità da sbattimento di ciglia, ci rende forti di fronte a cose che all'inizio son proprio ingestibili. Insomma, ci dà la forza di sopportazione. Vedi la cricca della Maria De Filippi che continua indisturbata a turbare con rumori molesti.
Va da sè che per lo stesso motivo è uno strumento malefico. Perché l'abitudine ovatta tutto, non ti fa rendere conto più di niente, dell'originale di ogni esperienza, nel bene e nel male. Ovatta il bene. Ovatta il male. L'abitudine rende indistinto ogni cosa. 
E di fronte al bene, non te ne accorgi e tiri dritto. Di fronte al male, sopporti. E così non ti salvi mai. Olé. 

Se avete capito il senso in cui dicevo la storia al mio ex, avete vinto il premio "Decodificatori".

Qui, ora sul blog, la ripropongo perché un mio tweet dal sapore bucolico ha scatenato diverse reazioni.
Questo è il tweet:


Le reazioni sono state variegate, dallo stupore e meraviglia, alla nostalgia di un tempo che fu e che non è più, al sospetto che avessi scritto sotto acido.
Vi rendete conto? Stare in campagna è diventato un argomento letterario, un'argomentazione chicca da sfoderare a cena da amici, una nostalgia, o peggio una visione dietro le porte aperte della percezione.
Ma davvero ci siamo abituati, rassegnati al cemento, ai condomini, all'asfalto, al mondo civile?
Davvero siamo ormai incapaci di riconoscere il bene? E il male? 
Davvero non sappiamo più come tornare indietro?
Siamo sicuri, davvero, che tornare indietro non sia un beneficio?
Davvero i nostri bimbi, e noi, non sapranno mai come far la salsa, cos'è un eucalipto, cosa si prova a camminar scalzi sulla terra, a raccoglier le mandorle, a sgusciarle, a far le focacce, ad accendere il fuoco, a raccoglier le fragole. A non sentire il tempo, vederlo passare guardando solo il sole che passa?
Tiriamo dritto?

Noi quest'estate ci abbiamo provato, abbiamo voluto fortemente il verde. Se avevamo dubbi sul fatto che la chimica fosse uno tra i primi motori del nostro agire, adesso non ne abbiamo più: il verde rilassa.
E gli odori, i pollini, certe durezze della terra, altre sue sofficità, anche.
Prima tappa: Milo, terrazza sul mare. 


Perché? Perché Milo è il paese che non si arrende al fatto di stare aggrappato all'Etna a quota mille metri sul livello del mare. Milo se ne frega di esser definito paese di montagna. Milo c'ha il mare.


e quello che vedete qui sopra a metà tra cielo e mare, quella linea lì, è la Calabria.
Milo c'ha pure la Calabria.
'n'c'è niente da fare: ti innamori di Milo. La quantità di milanesi, bolognesi, gente del nord che torna e ritorna, ti fa capire che non sei la sola a provare tanta passione.
Siamo stati ore seduti in questa terrazza, dove c'è il bar che ci incontravi Lucio Dalla. Stava lì, raccontano, e offriva caffè a tutti.


Lì manca a tutti, ché la sera, seduto ai tavoli che vedete, cantava per la gente del posto, la sua gente, cantava e faceva cantare, e giocava a carte e beveva caffè e arrivava in bicicletta.
E con le vigne di Milo c'ha fatto un vino, "Lo stronzetto", ché quando lo bevevi sembrava gentile ma poi d'improvviso, quando decideva lui, picchiava la testa.

Milo insomma c'ha anche Lucio Dalla. Che a Napoli, una sera che aveva perso un volo, ha scritto "Caruso".
E qui, tra gli alberi di Milo, ha scritto "Attenti al lupo".
E noi, tra gli alberi, io e Sofia ci siamo acquattate e aspettavamo da un momento all'altro l'arrivo del lupo famelico.

E bastava poi alzare la testa che c'era gente sospesa nel vuoto.


Anche Sofia ha fatto un percorso. Il suo primo. E a questo punto è più avanti di mamma e papà che non ne hanno mai fatto uno.





E poi siamo andati in un altro punto della Sicilia, niente boschi, tutta campagna. Odori, frutti diversi. La raccolta delle mandorle.



E la festa del frumento, col torrone.
E questo qua sotto è uno scoop perché, a sorpresa, quella affacciata al balcone di una casa che non è sua, è la zia Pippina di cui ho parlato in uno dei miei primi post. Quella che a novantanni va ad ascoltare i concerti rock del Riccio. :)



Ed eccolo qui il tweet, in tutta la sua bellezza.





Le mani sapienti di questa donna che non ho fatto in tempo a dire "vorrei..." e già per l'indomani aveva organizzato, chiamato a raccolta tutti e preparato ogni cosa.




Quello di cui non mi capacito è che questa vita sia una parentesi, una divagazione, una manciata di giorni all'anno.
Una bellezza vissuta come vacanza.
Dal cemento.
Non me ne capacito. Per fortuna, direi. 
Ché vuol dire che il rumore del condizionatore ancora lo sento, non lo sopporto, l'abitudine non ha creato quell'ovatta e la bellezza del vivere, il senso, li riconosco.
Sono ancora in tempo a spegnerlo, il condizionatore.




p.s.:
Va be', la fine della storia del condizionatore vi è evidente più del sole di oggi. Alla fine io e il mio ex non l'abbiamo spento ed è stato un bene così. 
Uno, perché a quel tempo si era in alta stagione estiva, 40° fin dentro il frigo e i dottori dicono sempre che non è il freddo ma il caldo a far vittime e dunque...; 
e due, il Riccio, Sofia, e patapìm e patapàm... 


5 commenti:

  1. che meraviglia. La prossima volta mi porti a Milo?
    p.s. io camminerei scalza, sempre, anche se sotto i piedi non c'è più la terra soffice, culla degli ulivi

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    1. :)
      Ho mancato di troppe cose la scorsa volta.
      La prossima volta ve lo faccio fare davvero un giro di giostra.
      Milo, certo.

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    2. tu ci hai aperto il tuo cuore e la tua casa
      non potevamo chiedere di meglio, davvero
      ;)

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  2. ma che bel post,
    ma che bel posto, di verde lento.

    :)

    zena

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    1. Cara Zena, che strano, strano davvero...
      sei arrivata qui una sera che Sofi guardava la luna.
      E qui adesso la sera prima l'ho guardata io.
      Sei la donna che torna con la luna?
      :)

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