27.2.12

Da grande








Io me la ricordo ancora l'idea che avevo da bambina degli adulti.
Sostanzialmente pensavo fossero finti. Finti come la plastica, gli smalti, l'intonacatura sulle crepe dei muri, i neon. 
Due erano i motivi che me lo facevano pensare. Uno era che non sapessero piangere. L'altro era che non sapessero ridere.
Quando erano tristi, o addolorati, facevano la faccia contrita ma mentre dicevano di essere addolorati non piangevano mai. E se alla fine piangevano erano solo un paio di lacrime. Un paio. Mi sembravano non fossero abbastanza per un dolore.
E quando dicevano di essere felici, o divertiti, sorridevano debolmente ma la pancia rimaneva ferma, non saltellava sulle risate. E se alla fine ridevano erano o un paio di risate, un paio e basta, oppure smodati getti di gola. Troppo pochi o troppi per una cosa semplice come la felicità.
Capivo che non c'era corrispondenza alcuna tra quello che dicevano di essere e quello che poi mostravano.
Allora guardandoli pensavo che avessero un problema. 
Li guardavo e mi sembravano smarriti dietro un muro, bloccati, e quello che ne veniva fuori, scavalcando a fatica il muro, erano deboli figure di quello che doveva esserci dentro davvero. E mi chiedevo cosa potesse essere questo muro, quale nome potesse avere. Paura? Maschera?
Insomma non ci si poteva fidare molto di queste creature diafane alte tre volte un bimbo, le pelli dure, e questi muri, paure o finzioni che fossero. 
Eppure rimaneva sempre forte quell'urgenza di farsi prendere per mano, le mani grandi, e di farsi condurre, perché oltre la palla e la porta di casa, oltre era tutto nero, un mistero che già da bimbi si avvertiva come grande. Allora ci volevano quelle mani grandi per dare forma a quel mistero grande.
Ed era bello quando per metterci in guardia sui pericoli usavano le favole per farcelo capire. Quasi sempre il pericolo era un lupo che si camuffava sotto false sembianze di bontà. Oppure una strega, anche lei camuffata.
E insomma alla fine il pericolo era proprio quello, il camuffamento. La verità nascosta. L'abbaglio. Il fatto di riconoscerlo ti faceva salva la vita.
Allora nasceva questa contraddizione nei confronti dell'essere adulto. Era come perdersi sotto le coperte calde, era un conforto, sentire quelle voci adulte impegnate a salvarti dai pericoli del camuffamento.
E ti faceva paura a volte, però, sapere che quegli stessi adulti stavano dietro a quel muro.
Non piangevano e non ridevano.


Sofia fa prove di vestizione. Penso senta il fascino dell'essere grandi, delle mani, voci e piedi grandi.
Di quella possibilità dell'adulto di dare voce ad ogni cosa, persino al mistero.

Nel non volerla deludere, io speriamo che me la cavo.

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